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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 15:24:

Purgatorio(canto 3)

3. 1 Avvegna che la subitana fuga
3. 2 dispergesse color per la campagna,
3. 3 rivolti al monte ove ragion ne fruga,

3. 4 i' mi ristrinsi a la fida compagna:
3. 5 e come sare' io sanza lui corso?
3. 6 chi m'avria tratto su per la montagna?

3. 7 El mi parea da sé stesso rimorso:
3. 8 o dignitosa coscienza e netta,
3. 9 come t'è picciol fallo amaro morso!

3. 10 Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
3. 11 che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
3. 12 la mente mia, che prima era ristretta,

3. 13 lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
3. 14 e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
3. 15 che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.

3. 16 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
3. 17 rotto m'era dinanzi a la figura,
3. 18 ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.

3. 19 Io mi volsi dallato con paura
3. 20 d'essere abbandonato, quand'io vidi
3. 21 solo dinanzi a me la terra oscura;

3. 22 e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
3. 23 a dir mi cominciò tutto rivolto;
3. 24 «non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

3. 25 Vespero è giÃ_ colÃ_ dov'è sepolto
3. 26 lo corpo dentro al quale io facea ombra:
3. 27 Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.

3. 28 Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
3. 29 non ti maravigliar più che d'i cieli
3. 30 che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

3. 31 A sofferir tormenti, caldi e geli
3. 32 simili corpi la Virtù dispone
3. 33 che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

3. 34 Matto è chi spera che nostra ragione
3. 35 possa trascorrer la infinita via
3. 36 che tiene una sustanza in tre persone.

3. 37 State contenti, umana gente, al *quia*;
3. 38 ché se potuto aveste veder tutto,
3. 39 mestier non era parturir Maria;

3. 40 e disiar vedeste sanza frutto
3. 41 tai che sarebbe lor disio quetato,
3. 42 ch'etternalmente è dato lor per lutto:

3. 43 io dico d'Aristotile e di Plato
3. 44 e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
3. 45 e più non disse, e rimase turbato.

3. 46 Noi divenimmo intanto a piè del monte;
3. 47 quivi trovammo la roccia sì erta,
3. 48 che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

3. 49 Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
3. 50 la più rotta ruina è una scala,
3. 51 verso di quella, agevole e aperta.

3. 52 «Or chi sa da qual man la costa cala»,
3. 53 disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
3. 54 «sì che possa salir chi va sanz'ala?».

3. 55 E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
3. 56 essaminava del cammin la mente,
3. 57 e io mirava suso intorno al sasso,

3. 58 da man sinistra m'apparì una gente
3. 59 d'anime, che movieno i piè ver' noi,
3. 60 e non pareva, sì venian lente.

3. 61 «Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
3. 62 ecco di qua chi ne darÃ_ consiglio,
3. 63 se tu da te medesmo aver nol puoi¹.

3. 64 Guardò allora, e con libero piglio
3. 65 rispuose: «Andiamo in lÃ_, ch'ei vegnon piano;
3. 66 e tu ferma la spene, dolce figlio».

3. 67 Ancora era quel popol di lontano,
3. 68 i' dico dopo i nostri mille passi,
3. 69 quanto un buon gittator trarria con mano,

3. 70 quando si strinser tutti ai duri massi
3. 71 de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
3. 72 com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.

3. 73 «O ben finiti, o giÃ_ spiriti eletti»,
3. 74 Virgilio incominciò, «per quella pace
3. 75 ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

3. 76 ditene dove la montagna giace
3. 77 sì che possibil sia l'andare in suso;
3. 78 ché perder tempo a chi più sa più spiace».

3. 79 Come le pecorelle escon del chiuso
3. 80 a una, a due, a tre, e l'altre stanno
3. 81 timidette atterrando l'occhio e 'l muso;

3. 82 e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
3. 83 addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
3. 84 semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;

3. 85 sì vid'io muovere a venir la testa
3. 86 di quella mandra fortunata allotta,
3. 87 pudica in faccia e ne l'andare onesta.

3. 88 Come color dinanzi vider rotta
3. 89 la luce in terra dal mio destro canto,
3. 90 sì che l'ombra era da me a la grotta,

3. 91 restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
3. 92 e tutti li altri che venieno appresso,
3. 93 non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.

3. 94 «Sanza vostra domanda io vi confesso
3. 95 che questo è corpo uman che voi vedete;
3. 96 per che 'l lume del sole in terra è fesso.

3. 97 Non vi maravigliate, ma credete
3. 98 che non sanza virtù che da ciel vegna
3. 99 cerchi di soverchiar questa parete».

3.100 Così 'l maestro; e quella gente degna
3.101 «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
3.102 coi dossi de le man faccendo insegna.

3.103 E un di loro incominciò: «Chiunque
3.104 tu se', così andando, volgi 'l viso:
3.105 pon mente se di lÃ_ mi vedesti unque».

3.106 Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
3.107 biondo era e bello e di gentile aspetto,
3.108 ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

3.109 Quand'io mi fui umilmente disdetto
3.110 d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
3.111 e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.

3.112 Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
3.113 nepote di Costanza imperadrice;
3.114 ond'io ti priego che, quando tu riedi,

3.115 vadi a mia bella figlia, genitrice
3.116 de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
3.117 e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

3.118 Poscia ch'io ebbi rotta la persona
3.119 di due punte mortali, io mi rendei,
3.120 piangendo, a quei che volontier perdona.

3.121 Orribil furon li peccati miei;
3.122 ma la bontÃ_ infinita ha sì gran braccia,
3.123 che prende ciò che si rivolge a lei.

3.124 Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
3.125 di me fu messo per Clemente allora,
3.126 avesse in Dio ben letta questa faccia,

3.127 l'ossa del corpo mio sarieno ancora
3.128 in co del ponte presso a Benevento,
3.129 sotto la guardia de la grave mora.

3.130 Or le bagna la pioggia e move il vento
3.131 di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
3.132 dov'e' le trasmutò a lume spento.

3.133 Per lor maladizion sì non si perde,
3.134 che non possa tornar, l'etterno amore,
3.135 mentre che la speranza ha fior del verde.

3.136 Vero è che quale in contumacia more
3.137 di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
3.138 star li convien da questa ripa in fore,

3.139 per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
3.140 in sua presunzion, se tal decreto
3.141 più corto per buon prieghi non diventa.

3.142 Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
3.143 revelando a la mia buona Costanza
3.144 come m'hai visto, e anco esto divieto;
3.145 ché qui per quei di lÃ_ molto s'avanza».


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 15:36:

Purgatorio (canto 4)

4. 1 Quando per dilettanze o ver per doglie,
4. 2 che alcuna virtù nostra comprenda
4. 3 l'anima bene ad essa si raccoglie,

4. 4 par ch'a nulla potenza più intenda;
4. 5 e questo è contra quello error che crede
4. 6 ch'un'anima sovr'altra in noi s'accenda.

4. 7 E però, quando s'ode cosa o vede
4. 8 che tegna forte a sé l'anima volta,
4. 9 vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;

4. 10 ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
4. 11 e altra è quella c'ha l'anima intera:
4. 12 questa è quasi legata, e quella è sciolta.

4. 13 Di ciò ebb'io esperienza vera,
4. 14 udendo quello spirto e ammirando;
4. 15 ché ben cinquanta gradi salito era

4. 16 lo sole, e io non m'era accorto, quando
4. 17 venimmo ove quell'anime ad una
4. 18 gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».

4. 19 Maggiore aperta molte volte impruna
4. 20 con una forcatella di sue spine
4. 21 l'uom de la villa quando l'uva imbruna,

4. 22 che non era la calla onde saline
4. 23 lo duca mio, e io appresso, soli,
4. 24 come da noi la schiera si partìne.

4. 25 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
4. 26 montasi su in Bismantova 'n Cacume
4. 27 con esso i piè; ma qui convien ch'om voli;

4. 28 dico con l'ale snelle e con le piume
4. 29 del gran disio, di retro a quel condotto
4. 30 che speranza mi dava e facea lume.

4. 31 Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
4. 32 e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
4. 33 e piedi e man volea il suol di sotto.

4. 34 Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
4. 35 de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
4. 36 «Maestro mio», diss'io, «che via faremo?».

4. 37 Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
4. 38 pur su al monte dietro a me acquista,
4. 39 fin che n'appaia alcuna scorta saggia».

4. 40 Lo sommo er'alto che vincea la vista,
4. 41 e la costa superba più assai
4. 42 che da mezzo quadrante a centro lista.

4. 43 Io era lasso, quando cominciai:
4. 44 «O dolce padre, volgiti, e rimira
4. 45 com'io rimango sol, se non restai».

