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Dante Alighieri
Nacque a Firenze nel maggio del 1265 da Alighiero, di famiglia guelfa nobile ma non ricca. Presso scuole e maestri, a Firenze e Bologna, apprese l'arte retorica e da se stesso l'arte di "dir parole per rima", cui si dedicò con ingegno e passione fin dai primi anni della giovinezza. Fu amico di molti poeti e soprattutto di Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, coi quali ebbe, secondo l'uso del tempo, una corrispondenza in versi. A 18 anni si innamorò di Beatrice, figlia di Folco Portinari andata poi sposa a Simone dei Bardi,e per lei scrisse numerose rime alla maniera stilnovistica. Dopo la morte di lei,avvenuta nel 1290,si dedicò con maggiore impegno ai suoi studi, che riguardavano i classici antichi e le opere letterarie moderne italiane, francesi e provenzali, la teologia, la politica, la filosofia, la retorica, l'arte, la lingua. Per partecipare alla vita politica di Firenze si iscrisse all'arte dei medici e speziali. A quel tempo i guelfi di Firenze, dopo aver cacciato i ghibellini dalla cittÃ_, s'erano divisi in due fazioni: i Bianchi, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, ed i Neri, guidati dai Donati. Dante appoggiò i primi, più gelosi dell'indipendenza della propria cittÃ_, pur avendo sposato una Donati, Gemma, dalla quale ebbe tre figli, Iacopo, Pietro ed Antonia, che poi divenne suora ed assunse il nome di Beatrice. Tra il 1295 e il 1296 fece parte del Consiglio speciale del Capitano del Popolo e del Consiglio dei Cento. Dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 fu uno dei Priori. L'anno successivo i Neri, con l'aiuto di Carlo di Valois, inviato dal Papa Bonifacio VIII, si impadronirono del potere, mettendo al bando i Bianchi. Dante, che si era recato dal papa per convincerlo a desistere dai suoi propositi di interferire nella politica del comune fiorentino, non poté far ritorno in cittÃ_, perché condannato per due anni all'esilio sotto la falsa accusa di baratteria. Da allora visse in esilio, non avendo mai accettato l'invito dei Fiorentini a rientrare in cittÃ_ a patto di riconoscersi colpevole dei reati di cui era stato ingiustamente accusato. Fu ospite di Bartolomeo della Scala a Verona, dei marchesi Malaspina in Lunigiana, ancora a Verona di Cangrande della Scala ed infine di Guido Novello da Polenta a Ravenna, dove morì nel settembre del 1321.
Di temperamento fiero e risoluto, Dante non mostrò mai debolezze e tentennamenti. Convinto che la giustizia superiore di Dio dovesse compiersi anche nella vita terrestre, pose tutto il suo impegno di studioso e di scrittore al servizio della redenzione dell'umanitÃ_, che gli sembrava ai suoi tempi aver toccato il fondo del male.
waw, dante
interesante Ami-. shume e bukur kjo teme, po s'ke thene ca gjera. maqe eshte shkrimtari im i prefeuar po i them une!
Me jep pak kohe moj mace e keqe, se aty eshte e bukura qe sekretet te nxirren pak nga pak pa bere buje e pa i shokuar njerezit. Megjithese te them te drejten Dantja me eshte dukur gjithmone shume i veshtire dhe kur e kam pasur ne provim i kam kaluar nje per nje rrathet e ferrit te Dantes. Per fat me ndihmoi me teper memorja se sa dedikimi im shpirteror qe ishte fare i ulet. Gjithsesi kam shpetuar prej Dantes dhe tani po hakmerrem duke u futur edhe juve ne universin e tij ne te cilin per fat te keq une kam shijuar vete,m "ferrin"
Komedia Hyjnore (Divina Commedia)
Per poter fare un qualsiasi discorso interpretativo sulla Divina Commedia,è indispensabile anzitutto chiarire alcune questioni.
La Prima è questa: Dante va, di volta in volta, distinto in tre ruoli specifici: quello dell'autore, quello del narratore e quello del personaggio. Come "autore" è colui che scrive l'opera; come "narratore" è colui che racconta all'autore gli eventi che costituIscono la trama dell'opera; come "personaggio" è il protagonista degli eventi stessi. Naturalmente la sequenza autore-narratore-Personaggio, valida per il lettore che si avvicina alla Divina Commedia e scopre nell'autore il narratore e nel narratore il personaggio, si ribalta totalmente per Dante,il quale, da "protagonista" di una "visione", si fa prima "narratore" della stessa" e, quindi, "autore" di un'opera che quella visione racconta. Un esempio: il personaggio Dante, a trentacinque anni di etÃ_, si smarrì in una selva oscura; il narratore Dante confessa l'episodio; l'autore versifica: "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura". Come si vede chiaramente l' "autore" traduce in versi il racconto del "narratore" che, ovviamente,usa il verbo al passato ("mi ritrovai") per distinguersi dal "personaggio". A sua volta l' "autore", quasi a voler sottolineare il distacco da entrambi (cioè dal narratore e dal personaggio) ed a voler affermare il suo diritto ad esprimere giudizi sul significato morale ed anagogico della vicenda narrata, dice "di nostra vita" col chiaro intento di coinvolgere, fin dalle prime battute, nell'esperienza del personaggio l'intera umanitÃ_.
