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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 13:03:

Inferno(canto 3)

3. 1 "Per me si va ne la cittÃ_ dolente,
3. 2 per me si va ne l'etterno dolore,
3. 3 per me si va tra la perduta gente.

3. 4 Giustizia mosse il mio alto fattore:
3. 5 fecemi la divina podestate,
3. 6 la somma sapienza e 'l primo amore.

3. 7 Dinanzi a me non fuor cose create
3. 8 se non etterne, e io etterno duro.
3. 9 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
3. 10 Queste parole di colore oscuro
3. 11 vid'io scritte al sommo d'una porta;
3. 12 per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».

3. 13 Ed elli a me, come persona accorta:
3. 14 «Qui si convien lasciare ogne sospetto;
3. 15 ogne viltÃ_ convien che qui sia morta.

3. 16 Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
3. 17 che tu vedrai le genti dolorose
3. 18 c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

3. 19 E poi che la sua mano a la mia puose
3. 20 con lieto volto, ond'io mi confortai,
3. 21 mi mise dentro a le segrete cose.

3. 22 Quivi sospiri, pianti e alti guai
3. 23 risonavan per l'aere sanza stelle,
3. 24 per ch'io al cominciar ne lagrimai.

3. 25 Diverse lingue, orribili favelle,
3. 26 parole di dolore, accenti d'ira,
3. 27 voci alte e fioche, e suon di man con elle

3. 28 facevano un tumulto, il qual s'aggira
3. 29 sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
3. 30 come la rena quando turbo spira.

3. 31 E io ch'avea d'error la testa cinta,
3. 32 dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
3. 33 e che gent'è che par nel duol sì vinta?».

3. 34 Ed elli a me: «Questo misero modo
3. 35 tegnon l'anime triste di coloro
3. 36 che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

3. 37 Mischiate sono a quel cattivo coro
3. 38 de li angeli che non furon ribelli
3. 39 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

3. 40 Caccianli i ciel per non esser men belli,
3. 41 né lo profondo inferno li riceve,
3. 42 ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».

3. 43 E io: «Maestro, che è tanto greve
3. 44 a lor, che lamentar li fa sì forte?».
3. 45 Rispuose: «Dicerolti molto breve.

3. 46 Questi non hanno speranza di morte
3. 47 e la lor cieca vita è tanto bassa,
3. 48 che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.

3. 49 Fama di loro il mondo esser non lassa;
3. 50 misericordia e giustizia li sdegna:
3. 51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

3. 52 E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
3. 53 che girando correva tanto ratta,
3. 54 che d'ogne posa mi parea indegna;

3. 55 e dietro le venìa sì lunga tratta
3. 56 di gente, ch'i' non averei creduto
3. 57 che morte tanta n'avesse disfatta.

3. 58 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
3. 59 vidi e conobbi l'ombra di colui
3. 60 che fece per viltade il gran rifiuto.

3. 61 Incontanente intesi e certo fui
3. 62 che questa era la setta d'i cattivi,
3. 63 a Dio spiacenti e a' nemici sui.

3. 64 Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
3. 65 erano ignudi e stimolati molto
3. 66 da mosconi e da vespe ch'eran ivi.

3. 67 Elle rigavan lor di sangue il volto,
3. 68 che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
3. 69 da fastidiosi vermi era ricolto.

3. 70 E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
3. 71 vidi genti a la riva d'un gran fiume;
3. 72 per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi

3. 73 ch'i' sappia quali sono, e qual costume
3. 74 le fa di trapassar parer sì pronte,
3. 75 com'io discerno per lo fioco lume».

3. 76 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
3. 77 quando noi fermerem li nostri passi
3. 78 su la trista riviera d'Acheronte».

3. 79 Allor con li occhi vergognosi e bassi,
3. 80 temendo no 'l mio dir li fosse grave,
3. 81 infino al fiume del parlar mi trassi.

3. 82 Ed ecco verso noi venir per nave
3. 83 un vecchio, bianco per antico pelo,
3. 84 gridando: «Guai a voi, anime prave!

3. 85 Non isperate mai veder lo cielo:
3. 86 i' vegno per menarvi a l'altra riva
3. 87 ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.

3. 88 E tu che se' costì, anima viva,
3. 89 pÃ_rtiti da cotesti che son morti».
3. 90 Ma poi che vide ch'io non mi partiva,

3. 91 disse: «Per altra via, per altri porti
3. 92 verrai a piaggia, non qui, per passare:
3. 93 più lieve legno convien che ti porti».

3. 94 E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
3. 95 vuolsi così colÃ_ dove si puote
3. 96 ciò che si vuole, e più non dimandare».

3. 97 Quinci fuor quete le lanose gote
3. 98 al nocchier de la livida palude,
3. 99 che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

3.100 Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
3.101 cangiar colore e dibattero i denti,
3.102 ratto che 'nteser le parole crude.

3.103 Bestemmiavano Dio e lor parenti,
3.104 l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
3.105 di lor semenza e di lor nascimenti.

3.106 Poi si ritrasser tutte quante insieme,
3.107 forte piangendo, a la riva malvagia
3.108 ch'attende ciascun uom che Dio non teme.

3.109 Caron dimonio, con occhi di bragia,
3.110 loro accennando, tutte le raccoglie;
3.111 batte col remo qualunque s'adagia.

3.112 Come d'autunno si levan le foglie
3.113 l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
3.114 vede a la terra tutte le sue spoglie,

3.115 similemente il mal seme d'Adamo
3.116 gittansi di quel lito ad una ad una,
3.117 per cenni come augel per suo richiamo.

3.118 Così sen vanno su per l'onda bruna,
3.119 e avanti che sien di lÃ_ discese,
3.120 anche di qua nuova schiera s'auna.

3.121 «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
3.122 «quelli che muoion ne l'ira di Dio
3.123 tutti convegnon qui d'ogne paese:

3.124 e pronti sono a trapassar lo rio,
3.125 ché la divina giustizia li sprona,
3.126 sì che la tema si volve in disio.

3.127 Quinci non passa mai anima buona;
3.128 e però, se Caron di te si lagna,
3.129 ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».

3.130 Finito questo, la buia campagna
3.131 tremò sì forte, che de lo spavento
3.132 la mente di sudore ancor mi bagna.

3.133 La terra lagrimosa diede vento,
3.134 che balenò una luce vermiglia
3.135 la qual mi vinse ciascun sentimento
3.136 e caddi come l'uom cui sonno piglia.


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