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-- Tematika nr. 1 Lufta ne Irak (http://www.forumihorizont.com/showthread.php3?threadid=247)


Postuar nga Visitor datë 20 Shkurt 2003 - 00:15:

Arrow Perse jane pro dhe kundra luftes Europianet

Analiza eshte nga Panorama, me vjen keq qe eshte ne Italisht por eshte shume e gjate per ta perkthyer.

Perché falchi, perché colombe
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di _Paolo Papi

URL: http://www.panorama.it/europa/capit...1-A020001017648

Le posizioni che si fronteggiano sono sono ispirate da materialissimi interessi, dalla storia, dal peso che sono riusciti ad assumere i movimenti di opinione pubblica contrari al conflitto. Panorama.it le analizza, per capire mosse politiche e diplomatiche di anti-USA, filo-USA e neutralisti all'approssimarsi dell'ora X.

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Il documento comune firmato dai 15 stati membri dell'Unione Europea sulla questione irachena ha evitato una drammatica spaccatura ma rischia soltanto di rimandare una resa dei conti tra le varie anime del Continente a proposito della guerra. Soltanto con inevitabile semplificazione si può parlare di un partito «pacifista» guidato da Berlino e Parigi e uno «bellicista» dietro la Gran Bretagna e il suo premier Tony Blair. In realtÃ_, le posizioni che si fronteggiano in Europa sono almeno tre (falchi, colombe, neutralisti) e sono ispirate da diversi interessi, dalla storia, dal peso che sono riusciti ad assumere i movimenti di opinione pubblica contrari al conflitto con l'Iraq.

ANTI USA

Francia
- Il presidente francese Jacques Chirac e il suo ministro degli Esteri Domenique De Villepin hanno fatto pressione perché nel documento comune Ue non venisse fatto alcun riferimento alla necessitÃ_ di una seconda risoluzione delle Nazioni Unite contro l'Iraq. Il motivo è semplice: di fronte alla presentazione di un secondo testo targato Usa e Gran Bretagna, i paesi forti di un diritto di veto nel Consiglio di sicurezza come la Francia rischierebbero di arrivare a un'inevitabile scelta: con o contro gli Stati Uniti. Parigi dovrebbe scegliere tra fedeltÃ_ atlantica e sostegno alla propria opinione pubblica pacifista.
Posta di fronte a questo aut aut, la Francia potrebbe decidere di riallinearsi nella comunitÃ_ internazionale astenendosi in una eventuale seconda risoluzione più «soft»: ci stanno giÃ_ lavorando Londra e Washington e potrebbe prevedere (come ha chiesto la Giordania) l'ipotesi di un salvacondotto a Saddam Hussein e a 50 membri del suo esecutivo. Parigi in ogni caso vuole ottenere la garanzia che i propri crediti, e gli accordi bilaterali che ha stretto con l'attuale governo iracheno per l'estrazione e la raffinazione del greggio, vengano onorati da un nuovo gabinetto filoamericano insediato a Baghdad.
«Mi piacciono gli hamburger ma decido io cosa mangiare. E comunque» ha detto il presidente francese Jacques Chirac a Time «la nostra posizione filoatlantica non è in discussione, né ora né in futuro».
Dietro al no francese alla guerra, ci sono dunque sia ragioni materiali (legati agli attuali accordi con Baghdad) sia ragioni psicologico-nazionali, di grandeur, di cui chi siede all'Eliseo, soprattutto se proveniente da una tradizione postgollista come Chirac, deve tener conto.