4. 46 «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
4. 47 additandomi un balzo poco in sùe
4. 48 che da quel lato il poggio tutto gira.

4. 49 Sì mi spronaron le parole sue,
4. 50 ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
4. 51 tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.

4. 52 A seder ci ponemmo ivi ambedui
4. 53 vòlti a levante ond'eravam saliti,
4. 54 che suole a riguardar giovare altrui.

4. 55 Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
4. 56 poscia li alzai al sole, e ammirava
4. 57 che da sinistra n'eravam feriti.

4. 58 Ben s'avvide il poeta ch'io stava
4. 59 stupido tutto al carro de la luce,
4. 60 ove tra noi e Aquilone intrava.

4. 61 Ond'elli a me: «Se Castore e Poluce
4. 62 fossero in compagnia di quello specchio
4. 63 che sù e giù del suo lume conduce,

4. 64 tu vedresti il Zodiaco rubecchio
4. 65 ancora a l'Orse più stretto rotare,
4. 66 se non uscisse fuor del cammin vecchio.

4. 67 Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,
4. 68 dentro raccolto, imagina Siòn
4. 69 con questo monte in su la terra stare

4. 70 sì, ch'amendue hanno un solo orizzòn
4. 71 e diversi emisperi; onde la strada
4. 72 che mal non seppe carreggiar Fetòn,

4. 73 vedrai come a costui convien che vada
4. 74 da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
4. 75 se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».

4. 76 «Certo, maestro mio,», diss'io, «unquanco
4. 77 non vid'io chiaro sì com'io discerno
4. 78 lÃ_ dove mio ingegno parea manco,

4. 79 che 'l mezzo cerchio del moto superno,
4. 80 che si chiama Equatore in alcun'arte,
4. 81 e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,

4. 82 per la ragion che di' , quinci si parte
4. 83 verso settentrion, quanto li Ebrei
4. 84 vedevan lui verso la calda parte.

4. 85 Ma se a te piace, volontier saprei
4. 86 quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
4. 87 più che salir non posson li occhi miei».

4. 88 Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
4. 89 che sempre al cominciar di sotto è grave;
4. 90 e quant'om più va sù, e men fa male.

4. 91 Però, quand'ella ti parrÃ_ soave
4. 92 tanto, che sù andar ti fia leggero
4. 93 com'a seconda giù andar per nave,

4. 94 allor sarai al fin d'esto sentiero;
4. 95 quivi di riposar l'affanno aspetta.
4. 96 Più non rispondo, e questo so per vero».

4. 97 E com'elli ebbe sua parola detta,
4. 98 una voce di presso sonò: «Forse
4. 99 che di sedere in pria avrai distretta!».

4.100 Al suon di lei ciascun di noi si torse,
4.101 e vedemmo a mancina un gran petrone,
4.102 del qual né io né ei prima s'accorse.

4.103 LÃ_ ci traemmo; e ivi eran persone
4.104 che si stavano a l'ombra dietro al sasso
4.105 come l'uom per negghienza a star si pone.

4.106 E un di lor, che mi sembiava lasso,
4.107 sedeva e abbracciava le ginocchia,
4.108 tenendo 'l viso giù tra esse basso.

4.109 «O dolce segnor mio», diss'io, «adocchia
4.110 colui che mostra sé più negligente
4.111 che se pigrizia fosse sua serocchia».

4.112 Allor si volse a noi e puose mente,
4.113 movendo 'l viso pur su per la coscia,
4.114 e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».

4.115 Conobbi allor chi era, e quella angoscia
4.116 che m'avacciava un poco ancor la lena,
4.117 non m'impedì l'andare a lui; e poscia

4.118 ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
4.119 dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
4.120 da l'omero sinistro il carro mena?».

4.121 Li atti suoi pigri e le corte parole
4.122 mosser le labbra mie un poco a riso;
4.123 poi cominciai: «Belacqua, a me non dole

4.124 di te omai; ma dimmi: perché assiso
4.125 quiritto se'? attendi tu iscorta,
4.126 o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».

4.127 Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
4.128 ché non mi lascerebbe ire a' martìri
4.129 l'angel di Dio che siede in su la porta.

4.130 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
4.131 di fuor da essa, quanto fece in vita,
4.132 perch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,

4.133 se orazione in prima non m'aita
4.134 che surga sù di cuor che in grazia viva;
4.135 l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».

4.136 E giÃ_ il poeta innanzi mi saliva,
4.137 e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
4.138 meridian dal sole e a la riva
4.139 cuopre la notte giÃ_ col piè Morrocco».


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:08:

Purgatorio (canto 5)

5. 1 Io era giÃ_ da quell'ombre partito,
5. 2 e seguitava l'orme del mio duca,
5. 3 quando di retro a me, drizzando 'l dito,

5. 4 una gridò: «Ve' che non par che luca
5. 5 lo raggio da sinistra a quel di sotto,
5. 6 e come vivo par che si conduca!».

5. 7 Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
5. 8 e vidile guardar per maraviglia
5. 9 pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.

5. 10 «Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,
5. 11 disse 'l maestro, «che l'andare allenti?
5. 12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

5. 13 Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
5. 14 sta come torre ferma, che non crolla
5. 15 giÃ_ mai la cima per soffiar di venti;

5. 16 ché sempre l'omo in cui pensier rampolla
5. 17 sovra pensier, da sé dilunga il segno,
5. 18 perché la foga l'un de l'altro insolla».

5. 19 Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
5. 20 Dissilo, alquanto del color consperso
5. 21 che fa l'uom di perdon talvolta degno.

5. 22 E 'ntanto per la costa di traverso
5. 23 venivan genti innanzi a noi un poco,
5. 24 cantando "*Miserere*" a verso a verso.

5. 25 Quando s'accorser ch'i' non dava loco
5. 26 per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
5. 27 mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;

5. 28 e due di loro, in forma di messaggi,
5. 29 corsero incontr'a noi e dimandarne:
5. 30 «Di vostra condizion fatene saggi».

5. 31 E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
5. 32 e ritrarre a color che vi mandaro
5. 33 che 'l corpo di costui è vera carne.

5. 34 Se per veder la sua ombra restaro,
5. 35 com'io avviso, assai è lor risposto:
5. 36 fÃ_ccianli onore, ed essere può lor caro».

5. 37 Vapori accesi non vid'io sì tosto
5. 38 di prima notte mai fender sereno,
5. 39 né, sol calando, nuvole d'agosto,

5. 40 che color non tornasser suso in meno;
5. 41 e, giunti lÃ_, con li altri a noi dier volta
5. 42 come schiera che scorre sanza freno.

5. 43 «Questa gente che preme a noi è molta,
5. 44 e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:
5. 45 «però pur va, e in andando ascolta».

5. 46 «O anima che vai per esser lieta
5. 47 con quelle membra con le quai nascesti»,
5. 48 venian gridando, «un poco il passo queta.

5. 49 Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
5. 50 sì che di lui di lÃ_ novella porti:
5. 51 deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?

5. 52 Noi fummo tutti giÃ_ per forza morti,
5. 53 e peccatori infino a l'ultima ora;
5. 54 quivi lume del ciel ne fece accorti,

5. 55 sì che, pentendo e perdonando, fora
5. 56 di vita uscimmo a Dio pacificati,
5. 57 che del disio di sé veder n'accora».

5. 58 E io: «Perché ne' vostri visi guati,
5. 59 non riconosco alcun; ma s'a voi piace
5. 60 cosa ch'io possa, spiriti ben nati,

5. 61 voi dite, e io farò per quella pace
5. 62 che, dietro a' piedi di sì fatta guida
5. 63 di mondo in mondo cercar mi si face».

5. 64 E uno incominciò: «Ciascun si fida
5. 65 del beneficio tuo sanza giurarlo,
5. 66 pur che 'l voler nonpossa non ricida.

5. 67 Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo,
5. 68 ti priego, se mai vedi quel paese
5. 69 che siede tra Romagna e quel di Carlo,

5. 70 che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
5. 71 in Fano, sì che ben per me s'adori
5. 72 pur ch'i' possa purgar le gravi offese.

5. 73 Quindi fu' io; ma li profondi fóri
5. 74 ond'uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
5. 75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,

5. 76 lÃ_ dov'io più sicuro esser credea:
5. 77 quel da Esti il fé far, che m'avea in ira
5. 78 assai più lÃ_ che dritto non volea.

5. 79 Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
5. 80 quando fu' sovragiunto ad Oriaco,
5. 81 ancor sarei di lÃ_ dove si spira.

5. 82 Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
5. 83 m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid'io
5. 84 de le mie vene farsi in terra laco».

5. 85 Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
5. 86 si compia che ti tragge a l'alto monte,
5. 87 con buona pietate aiuta il mio!

5. 88 Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
5. 89 Giovanna o altri non ha di me cura;
5. 90 per ch'io vo tra costor con bassa fronte».

5. 91 E io a lui: «Qual forza o qual ventura
5. 92 ti traviò sì fuor di Campaldino,
5. 93 che non si seppe mai tua sepultura?».

5. 94 «Oh!», rispuos'elli, «a piè del Casentino
5. 95 traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
5. 96 che sovra l'Ermo nasce in Apennino.

5. 97 LÃ_ 've 'l vocabol suo diventa vano,
5. 98 arriva' io forato ne la gola,
5. 99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.

5.100 Quivi perdei la vista e la parola
5.101 nel nome di Maria fini', e quivi
5.102 caddi, e rimase la mia carne sola.

5.103 Io dirò vero e tu 'l ridì tra ' vivi:
5.104 l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
5.105 gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?

5.106 Tu te ne porti di costui l'etterno
5.107 per una lagrimetta che 'l mi toglie;
5.108 ma io farò de l'altro altro governo!".

5.109 Ben sai come ne l'aere si raccoglie
5.110 quell'umido vapor che in acqua riede,
5.111 tosto che sale dove 'l freddo il coglie.

5.112 Giunse quel mal voler che pur mal chiede
5.113 con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
5.114 per la virtù che sua natura diede.

5.115 Indi la valle, come 'l dì fu spento,
5.116 da Pratomagno al gran giogo coperse
5.117 di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,

5.118 sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
5.119 la pioggia cadde e a' fossati venne
5.120 di lei ciò che la terra non sofferse;

5.121 e come ai rivi grandi si convenne,
5.122 ver' lo fiume real tanto veloce
5.123 si ruinò, che nulla la ritenne.

5.124 Lo corpo mio gelato in su la foce
5.125 trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
5.126 ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce

5.127 ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
5.128 voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
5.129 poi di sua preda mi coperse e cinse».

5.130 «Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
5.131 e riposato de la lunga via»,
5.132 seguitò 'l terzo spirito al secondo,

5.133 «ricorditi di me, che son la Pia:
5.134 Siena mi fé, disfecemi Maremma:
5.135 salsi colui che 'nnanellata pria
5.136 disposando m'avea con la sua gemma».


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:16:

Purgatorio (canto 6)

6. 1 Quando si parte il gioco de la zara,
6. 2 colui che perde si riman dolente,
6. 3 repetendo le volte, e tristo impara;

6. 4 con l'altro se ne va tutta la gente;
6. 5 qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
6. 6 e qual dallato li si reca a mente;

6. 7 el non s'arresta, e questo e quello intende;
6. 8 a cui porge la man, più non fa pressa;
6. 9 e così da la calca si difende.

6. 10 Tal era io in quella turba spessa,
6. 11 volgendo a loro, e qua e lÃ_, la faccia,
6. 12 e promettendo mi sciogliea da essa.

6. 13 Quiv'era l'Aretin che da le braccia
6. 14 fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
6. 15 e l'altro ch'annegò correndo in caccia.

6. 16 Quivi pregava con le mani sporte
6. 17 Federigo Novello, e quel da Pisa
6. 18 che fé parer lo buon Marzucco forte.

6. 19 Vidi conte Orso e l'anima divisa
6. 20 dal corpo suo per astio e per inveggia,
6. 21 com'e' dicea, non per colpa commisa;

6. 22 Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
6. 23 mentr'è di qua, la donna di Brabante,
6. 24 sì che però non sia di peggior greggia.

6. 25 Come libero fui da tutte quante
6. 26 quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
6. 27 sì che s'avacci lor divenir sante,

6. 28 io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
6. 29 o luce mia, espresso in alcun testo
6. 30 che decreto del cielo orazion pieghi;

6. 31 e questa gente prega pur di questo:
6. 32 sarebbe dunque loro speme vana,
6. 33 o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?».

6. 34 Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
6. 35 e la speranza di costor non falla,
6. 36 se ben si guarda con la mente sana;

6. 37 ché cima di giudicio non s'avvalla
6. 38 perché foco d'amor compia in un punto
6. 39 ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;

6. 40 e lÃ_ dov'io fermai cotesto punto,
6. 41 non s'ammendava, per pregar, difetto,
6. 42 perché 'l priego da Dio era disgiunto.

6. 43 Veramente a così alto sospetto
6. 44 non ti fermar, se quella nol ti dice
6. 45 che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.

6. 46 Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
6. 47 tu la vedrai di sopra, in su la vetta
6. 48 di questo monte, ridere e felice».

6. 49 E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
6. 50 ché giÃ_ non m'affatico come dianzi,
6. 51 e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».

6. 52 «Noi anderem con questo giorno innanzi»,
6. 53 rispuose, «quanto più potremo omai;
6. 54 ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.

6. 55 Prima che sie lÃ_ sù, tornar vedrai
6. 56 colui che giÃ_ si cuopre de la costa,
6. 57 sì che ' suoi raggi tu romper non fai.

6. 58 Ma vedi lÃ_ un'anima che, posta
6. 59 sola soletta, inverso noi riguarda:
6. 60 quella ne 'nsegnerÃ_ la via più tosta».

6. 61 Venimmo a lei: o anima lombarda,
6. 62 come ti stavi altera e disdegnosa
6. 63 e nel mover de li occhi onesta e tarda!

6. 64 Ella non ci dicea alcuna cosa,
6. 65 ma lasciavane gir, solo sguardando
6. 66 a guisa di leon quando si posa.

6. 67 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
6. 68 che ne mostrasse la miglior salita;
6. 69 e quella non rispuose al suo dimando,

6. 70 ma di nostro paese e de la vita
6. 71 ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
6. 72 «Mantua...», e l'ombra, tutta in sé romita,

6. 73 surse ver' lui del loco ove pria stava,
6. 74 dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
6. 75 de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.

6. 76 Ahi serva Italia, di dolore ostello,
6. 77 nave sanza nocchiere in gran tempesta,
6. 78 non donna di province, ma bordello!

6. 79 Quell'anima gentil fu così presta,
6. 80 sol per lo dolce suon de la sua terra,
6. 81 di fare al cittadin suo quivi festa;

6. 82 e ora in te non stanno sanza guerra
6. 83 li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
6. 84 di quei ch'un muro e una fossa serra.

6. 85 Cerca, misera, intorno da le prode
6. 86 le tue marine, e poi ti guarda in seno,
6. 87 s'alcuna parte in te di pace gode.

6. 88 Che val perché ti racconciasse il freno
6. 89 Iustiniano, se la sella è vota?
6. 90 Sanz'esso fora la vergogna meno.

6. 91 Ahi gente che dovresti esser devota,
6. 92 e lasciar seder Cesare in la sella,
6. 93 se bene intendi ciò che Dio ti nota,

6. 94 guarda come esta fiera è fatta fella
6. 95 per non esser corretta da li sproni,
6. 96 poi che ponesti mano a la predella.

6. 97 O Alberto tedesco ch'abbandoni
6. 98 costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
6. 99 e dovresti inforcar li suoi arcioni,

6.100 giusto giudicio da le stelle caggia
6.101 sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
6.102 tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!

6.103 Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
6.104 per cupidigia di costÃ_ distretti,
6.105 che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.

6.106 Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
6.107 Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
6.108 color giÃ_ tristi, e questi con sospetti!

6.109 Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
6.110 d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
6.111 e vedrai Santafior com'è oscura!

6.112 Vieni a veder la tua Roma che piagne
6.113 vedova e sola, e dì e notte chiama:
6.114 «Cesare mio, perché non m'accompagne?».

6.115 Vieni a veder la gente quanto s'ama!
6.116 e se nulla di noi pietÃ_ ti move,
6.117 a vergognar ti vien de la tua fama.

6.118 E se licito m'è, o sommo Giove
6.119 che fosti in terra per noi crucifisso,
6.120 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

6.121 O è preparazion che ne l'abisso
6.122 del tuo consiglio fai per alcun bene
6.123 in tutto de l'accorger nostro scisso?

6.124 Ché le cittÃ_ d'Italia tutte piene
6.125 son di tiranni, e un Marcel diventa
6.126 ogne villan che parteggiando viene.

6.127 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
6.128 di questa digression che non ti tocca,
6.129 mercé del popol tuo che si argomenta.

6.130 Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
6.131 per non venir sanza consiglio a l'arco;
6.132 ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.

6.133 Molti rifiutan lo comune incarco;
6.134 ma il popol tuo solicito risponde
6.135 sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».