Germania
- Il no tedesco alla guerra è ispirato da due ordini di ragioni, certamente più nobili di quelle di Parigi (ma anche aziende tedesche abbiano vantaggiosi accordi di estrazione petrolifera in Iraq, rese possibili dal programma Onu Oil for food).
Anzitutto la politica interna. La stentata vittoria lo scorso autunno di Gerhard Schröder sul candidato Cdu-Csu, Edmund Stoiber, è stata possibile grazie al no alla guerra pronunciato durante la campagna elettorale. E oggi, proprio per la seria situazione dei conti pubblici del paese (deficit oltre i limiti del patto di stabilitÃ_ europeo), il cancelliere può sperare di restare in sella solo giocando la carta della pace.
Una carta molto popolare in Germania, la cui opinione pubblica è tuttora costretta a convivere con il senso di colpa del passato nazista (senza un lavacro collettivo come la Resistenza in Italia) ed è dunque ferocemente contraria a qualsiasi ipotesi di intervento militare. Dietro il no alla guerra di Berlino, che ha ottenuto che nel documento Ue fosse inserita la postilla sull'uso della forza «solo in ultima istanza», ci sono dunque ragioni storiche e attuali. Solo la carta della pace può garantire al cancelliere la sopravvivenza politica, anche se l'orientamento americano a ritirare truppe e mezzi Nato dal paese per trasferirle nei nuovi stati membri dell'Alleanza in Europa orientale porrebbe pesanti interrogativi sui rapporti Berlino-Washington.

Paesi scandinavi
- La particolare posizione geopolitica della Finlandia, la sua antica vicinanza con la Russia bolscevica e la sua lontananza dal cuore dell'Europa continentale, ha fatto sì che in tutto il dopoguerra la politica estera del paese, guidato dal 1995 dal socialista Paavo Lipponen, fosse ispirata al più rigoroso neutralismo. La richiesta di aderire alla Nato a partire dal 2006 sarÃ_ probabilmente accolta, specie se anche la Svezia aderirÃ_ al Patto atlantico. Ma il riposizionamento internazionale del paese dopo cinquant'anni di neutralismo (a un mese dalle elezioni generali del marzo 2003) avverrÃ_ gradatamente.
Un altro paese tradizionalmente neutralista è la Svezia di Goran Persson, che ha accettato che venisse inserito il riferimento all'uso della forza contro l'Iraq purché venisse inserita la dicitura tedesca «in ultima istanza». La contrarietÃ_ in passato di parecchi svedesi all'adozione dell'euro, la tradizione neutralista, l'orgoglio per il proprio modello storico di welfare hanno fatto sì che la posizione di Stoccolma tra i 15 fosse in qualche modo scontata: indipendenza nazionale, non solo sul piano delle politiche economiche, ma anche delle questioni delle alleanze internazionali.

Belgio
– Il guastafeste della politica internazionale. Persino più di Francia e Germania. In nome della diplomazia etica, formula inventata dal ministro degli Esteri, il liberale Louis Michel, il governo belga ha prima contrariato gli Stati Uniti di George Bush, cui ha fatto sapere di non gradire l'attacco all'Iraq, poi lo stesso Stato di Israele di Ariel Sharon, di cui ha chiesto la incriminazione al Tribunale penale internazionale, per i fatti risalenti alle stragi di Sabra e Chatila in Libano del 1982.
Promotore della dichiarazione di Laeken che ha posto le basi a fine 2001 per una riforma dell'Ue e l'avvio della Costituzione europea, il Belgio appare impegnato a riacquistare un ruolo internazionale (che ha perso fin dall'etÃ_ del colonialismo) sfruttando la simbiosi culturale, linguistica ed economica con la Francia. Ma se Parigi si defila dall'alleanza antibellica, come reagirÃ_ il piccolo paese vicino?