6.136 Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
6.137 tu ricca, tu con pace, e tu con senno!
6.138 S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.

6.139 Atene e Lacedemona, che fenno
6.140 l'antiche leggi e furon sì civili,
6.141 fecero al viver bene un picciol cenno

6.142 verso di te, che fai tanto sottili
6.143 provedimenti, ch'a mezzo novembre
6.144 non giugne quel che tu d'ottobre fili.

6.145 Quante volte, del tempo che rimembre,
6.146 legge, moneta, officio e costume
6.147 hai tu mutato e rinovate membre!

6.148 E se ben ti ricordi e vedi lume,
6.149 vedrai te somigliante a quella inferma
6.150 che non può trovar posa in su le piume,
6.151 ma con dar volta suo dolore scherma.


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:22:

Purgatorio (canto 7)

7. 1 Poscia che l'accoglienze oneste e liete
7. 2 furo iterate tre e quattro volte,
7. 3 Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».

7. 4 «Anzi che a questo monte fosser volte
7. 5 l'anime degne di salire a Dio,
7. 6 fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.

7. 7 Io son Virgilio; e per null'altro rio
7. 8 lo ciel perdei che per non aver fé».
7. 9 Così rispuose allora il duca mio.

7. 10 Qual è colui che cosa innanzi sé
7. 11 sùbita vede ond'e' si maraviglia,
7. 12 che crede e non, dicendo «Ella è... non è...»,

7. 13 tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
7. 14 e umilmente ritornò ver' lui,
7. 15 e abbracciòl lÃ_ 've 'l minor s'appiglia.

7. 16 «O gloria di Latin», disse, «per cui
7. 17 mostrò ciò che potea la lingua nostra,
7. 18 o pregio etterno del loco ond'io fui,

7. 19 qual merito o qual grazia mi ti mostra?
7. 20 S'io son d'udir le tue parole degno,
7. 21 dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».

7. 22 «Per tutt'i cerchi del dolente regno»,
7. 23 rispuose lui, «son io di qua venuto;
7. 24 virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.

7. 25 Non per far, ma per non fare ho perduto
7. 26 a veder l'alto Sol che tu disiri
7. 27 e che fu tardi per me conosciuto.

7. 28 Luogo è lÃ_ giù non tristo di martìri,
7. 29 ma di tenebre solo, ove i lamenti
7. 30 non suonan come guai, ma son sospiri.

7. 31 Quivi sto io coi pargoli innocenti
7. 32 dai denti morsi de la morte avante
7. 33 che fosser da l'umana colpa essenti;

7. 34 quivi sto io con quei che le tre sante
7. 35 virtù non si vestiro, e sanza vizio
7. 36 conobber l'altre e seguir tutte quante.

7. 37 Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
7. 38 dÃ_ noi per che venir possiam più tosto
7. 39 lÃ_ dove purgatorio ha dritto inizio».

7. 40 Rispuose: «Loco certo non c'è posto;
7. 41 licito m'è andar suso e intorno;
7. 42 per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.

7. 43 Ma vedi giÃ_ come dichina il giorno,
7. 44 e andar sù di notte non si puote;
7. 45 però è buon pensar di bel soggiorno.

7. 46 Anime sono a destra qua remote:
7. 47 se mi consenti, io ti merrò ad esse,
7. 48 e non sanza diletto ti fier note».

7. 49 «Com'è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
7. 50 salir di notte, fora elli impedito
7. 51 d'altrui, o non sarria ché non potesse?».

7. 52 E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,
7. 53 dicendo: «Vedi? sola questa riga
7. 54 non varcheresti dopo 'l sol partito:

7. 55 non però ch'altra cosa desse briga,
7. 56 che la notturna tenebra, ad ir suso;
7. 57 quella col nonpoder la voglia intriga.

7. 58 Ben si poria con lei tornare in giuso
7. 59 e passeggiar la costa intorno errando,
7. 60 mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».

7. 61 Allora il mio segnor, quasi ammirando,
7. 62 «Menane», disse, «dunque lÃ_ 've dici
7. 63 ch'aver si può diletto dimorando».

7. 64 Poco allungati c'eravam di lici,
7. 65 quand'io m'accorsi che 'l monte era scemo,
7. 66 a guisa che i vallon li sceman quici.

7. 67 «ColÃ_», disse quell'ombra, «n'anderemo
7. 68 dove la costa face di sé grembo;
7. 69 e lÃ_ il novo giorno attenderemo».

7. 70 Tra erto e piano era un sentiero schembo,
7. 71 che ne condusse in fianco de la lacca,
7. 72 lÃ_ dove più ch'a mezzo muore il lembo.

7. 73 Oro e argento fine, cocco e biacca,
7. 74 indaco, legno lucido e sereno,
4 7. 75 fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,

7. 76 da l'erba e da li fior, dentr'a quel seno
7. 77 posti, ciascun saria di color vinto,
7. 78 come dal suo maggiore è vinto il meno.

7. 79 Non avea pur natura ivi dipinto,
7. 80 ma di soavitÃ_ di mille odori
7. 81 vi facea uno incognito e indistinto.

7. 82 `*Salve, Regina*' in sul verde e 'n su' fiori
7. 83 quindi seder cantando anime vidi,
7. 84 che per la valle non parean di fuori.

7. 85 «Prima che 'l poco sole omai s'annidi»,
7. 86 cominciò 'l Mantoan che ci avea vòlti,
7. 87 «tra color non vogliate ch'io vi guidi.

7. 88 Di questo balzo meglio li atti e ' volti
7. 89 conoscerete voi di tutti quanti,
7. 90 che ne la lama giù tra essi accolti.

7. 91 Colui che più siede alto e fa sembianti
7. 92 d'aver negletto ciò che far dovea,
7. 93 e che non move bocca a li altrui canti,

7. 94 Rodolfo imperador fu, che potea
7. 95 sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
7. 96 sì che tardi per altri si ricrea.

7. 97 L'altro che ne la vista lui conforta,
7. 98 resse la terra dove l'acqua nasce
7. 99 che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:

7.100 Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
7.101 fu meglio assai che Vincislao suo figlio
7.102 barbuto, cui lussuria e ozio pasce.

7.103 E quel nasetto che stretto a consiglio
7.104 par con colui c'ha sì benigno aspetto,
7.105 morì fuggendo e disfiorando il giglio:

7.106 guardate lÃ_ come si batte il petto!
7.107 L'altro vedete c'ha fatto a la guancia
7.108 de la sua palma, sospirando, letto.

7.109 Padre e suocero son del mal di Francia:
7.110 sanno la vita sua viziata e lorda,
7.111 e quindi viene il duol che sì li lancia.

7.112 Quel che par sì membruto e che s'accorda,
7.113 cantando, con colui dal maschio naso,
7.114 d'ogne valor portò cinta la corda;

7.115 e se re dopo lui fosse rimaso
7.116 lo giovanetto che retro a lui siede,
7.117 ben andava il valor di vaso in vaso,

7.118 che non si puote dir de l'altre rede;
7.119 Iacomo e Federigo hanno i reami;
7.120 del retaggio miglior nessun possiede.

7.121 Rade volte risurge per li rami
7.122 l'umana probitate; e questo vole
7.123 quei che la dÃ_, perché da lui si chiami.

7.124 Anche al nasuto vanno mie parole
7.125 non men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,
7.126 onde Puglia e Proenza giÃ_ si dole.

7.127 Tant'è del seme suo minor la pianta,
7.128 quanto più che Beatrice e Margherita,
7.129 Costanza di marito ancor si vanta.

7.130 Vedete il re de la semplice vita
7.131 seder lÃ_ solo, Arrigo d'Inghilterra:
7.132 questi ha ne' rami suoi migliore uscita.

7.133 Quel che più basso tra costor s'atterra,
7.134 guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
7.135 per cui e Alessandria e la sua guerra
7.136 fa pianger Monferrato e Canavese».


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:50:

Purgatorio (canto 8)

8. 1 Era giÃ_ l'ora che volge il disio
8. 2 ai navicanti e 'ntenerisce il core
8. 3 lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

8. 4 e che lo novo peregrin d'amore
8. 5 punge, se ode squilla di lontano
8. 6 che paia il giorno pianger che si more;

8. 7 quand'io incominciai a render vano
8. 8 l'udire e a mirare una de l'alme
8. 9 surta, che l'ascoltar chiedea con mano.

8. 10 Ella giunse e levò ambo le palme,
8. 11 ficcando li occhi verso l'oriente,
8. 12 come dicesse a Dio: "D'altro non calme".