FILO USA

Tra i paesi dell'Unione Europea che, a fine gennaio, hanno firmato il documento di solidarietÃ_ alla politica estera statunitense in Iraq ("L'Europa e l'America devono rimanere unite") compaiono Italia, Gran Bretagna, Spagna, Ungheria, Portogallo, Danimarca, Polonia e Repubblica Ceca. Sono, per Washington, i paesi su cui contare contro Saddam e che in prospettiva potranno fornire quel sostegno internazionale necessario per dare il via alle operazioni belliche: come ha ricordato George Bush, «anche qualora non ci fosse l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza». Nella stesura del documento Ue hanno giocato ruoli differenti. La Gran Bretagna ha spinto perché fosse inserito un esplicito riferimento all'uso della forza contro Baghdad, mentre l'Italia ha cercato, soprattutto nelle ultime settimane, un ruolo di ponte tra le anime Ue e di mediazione nell'area mediorientale, di cui la telefonata di Silvio Berlusconi al leader libico Muhammar Gheddafi è una chiara dimostrazione.
La Spagna del primo ministro José Maria Aznar, pur avendo un'opinione pubblica schierata in maggioranza (75%, secondo El Mundo) contro l'intervento, ha invece accentuato il suo profilo di fedele alleata degli Stati Uniti, di campione della lotta antiterroristica, dichiarandosi pronta a prestare le proprie basi e inviare in Iraq i propri uomini.

Gran Bretagna
- Nel documento UE Londra ha fatto inserire il riferimento all'uso della forza contro Baghdad e si è battuta affinché venisse inserita anche la frase «Il tempo sta per scadere per Saddam», poi stralciata a causa dell'opposizione di Berlino. L'asse Blair-Bush è comunque uno dei capisaldi delle attuali alleanze internazionali: «Chi gioca a dividere America ed Europa» ha fatto sapere Downing Street, all'indomani della stesura del documento, «compie il gioco più pericoloso che si conosca».
L'ex potenza coloniale in Iraq ha espresso, sin dalla prima guerra del Golfo, chiaro sostegno a tutte le iniziative Usa volte a rovesciare il regime di Saddam: dai bombardamenti sugli obiettivi sensibili situati nelle no fly zone del nord e del sud del paese fino all'operazione Desert Fox lanciata da Bill Clinton nel 1988. E la sua partecipazione attiva alle operazioni belliche dell'ultimo decennio ha reso il rapporto Washington-Londra sempre più saldo e duraturo.
Ci sono però alcune differenze tra Londra e Washington: il premier Blair ha fatto sapere a più riprese di preferire una guerra sotto l'egida delle Nazioni Unite e si è battuta affinché le asperitÃ_ verbali dell'Amministrazione Bush non pregiudicassero i rapporti in seno all'Unione. La diplomazia inglese ha cercato di tessere una fitta trama di rapporti per evitare spaccature in seno alla comunitÃ_ internazionale, all'Onu e all'Unione. Mentre giÃ_ all'indomani dell'11 settembre il segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld, ha patrocinato quella che in seguito Colin Powell ha definito «il sistema di alleanze a geometria variabile» americano: «Se per una ragione qualsiasi l'alleanza contro il terrorismo non tollerasse l'azione contro l'Iraq, allora l'alleanza andrebbe cambiata».

Italia
- Il premier Silvio Berlusconi sa che l'ipotesi di un intervento in Iraq non piace alla maggioranza degli italiani. Ma non è solo per questo che, dopo aver posto la sua firma al documento degli otto a sostegno della politica americana, ha puntualizzato il ruolo internazionale del Paese. Accentuando la vocazione storica italiana a fare da ponte tra le varie anime europee e mediterranee, il premier ha scelto di evitare spaccature nell'Ue e di porsi nel solco della tradizione europeista-mediterranea dei governi a guida Dc del dopoguerra, ancorati fedelmente alla Nato ma pronti a giocare un ruolo parzialmente autonomo verso gli stati arabi (cui siamo legati da floridi rapporti commerciali).

L'alleanza con gli Stati Uniti non è in discussione, e nemmeno la concessione delle basi di Aviano e Camp Derby. Ma a spiegare la posizione di ponte che l'Italia va assumendo intervengono altri fattori: i buoni rapporti (commerciali e politici) con la Russia di Vladimir Putin, l'amicizia economica con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la disponibilitÃ_ a ridare all'Italia un ruolo di primo piano nelle crisi internazionali.