8. 13 "*Te lucis ante*" sì devotamente
8. 14 le uscìo di bocca e con sì dolci note,
8. 15 che fece me a me uscir di mente;

8. 16 e l'altre poi dolcemente e devote
8. 17 seguitar lei per tutto l'inno intero,
8. 18 avendo li occhi a le superne rote.

8. 19 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
8. 20 ché 'l velo è ora ben tanto sottile,
8. 21 certo che 'l trapassar dentro è leggero.

8. 22 Io vidi quello essercito gentile
8. 23 tacito poscia riguardare in sùe
8. 24 quasi aspettando, palido e umìle;

8. 25 e vidi uscir de l'alto e scender giùe
8. 26 due angeli con due spade affocate,
8. 27 tronche e private de le punte sue.

8. 28 Verdi come fogliette pur mo nate
8. 29 erano in veste, che da verdi penne
8. 30 percosse traean dietro e ventilate.

8. 31 L'un poco sovra noi a star si venne,
8. 32 e l'altro scese in l'opposita sponda,
8. 33 sì che la gente in mezzo si contenne.

8. 34 Ben discernea in lor la testa bionda;
8. 35 ma ne la faccia l'occhio si smarria,
8. 36 come virtù ch'a troppo si confonda.

8. 37 «Ambo vegnon del grembo di Maria»,
8. 38 disse Sordello, «a guardia de la valle,
8. 39 per lo serpente che verrÃ_ vie via».

8. 40 Ond'io, che non sapeva per qual calle,
8. 41 mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
8. 42 tutto gelato, a le fidate spalle.

8. 43 E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
8. 44 tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
8. 45 grazioso fia lor vedervi assai».

8. 46 Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
8. 47 e fui di sotto, e vidi un che mirava
8. 48 pur me, come conoscer mi volesse.

8. 49 Temp'era giÃ_ che l'aere s'annerava,
8. 50 ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
8. 51 non dichiarisse ciò che pria serrava.

8. 52 Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
8. 53 giudice Nin gentil, quanto mi piacque
8. 54 quando ti vidi non esser tra ' rei!

8. 55 Nullo bel salutar tra noi si tacque;
8. 56 poi dimandò: «Quant'è che tu venisti
8. 57 a piè del monte per le lontane acque?».

8. 58 «Oh!», diss'io lui, «per entro i luoghi tristi
8. 59 venni stamane, e sono in prima vita,
8. 60 ancor che l'altra, sì andando, acquisti».

8. 61 E come fu la mia risposta udita,
8. 62 Sordello ed elli in dietro si raccolse
8. 63 come gente di sùbito smarrita.

8. 64 L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
8. 65 che sedea lì, gridando:«Sù, Currado!
8. 66 vieni a veder che Dio per grazia volse».

8. 67 Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
8. 68 che tu dei a colui che sì nasconde
8. 69 lo suo primo perché, che non lì è guado,

8. 70 quando sarai di lÃ_ da le larghe onde,
8. 71 dì a Giovanna mia che per me chiami
8. 72 lÃ_ dove a li 'nnocenti si risponde.

8. 73 Non credo che la sua madre più m'ami,
8. 74 poscia che trasmutò le bianche bende,
8. 75 le quai convien che, misera!, ancor brami.

8. 76 Per lei assai di lieve si comprende
8. 77 quanto in femmina foco d'amor dura,
8. 78 se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.

8. 79 Non le farÃ_ sì bella sepultura
8. 80 la vipera che Melanesi accampa,
8. 81 com'avria fatto il gallo di Gallura».

8. 82 Così dicea, segnato de la stampa,
8. 83 nel suo aspetto, di quel dritto zelo
8. 84 che misuratamente in core avvampa.

8. 85 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
8. 86 pur lÃ_ dove le stelle son più tarde,
8. 87 sì come rota più presso a lo stelo.

8. 88 E 'l duca mio: «Figliuol, che lÃ_ sù guarde?».
8. 89 E io a lui: «A quelle tre facelle
8. 90 di che 'l polo di qua tutto quanto arde».

8. 91 Ond'elli a me: «Le quattro chiare stelle
8. 92 che vedevi staman, son di lÃ_ basse,
8. 93 e queste son salite ov'eran quelle».

8. 94 Com'ei parlava, e Sordello a sé il trasse
8. 95 dicendo:«Vedi lÃ_ 'l nostro avversaro»;
8. 96 e drizzò il dito perché 'n lÃ_ guardasse.

8. 97 Da quella parte onde non ha riparo
8. 98 la picciola vallea, era una biscia,
8. 99 forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

8.100 Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
8.101 volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
8.102 leccando come bestia che si liscia.

8.103 Io non vidi, e però dicer non posso,
8.104 come mosser li astor celestiali;
8.105 ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.

8.106 Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
8.107 fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
8.108 suso a le poste rivolando iguali.

8.109 L'ombra che s'era al giudice raccolta
8.110 quando chiamò, per tutto quello assalto
8.111 punto non fu da me guardare sciolta.

8.112 «Se la lucerna che ti mena in alto
8.113 truovi nel tuo arbitrio tanta cera
8.114 quant'è mestiere infino al sommo smalto»,

8.115 cominciò ella, «se novella vera
8.116 di Val di Magra o di parte vicina
8.117 sai, dillo a me, che giÃ_ grande lÃ_ era.

8.118 Fui chiamato Currado Malaspina;
8.119 non son l'antico, ma di lui discesi;
8.120 a' miei portai l'amor che qui raffina».

8.121 «Oh!», diss'io lui, «per li vostri paesi
8.122 giÃ_ mai non fui; ma dove si dimora
8.123 per tutta Europa ch'ei non sien palesi?

8.124 La fama che la vostra casa onora,
8.125 grida i segnori e grida la contrada,
8.126 sì che ne sa chi non vi fu ancora;

8.127 e io vi giuro, s'io di sopra vada,
8.128 che vostra gente onrata non si sfregia
8.129 del pregio de la borsa e de la spada.

8.130 Uso e natura sì la privilegia,
8.131 che, perché il capo reo il mondo torca,
8.132 sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».

8.133 Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
8.134 sette volte nel letto che 'l Montone
8.135 con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

8.136 che cotesta cortese oppinione
8.137 ti fia chiavata in mezzo de la testa
8.138 con maggior chiovi che d'altrui sermone,
8.139 se corso di giudicio non s'arresta».


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:54:

Purgatorio (canto 9)

9. 1 La concubina di Titone antico
9. 2 giÃ_ s'imbiancava al balco d'oriente,
9. 3 fuor de le braccia del suo dolce amico;

9. 4 di gemme la sua fronte era lucente,
9. 5 poste in figura del freddo animale
9. 6 che con la coda percuote la gente;

9. 7 e la notte, de' passi con che sale,
9. 8 fatti avea due nel loco ov'eravamo,
9. 9 e 'l terzo giÃ_ chinava in giuso l'ale;

9. 10 quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
9. 11 vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
9. 12 lÃ_ 've giÃ_ tutti e cinque sedavamo.

9. 13 Ne l'ora che comincia i tristi lai
9. 14 la rondinella presso a la mattina,
9. 15 forse a memoria de' suo' primi guai,

9. 16 e che la mente nostra, peregrina
9. 17 più da la carne e men da' pensier presa,
9. 18 a le sue vision quasi è divina,

9. 19 in sogno mi parea veder sospesa
9. 20 un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
9. 21 con l'ali aperte e a calare intesa;

9. 22 ed esser mi parea lÃ_ dove fuoro
9. 23 abbandonati i suoi da Ganimede,
9. 24 quando fu ratto al sommo consistoro.

9. 25 Fra me pensava: "Forse questa fiede
9. 26 pur qui per uso, e forse d'altro loco
9. 27 disdegna di portarne suso in piede".

9. 28 Poi mi parea che, poi rotata un poco,
9. 29 terribil come folgor discendesse,
9. 30 e me rapisse suso infino al foco.

9. 31 Ivi parea che ella e io ardesse;
9. 32 e sì lo 'ncendio imaginato cosse,
9. 33 che convenne che 'l sonno si rompesse.

9. 34 Non altrimenti Achille si riscosse,
9. 35 li occhi svegliati rivolgendo in giro
9. 36 e non sappiendo lÃ_ dove si fosse,

9. 37 quando la madre da Chirón a Schiro
9. 38 trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
9. 39 lÃ_ onde poi li Greci il dipartiro;

9. 40 che mi scoss'io, sì come da la faccia
9. 41 mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,
9. 42 come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.

9. 43 Dallato m'era solo il mio conforto,
9. 44 e 'l sole er'alto giÃ_ più che due ore,
9. 45 e 'l viso m'era a la marina torto.

9. 46 «Non aver tema», disse il mio segnore;
9. 47 «fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
9. 48 non stringer, ma rallarga ogne vigore.