Spagna e Portogallo
- Il premier popolare José Maria Aznar è uno dei più convinti alleati dell'opzione bellica in Iraq. Nonostante le oceaniche manifestazioni che si sono svolte a Madrid e Barcellona. Rafforzare le ispezioni, come scritto nel piano Mirage di Berlino e Parigi? «Non se ne parla. Sarebbe percepito come un evidente segno di debolezza», ha dichiarato il ministro degli esteri Ana de Palacio. A spiegare le ragioni del sì spagnolo ci sono anche fattori legati alla politica interna e alla guerra che il premier spagnolo ha dichiarato all'organizzazione terroristica basca Eta. Sull'onda dell'orrore per gli attentati dell'11 settembre 2001 e della recrudescenza del terrorismo separatista in Spagna, infatti, Aznar ha ottenuto da Washington che l'Eta venisse inserita nella lista del terrorismo stilata dal Pentagono. Madrid ha risposto fornendo pieno sostegno a tutte le operazioni Usa contro il terrorismo islamico nel Paese iberico.
Campione di un'Europa liberale in prima linea nella lotta contro il terrore, sostenitore da sempre di un'apertura a Est dell'Unione, assertore di una Spagna finalmente protagonista sulla scena internazionale dopo gli anni bui del franchismo, Aznar ha scelto di lasciarsi definitivamente alle spalle i Pirenei e di rinsaldare l'alleanza strategica con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Anche il Portogallo del Partito socialdemocratico (di centrodestra) di José Manuel Durrao Barroso ha fatto sapere di essere disponibile a concedere le sue basi aeree situate nelle Azorre per un' eventuale operazione bellica in Iraq. Lisbona ha scelto di sostenere apertamente la politica di Stati Uniti e Gran Bretagna. Come e più che nella Spagna, contribuiscono il ricordo di un'antica grandezza imperiale-marittima e la volontÃ_ di lasciarsi alle spalle l'antico isolamento geografico politico durato per tutto il periodo della guerra fredda.
Danimarca e Olanda
- Il governo liberalconservatore di Andres Fogh Rasmussen, dopo aver firmato l'appello degli otto a sostegno di Washington, ha assunto una posizione via via più defilata nella attuale crisi irachena. Il paese scandinavo non sarÃ_ coinvolto in una guerra, ha detto Rasmussen, «senza l'assenso delle Nazioni Unite». A spiegare le ragioni del nì danese, ci sono fattori legati, come per la Svezia, a una tradizione antieuropeista e a diffidenza verso la perdita di eventuali fette di sovranitÃ_ nazionale a vantaggio dell'Ue e di tutte le potenze internazionali. L'opinione pubblica è schierata contro la guerra. La stessa cosa si può dire per l'Olanda del primo ministro Wim Kok che pure ha firmato la dichiarazione degli Otto e si è detto disponibile ad autorizzare il transito di truppe e armamenti sul proprio territorio.

NEUTRALISTI
Tra i paesi che finora sono stati alla finestra e hanno giocato un ruolo defilato nell'attuale crisi mediorientale ci sono Lussemburgo, Grecia, Austria e Irlanda. Nel caso austriaco e lussemburghese la neutralitÃ_ è iscritta nelle costituzioni e, a meno di un sì del Consiglio di sicurezza dell'Onu, difficilmente potranno appoggiare un attacco.In Irlanda le mobilitazioni pacifiste di questi giorni hanno reso problematico l'uso della scalo di Shannon: la World Airways ha deciso di non utilizzarlo.
Il ruolo di Atene, pacifista per tradizione anche a causa della sua vicinanza geografica con l'Europa balcanica sotto l'influenza russa, è più complesso: ma il presidente di turno di turno dell'Ue, Costas Simitis, ha detto: "Se l'Iraq non userÃ_ l'opportunitÃ_ che gli viene data con la risoluzione 1441 per disarmarsi pacificamente, si prenderÃ_ la piena responsabilitÃ_ di tutte le conseguenze"


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