9. 49 Tu se' omai al purgatorio giunto:
9. 50 vedi lÃ_ il balzo che 'l chiude dintorno;
9. 51 vedi l'entrata lÃ_ 've par digiunto.

9. 52 Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,
9. 53 quando l'anima tua dentro dormia,
9. 54 sovra li fiori ond'è lÃ_ giù addorno

9. 55 venne una donna, e disse: "I' son Lucia;
9. 56 lasciatemi pigliar costui che dorme;
9. 57 sì l'agevolerò per la sua via".

9. 58 Sordel rimase e l'altre genti forme;
9. 59 ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,
9. 60 sen venne suso; e io per le sue orme.

9. 61 Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
9. 62 li occhi suoi belli quella intrata aperta;
9. 63 poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro».

9. 64 A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta
9. 65 e che muta in conforto sua paura,
9. 66 poi che la veritÃ_ li è discoperta,

9. 67 mi cambia' io; e come sanza cura
9. 68 vide me 'l duca mio, su per lo balzo
9. 69 si mosse, e io di rietro inver' l'altura.

9. 70 Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
9. 71 la mia matera, e però con più arte
9. 72 non ti maravigliar s'io la rincalzo.

9. 73 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
9. 74 che lÃ_ dove pareami prima rotto,
9. 75 pur come un fesso che muro diparte,

9. 76 vidi una porta, e tre gradi di sotto
9. 77 per gire ad essa, di color diversi,
9. 78 e un portier ch'ancor non facea motto.

9. 79 E come l'occhio più e più v'apersi,
9. 80 vidil seder sovra 'l grado sovrano,
9. 81 tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;

9. 82 e una spada nuda avea in mano,
9. 83 che reflettea i raggi sì ver' noi,
9. 84 ch'io drizzava spesso il viso in vano.

9. 85 «Dite costinci: che volete voi?»,
9. 86 cominciò elli a dire, «ov'è la scorta?
9. 87 Guardate che 'l venir sù non vi nòi».

9. 88 «Donna del ciel, di queste cose accorta»,
9. 89 rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi
9. 90 ne disse: "Andate lÃ_: quivi è la porta"».

9. 91 «Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
9. 92 ricominciò il cortese portinaio:
9. 93 «Venite dunque a' nostri gradi innanzi».

9. 94 LÃ_ ne venimmo; e lo scaglion primaio
9. 95 bianco marmo era sì pulito e terso,
9. 96 ch'io mi specchiai in esso qual io paio.

9. 97 Era il secondo tinto più che perso,
9. 98 d'una petrina ruvida e arsiccia,
9. 99 crepata per lo lungo e per traverso.

9.100 Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
9.101 porfido mi parea, sì fiammeggiante,
9.102 come sangue che fuor di vena spiccia.

9.103 Sovra questo tenea ambo le piante
9.104 l'angel di Dio, sedendo in su la soglia,
9.105 che mi sembiava pietra di diamante.

9.106 Per li tre gradi sù di buona voglia
9.107 mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
9.108 umilemente che 'l serrame scioglia».

9.109 Divoto mi gittai a' santi piedi;
9.110 misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
9.111 ma tre volte nel petto pria mi diedi.

9.112 Sette P ne la fronte mi descrisse
9.113 col punton de la spada, e «Fa che lavi,
9.114 quando se' dentro, queste piaghe», disse.

9.115 Cenere, o terra che secca si cavi,
9.116 d'un color fora col suo vestimento;
9.117 e di sotto da quel trasse due chiavi.

9.118 L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
9.119 pria con la bianca e poscia con la gialla
9.120 fece a la porta sì, ch'i' fu' contento.

9.121 «Quandunque l'una d'este chiavi falla,
9.122 che non si volga dritta per la toppa»,
9.123 diss'elli a noi, «non s'apre questa calla.

9.124 Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
9.125 d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
9.126 perch'ella è quella che 'l nodo digroppa.

9.127 Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
9.128 anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
9.129 pur che la gente a' piedi mi s'atterri».

9.130 Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
9.131 dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
9.132 che di fuor torna chi 'n dietro si guata».

9.133 E quando fuor ne' cardini distorti
9.134 li spigoli di quella regge sacra,
9.135 che di metallo son sonanti e forti,

9.136 non rugghiò sì né si mostrò sì acra
9.137 Tarpea, come tolto le fu il buono
9.138 Metello, per che poi rimase macra.

9.139 Io mi rivolsi attento al primo tuono,
9.140 e "*Te Deum laudamus*" mi parea
9.141 udire in voce mista al dolce suono.

9.142 Tale imagine a punto mi rendea
9.143 ciò ch'io udiva, qual prender si suole
9.144 quando a cantar con organi si stea;
9.145 ch'or sì or no s'intendon le parole.


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 16:56:

Purgatorio (canto 10)

10. 1 Poi fummo dentro al soglio de la porta
10. 2 che 'l mal amor de l'anime disusa,
10. 3 perché fa parer dritta la via torta,

10. 4 sonando la senti' esser richiusa;
10. 5 e s'io avesse li occhi vòlti ad essa,
10. 6 qual fora stata al fallo degna scusa?

10. 7 Noi salavam per una pietra fessa,
10. 8 che si moveva e d'una e d'altra parte,
10. 9 sì come l'onda che fugge e s'appressa.

10. 10 «Qui si conviene usare un poco d'arte»,
10. 11 cominciò 'l duca mio, «in accostarsi
10. 12 or quinci, or quindi al lato che si parte».

10. 13 E questo fece i nostri passi scarsi,
10. 14 tanto che pria lo scemo de la luna
10. 15 rigiunse al letto suo per ricorcarsi,

10. 16 che noi fossimo fuor di quella cruna;
10. 17 ma quando fummo liberi e aperti
10. 18 sù dove il monte in dietro si rauna,

10. 19 io stancato e amendue incerti
10. 20 di nostra via, restammo in su un piano
10. 21 solingo più che strade per diserti.

10. 22 Da la sua sponda, ove confina il vano,
10. 23 al piè de l'alta ripa che pur sale,
10. 24 misurrebbe in tre volte un corpo umano;

10. 25 e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,
10. 26 or dal sinistro e or dal destro fianco,
10. 27 questa cornice mi parea cotale.

10. 28 LÃ_ sù non eran mossi i piè nostri anco,
10. 29 quand'io conobbi quella ripa intorno
10. 30 che dritto di salita aveva manco,

10. 31 esser di marmo candido e addorno
10. 32 d'intagli sì, che non pur Policleto,
10. 33 ma la natura lì avrebbe scorno.

10. 34 L'angel che venne in terra col decreto
10. 35 de la molt'anni lagrimata pace,
10. 36 ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,

10. 37 dinanzi a noi pareva sì verace
10. 38 quivi intagliato in un atto soave,
10. 39 che non sembiava imagine che tace.

10. 40 Giurato si saria ch'el dicesse "*Ave*!";
10. 41 perché iv'era imaginata quella
10. 42 ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave;

10. 43 e avea in atto impressa esta favella
10. 44 "*Ecce ancilla Dei*", propriamente
10. 45 come figura in cera si suggella.

10. 46 «Non tener pur ad un loco la mente»,
10. 47 disse 'l dolce maestro, che m'avea
10. 48 c onde 'l cuore ha la gente.

10. 49 Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea
10. 50 di retro da Maria, da quella costa
10. 51 onde m'era colui che mi movea,

10. 52 un'altra storia ne la roccia imposta;
10. 53 per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,
10. 54 acciò che fosse a li occhi miei disposta.

10. 55 Era intagliato lì nel marmo stesso
10. 56 lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,
10. 57 per che si teme officio non commesso.

10. 58 Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
10. 59 partita in sette cori, a' due mie' sensi
10. 60 faceva dir l'un «No», l'altro «Sì, canta».

10. 61 Similemente al fummo de li 'ncensi
10. 62 che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
10. 63 e al sì e al no discordi fensi.

10. 64 Lì precedeva al benedetto vaso,
10. 65 trescando alzato, l'umile salmista,
10. 66 e più e men che re era in quel caso.

10. 67 Di contra, effigiata ad una vista
10. 68 d'un gran palazzo, Micòl ammirava
10. 69 sì come donna dispettosa e trista.

10. 70 I' mossi i piè del loco dov'io stava,
10. 71 per avvisar da presso un'altra istoria,
10. 72 che di dietro a Micòl mi biancheggiava.

10. 73 Quiv'era storiata l'alta gloria
10. 74 del roman principato, il cui valore
4 10. 75 mosse Gregorio a la sua gran vittoria;

10. 76 i' dico di Traiano imperadore;
10. 77 e una vedovella li era al freno,
10. 78 di lagrime atteggiata e di dolore.

10. 79 Intorno a lui parea calcato e pieno
10. 80 di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
10. 81 sovr'essi in vista al vento si movieno.

10. 82 La miserella intra tutti costoro
10. 83 pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
10. 84 di mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro»;

10. 85 ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
10. 86 tanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor mio»,
10. 87 come persona in cui dolor s'affretta,

10. 88 «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov'io,
10. 89 la ti farÃ_»; ed ella: «L'altrui bene
10. 90 a te che fia, se 'l tuo metti in oblio?»;

10. 91 ond'elli: «Or ti conforta; ch'ei convene
10. 92 ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
10. 93 giustizia vuole e pietÃ_ mi ritene».

10. 94 Colui che mai non vide cosa nova
10. 95 produsse esto visibile parlare,
10. 96 novello a noi perché qui non si trova.

10. 97 Mentr'io mi dilettava di guardare
10. 98 l'imagini di tante umilitadi,
10. 99 e per lo fabbro loro a veder care,

10.100 «Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
10.101 mormorava il poeta, «molte genti:
10.102 questi ne 'nvieranno a li alti gradi».

10.103 Li occhi miei ch'a mirare eran contenti
10.104 per veder novitadi ond'e' son vaghi,
10.105 volgendosi ver' lui non furon lenti.

10.106 Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
10.107 di buon proponimento per udire
10.108 come Dio vuol che 'l debito si paghi.

10.109 Non attender la forma del martìre:
10.110 pensa la succession; pensa ch'al peggio,
10.111 oltre la gran sentenza non può ire.

10.112 Io cominciai: «Maestro, quel ch'io veggio
10.113 muovere a noi, non mi sembian persone,
10.114 e non so che, sì nel veder vaneggio».

10.115 Ed elli a me: «La grave condizione
10.116 di lor tormento a terra li rannicchia,
10.117 sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione.

10.118 Ma guarda fiso lÃ_, e disviticchia
10.119 col viso quel che vien sotto a quei sassi:
10.120 giÃ_ scorger puoi come ciascun si picchia».

10.121 O superbi cristian, miseri lassi,
10.122 che, de la vista de la mente infermi,
10.123 fidanza avete ne' retrosi passi,

10.124 non v'accorgete voi che noi siam vermi
10.125 nati a formar l'angelica farfalla,
10.126 che vola a la giustizia sanza schermi?

10.127 Di che l'animo vostro in alto galla,
10.128 poi siete quasi antomata in difetto,
10.129 sì come vermo in cui formazion falla?

10.130 Come per sostentar solaio o tetto,
10.131 per mensola talvolta una figura
10.132 si vede giugner le ginocchia al petto,

10.133 la qual fa del non ver vera rancura
10.134 nascere 'n chi la vede; così fatti
10.135 vid'io color, quando puosi ben cura.

10.136 Vero è che più e meno eran contratti
10.137 secondo ch'avien più e meno a dosso;
10.138 e qual più pazienza avea ne li atti,
10.139 piangendo parea dicer: "Più non posso".


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 17:30:

Paradiso (canto 1)

1. 1 La gloria di colui che tutto move
1. 2 per l'universo penetra, e risplende
1. 3 in una parte più e meno altrove.

1. 4 Nel ciel che più de la sua luce prende
1. 5 fu' io, e vidi cose che ridire
1. 6 né sa né può chi di lÃ_ sù discende;

1. 7 perché appressando sé al suo disire,
1. 8 nostro intelletto si profonda tanto,
1. 9 che dietro la memoria non può ire.

1. 10 Veramente quant'io del regno santo
1. 11 ne la mia mente potei far tesoro,
1. 12 sarÃ_ ora materia del mio canto.

1. 13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
1. 14 fammi del tuo valor sì fatto vaso,
1. 15 come dimandi a dar l'amato alloro.

1. 16 Infino a qui l'un giogo di Parnaso
1. 17 assai mi fu; ma or con amendue
1. 18 m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.

1. 19 Entra nel petto mio, e spira tue
1. 20 sì come quando Marsia traesti
1. 21 de la vagina de le membra sue.

1. 22 O divina virtù, se mi ti presti
1. 23 tanto che l'ombra del beato regno
1. 24 segnata nel mio capo io manifesti,

1. 25 vedra'mi al piè del tuo diletto legno
1. 26 venire, e coronarmi de le foglie
1. 27 che la materia e tu mi farai degno.

1. 28 Sì rade volte, padre, se ne coglie
1. 29 per triunfare o cesare o poeta,
1. 30 colpa e vergogna de l'umane voglie,

1. 31 che parturir letizia in su la lieta
1. 32 delfica deitÃ_ dovria la fronda
1. 33 peneia, quando alcun di sé asseta.

1. 34 Poca favilla gran fiamma seconda:
1. 35 forse di retro a me con miglior voci
1. 36 si pregherÃ_ perché Cirra risponda.

1. 37 Surge ai mortali per diverse foci
1. 38 la lucerna del mondo; ma da quella
1. 39 che quattro cerchi giugne con tre croci,

1. 40 con miglior corso e con migliore stella
1. 41 esce congiunta, e la mondana cera
1. 42 più a suo modo tempera e suggella.

1. 43 Fatto avea di lÃ_ mane e di qua sera
1. 44 tal foce, e quasi tutto era lÃ_ bianco
1. 45 quello emisperio, e l'altra parte nera,

1. 46 quando Beatrice in sul sinistro fianco
1. 47 vidi rivolta e riguardar nel sole:
1. 48 aquila sì non li s'affisse unquanco.

1. 49 E sì come secondo raggio suole
1. 50 uscir del primo e risalire in suso,
1. 51 pur come pelegrin che tornar vuole,

1. 52 così de l'atto suo, per li occhi infuso
1. 53 ne l'imagine mia, il mio si fece,
1. 54 e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.

1. 55 Molto è licito lÃ_, che qui non lece
1. 56 a le nostre virtù, mercé del loco
1. 57 fatto per proprio de l'umana spece.

1. 58 Io nol soffersi molto, né sì poco,
1. 59 ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
1. 60 com'ferro che bogliente esce del foco;

1. 61 e di sùbito parve giorno a giorno
1. 62 essere aggiunto, come quei che puote
1. 63 avesse il ciel d'un altro sole addorno.

1. 64 Beatrice tutta ne l'etterne rote
1. 65 fissa con li occhi stava; e io in lei
1. 66 le luci fissi, di lÃ_ sù rimote.

1. 67 Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
1. 68 qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
1. 69 che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.

1. 70 Trasumanar significar *per verba*
1. 71 non si poria; però l'essemplo basti
1. 72 a cui esperienza grazia serba.

1. 73 S'i' era sol di me quel che creasti
1. 74 novellamente, amor che 'l ciel governi,
1. 75 tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.

1. 76 Quando la rota che tu sempiterni
1. 77 desiderato, a sé mi fece atteso
1. 78 con l'armonia che temperi e discerni,

1. 79 parvemi tanto allor del cielo acceso
1. 80 de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
1. 81 lago non fece alcun tanto disteso.

1. 82 La novitÃ_ del suono e 'l grande lume
1. 83 di lor cagion m'accesero un disio
1. 84 mai non sentito di cotanto acume.

1. 85 Ond'ella, che vedea me sì com'io,
1. 86 a quietarmi l'animo commosso,
1. 87 pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,

1. 88 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
1. 89 col falso imaginar, sì che non vedi
1. 90 ciò che vedresti se l'avessi scosso.

1. 91 Tu non se' in terra, sì come tu credi;
1. 92 ma folgore, fuggendo il proprio sito,
1. 93 non corse come tu ch'ad esso riedi».

1. 94 S'io fui del primo dubbio disvestito
1. 95 per le sorrise parolette brevi,
1. 96 dentro ad un nuovo più fu' inretito,

1. 97 e dissi: «GiÃ_ contento *requievi*
1. 98 di grande ammirazion; ma ora ammiro
1. 99 com'io trascenda questi corpi levi».

1.100 Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
1.101 li occhi drizzò ver' me con quel sembiante
1.102 che madre fa sovra figlio deliro,

1.103 e cominciò: «Le cose tutte quante
1.104 hanno ordine tra loro, e questo è forma
1.105 che l'universo a Dio fa simigliante.

1.106 Qui veggion l'alte creature l'orma
1.107 de l'etterno valore, il qual è fine
1.108 al quale è fatta la toccata norma.

1.109 Ne l'ordine ch'io dico sono accline
1.110 tutte nature, per diverse sorti,
1.111 più al principio loro e men vicine;

1.112 onde si muovono a diversi porti
1.113 per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
1.114 con istinto a lei dato che la porti.

1.115 Questi ne porta il foco inver' la luna;
1.116 questi ne' cor mortali è permotore;
1.117 questi la terra in sé stringe e aduna;

1.118 né pur le creature che son fore
1.119 d'intelligenza quest'arco saetta
1.120 ma quelle c'hanno intelletto e amore.

1.121 La provedenza, che cotanto assetta,
1.122 del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
1.123 nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;

1.124 e ora lì, come a sito decreto,
1.125 cen porta la virtù di quella corda
1.126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.

1.127 Vero è che, come forma non s'accorda
1.128 molte fiate a l'intenzion de l'arte,
1.129 perch'a risponder la materia è sorda,

1.130 così da questo corso si diparte
1.131 talor la creatura, c'ha podere
1.132 di piegar, così pinta, in altra parte;

1.133 e sì come veder si può cadere
1.134 foco di nube, sì l'impeto primo
1.135 l'atterra torto da falso piacere.

1.136 Non dei più ammirar, se bene stimo,
1.137 lo tuo salir, se non come d'un rivo
1.138 se d'alto monte scende giuso ad imo.

1.139 Maraviglia sarebbe in te se, privo
1.140 d'impedimento, giù ti fossi assiso,
1.141 com'a terra quiete in foco vivo».
1.142 Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.


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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 17:36:

Paradiso (canto 2)

2. 1 O voi che siete in piccioletta barca,
2. 2 desiderosi d'ascoltar, seguiti
2. 3 dietro al mio legno che cantando varca,

2. 4 tornate a riveder li vostri liti:
2. 5 non vi mettete in pelago, ché forse,
2. 6 perdendo me, rimarreste smarriti.

2. 7 L'acqua ch'io prendo giÃ_ mai non si corse;
2. 8 Minerva spira, e conducemi Appollo,
2. 9 e nove Muse mi dimostran l'Orse.

2. 10 Voialtri pochi che drizzaste il collo
2. 11 per tempo al pan de li angeli, del quale
2. 12 vivesi qui ma non sen vien satollo,

2. 13 metter potete ben per l'alto sale
2. 14 vostro navigio, servando mio solco
2. 15 dinanzi a l'acqua che ritorna equale.

2. 16 Que' gloriosi che passaro al Colco
2. 17 non s'ammiraron come voi farete,
2. 18 quando Iasón vider fatto bifolco.

2. 19 La concreata e perpetua sete
2. 20 del deiforme regno cen portava
2. 21 veloci quasi come 'l ciel vedete.

2. 22 Beatrice in suso, e io in lei guardava;
2. 23 e forse in tanto in quanto un quadrel posa
2. 24 e vola e da la noce si dischiava,

2. 25 giunto mi vidi ove mirabil cosa
2. 26 mi torse il viso a sé; e però quella
2. 27 cui non potea mia cura essere ascosa,

2. 28 volta ver' me, sì lieta come bella,
2. 29 «Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
2. 30 «che n'ha congiunti con la prima stella».

2. 31 Parev'a me che nube ne coprisse
2. 32 lucida, spessa, solida e pulita,
2. 33 quasi adamante che lo sol ferisse.

2. 34 Per entro sé l'etterna margarita
2. 35 ne ricevette, com'acqua recepe
2. 36 raggio di luce permanendo unita.

2. 37 S'io era corpo, e qui non si concepe
2. 38 com'una dimensione altra patio,
2. 39 ch'esser convien se corpo in corpo repe,

2. 40 accender ne dovrìa più il disio
2. 41 di veder quella essenza in che si vede
2. 42 come nostra natura e Dio s'unio.

2. 43 Lì si vedrÃ_ ciò che tenem per fede,
2. 44 non dimostrato, ma fia per sé noto
2. 45 a guisa del ver primo che l'uom crede.

2. 46 Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
2. 47 com'esser posso più, ringrazio lui
2. 48 lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.

2. 49 Ma ditemi: che son li segni bui
2. 50 di questo corpo, che lÃ_ giuso in terra
2. 51 fan di Cain favoleggiare altrui?».

2. 52 Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra
2. 53 l'oppinion», mi disse, «d'i mortali
2. 54 dove chiave di senso non diserra,

2. 55 certo non ti dovrien punger li strali
2. 56 d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi
2. 57 vedi che la ragione ha corte l'ali.

2. 58 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
2. 59 E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso
2. 60 credo che fanno i corpi rari e densi».

2. 61 Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
2. 62 nel falso il creder tuo, se bene ascolti
2. 63 l'argomentar ch'io li farò avverso.

2. 64 La spera ottava vi dimostra molti
2. 65 lumi, li quali e nel quale e nel quanto
2. 66 notar si posson di diversi volti.

2. 67 Se raro e denso ciò facesser tanto,
2. 68 una sola virtù sarebbe in tutti,
2. 69 più e men distributa e altrettanto.

2. 70 Virtù diverse esser convegnon frutti
2. 71 di princìpi formali, e quei, for ch'uno,
2. 72 seguiterieno a tua ragion distrutti.

2. 73 Ancor, se raro fosse di quel bruno
2. 74 cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte
2. 75 fora di sua materia sì digiuno

2. 76 esto pianeto, o, sì come comparte
2. 77 lo grasso e 'l magro un corpo, così questo
2. 78 nel suo volume cangerebbe carte.

2. 79 Se 'l primo fosse, fora manifesto
2. 80 ne l'eclissi del sol per trasparere
2. 81 lo lume come in altro raro ingesto.

2. 82 Questo non è: però è da vedere
2. 83 de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
2. 84 falsificato fia lo tuo parere.

2. 85 S'elli è che questo raro non trapassi,
2. 86 esser conviene un termine da onde
2. 87 lo suo contrario più passar non lassi;

2. 88 e indi l'altrui raggio si rifonde
2. 89 così come color torna per vetro
2. 90 lo qual di retro a sé piombo nasconde.

2. 91 Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
2. 92 ivi lo raggio più che in altre parti,
2. 93 per esser lì refratto più a retro.

2. 94 Da questa instanza può deliberarti
2. 95 esperienza, se giÃ_ mai la provi,
2. 96 ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.

2. 97 Tre specchi prenderai; e i due rimovi
2. 98 da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
2. 99 tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

2.100 Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
2.101 ti stea un lume che i tre specchi accenda
2.102 e torni a te da tutti ripercosso.

2.103 Ben che nel quanto tanto non si stenda
2.104 la vista più lontana, lì vedrai
2.105 come convien ch'igualmente risplenda.

2.106 Or, come ai colpi de li caldi rai
2.107 de la neve riman nudo il suggetto
2.108 e dal colore e dal freddo primai,

2.109 così rimaso te ne l'intelletto
2.110 voglio informar di luce sì vivace,
2.111 che ti tremolerÃ_ nel suo aspetto.

2.112 Dentro dal ciel de la divina pace
2.113 si gira un corpo ne la cui virtute
2.114 l'esser di tutto suo contento giace.

2.115 Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,
2.116 quell'esser parte per diverse essenze,
2.117 da lui distratte e da lui contenute.

2.118 Li altri giron per varie differenze
2.119 le distinzion che dentro da sé hanno
2.120 dispongono a lor fini e lor semenze.

2.121 Questi organi del mondo così vanno,
2.122 come tu vedi omai, di grado in grado,
2.123 che di sù prendono e di sotto fanno.

2.124 Riguarda bene omai sì com'io vado
2.125 per questo loco al vero che disiri,
2.126 sì che poi sappi sol tener lo guado.

2.127 Lo moto e la virtù d'i santi giri,
2.128 come dal fabbro l'arte del martello,
2.129 da' beati motor convien che spiri;

2.130 e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,
2.131 de la mente profonda che lui volve
2.132 prende l'image e fassene suggello.

2.133 E come l'alma dentro a vostra polve
2.134 per differenti membra e conformate
2.135 a diverse potenze si risolve,

2.136 così l'intelligenza sua bontate
2.137 multiplicata per le stelle spiega,
2.138 girando sé sovra sua unitate.

2.139 Virtù diversa fa diversa lega
2.140 col prezioso corpo ch'ella avviva,
2.141 nel qual, sì come vita in voi, si lega.

2.142 Per la natura lieta onde deriva,
2.143 la virtù mista per lo corpo luce
2.144 come letizia per pupilla viva.

2.145 Da essa vien ciò che da luce a luce
2.146 par differente, non da denso e raro;
2.147 essa è formal principio che produce,
2.148 conforme a sua bontÃ_, lo turbo e 'l chiaro».


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