Però se i ruoli del personaggio, del narratore e dell'autore vanno distinti, non si deve tuttavia pretendere che essi non si confondano o sovrappongano, trattandosi pur sempre della stessa persona, cioè di Dante. Per esempio,nella terzina successiva, autore e narratore si confondono ("Ahi quanto a dir qual era è cosa dura"), mentre subito dopo autore e personaggio si distinguono l'uno dall'altro alternandosi: "ma per trattar del ben (qui c'è l'autore) ch'io vi trovai (qui c'è il personaggio), dirò de l'altre cose (autore) ch' i' v'ho scorte (personaggio). Io non so ben ridir (autore) com' i' v'entrai (personaggio)".
La seconda questione da chiarire è quella dei "sensi" da atribuire alla scrittura per interpretare compiutamente l'opera.
Come si sa,fin dai primi secoli del Medioevo, era invalso l'uso di interpretare i Sacri testi (Antico e Nuovo testamento) risalendo dal senso letterale a quello allegorico, a quello morale ed a quello anagogico. Verso la fine del Medioevo tale metodo interpretativo fu esteso anche alle opere letterarie e, in particolare,a quelle poetiche. Lo dice lo stesso Dante nel "Convivio", chiarendo anche il valore e le caratteristiche dei quattro sensi: quello "letterale" si ricava dalle parole pure e semplici usate dall'autore per narrare un episodio (Dante, perdutosi in una selva oscura, ai primi raggi del sole scopre un colle che potrebbe costituite per lui la strada della salvezza, ma è impedito nell'ascesa da tre fiere che lo risospingono in basso); quello "allegorico" bisogna intuirlo dal letterale (ad esempio, la selva oscura rappresenta il peccato, il Sole la Grazia Divina illuminante che indica la via della redenzione, il colle indica la via del riscatto dal peccato, le tre fiere - lonza, leone e lupa - rispettivamente i tre vizi capitali che ostacolano il cammino dell'uomo peccatore verso il bene, e cioè la lussuria, la superbia e l'avarizia); quello "morale" si ricava poi dal senso allegorico: nell'episodio riferito sarebbe che l'uomo caduto nel peccato mortale non può, con la sola forza della volontÃ_, riscattarsi, anche se la Grazia Divina gli indica la strada, ma ha bisogno di ricorrere alla Ragione umana (Virgilio),la quale tuttavia, se vale a far superare l'ostacolo rappresentato dai vizi capitali, nemmeno potrebbe condurre alla salvezza eterna, cioè al Paradiso,senza la Fede (Beatrice).
Più ardua è la definizione del senso "anagogico",per quanto riguarda l'interpretazione della Divina Commedia, perché lo stesso Dante, sempre nel "Convivio", sembra riservarlo alle sole Scritture. Infatti egli porta l'esempio del popolo d'Israele che, guidato da Mosè, si libera dalla schiavitù egiziana attraversando il Mar Rosso, e interpreta l'episodio narrato nella Bibbia come simbolico del popolo dei credenti che, guidato dal Cristo, si libera dalla schiavitù del paganesimo. C'è però da dire che nell' Epistola a Cangrande il Poeta riconosce che comunque il senso anagogico è possibile riscontrarlo in tutte le opere che trattano di cose riguardanti l'eternitÃ_, il mondo dell' aldilÃ_, e quindi anche nella "Commedia". Ma per poter estendere il senso "anagogico" alla interpretazione della Divina Commedia, bisogna far ricorso alla proposta dell'Auerbach. Questi, riferendosi al metodo dell'esegesi biblica medievale, afferma che i primi teologi cattolici consideravano i fatti della vita terrena narrati nel Vecchio Testamento come "figure" di una realtÃ_ più solida ed eterna, quella rivelata nel Nuovo testamento. Con questo procedimento un avvenimento o un personaggio storico vengono proiettati verso l'eternitÃ_, lÃ_ dove si realizza il disegno divino, e perciò sono "figura" reale di una realtÃ_ ancor più vera. Insomma, come afferma il Pasquazi, l'interpretazione figurale proposta dall' Auerbach "vede la realtÃ_ terrena e la realtÃ_ eterna come due momenti di cui il primo significa anche l'altro, mentre l'altro comprende e adempie il primo". Infatti l'Auerbach così spiega il significato anagogico della Commedia: essa "è la storia dell'evoluzione e della salvezza d'un uomo singolo, di Dante, e come tale una figurazione della salvezza dell'umanitÃ_". Anche Umberto Bosco concorda con la tesi dell' Auerbach quando afferma che la legge generale della Commedia consiste nell' "assunzione del personale a valore universale".
Tuttavia,nel leggere e nello studiare la Divina Commedia, non dobbiamo mai dimenticarci che essa è essenzialmente un'opera di altissima poesia. Tutto il discorso fatto prima ci aiuta a penetrare nel significato morale dell'opera,in un certo senso ad assecondare la volontÃ_ dello stesso Dante che, appunto, nella Commedia intendeva dare un contributo al riscatto dell'umanitÃ_ dal peccato. Ma, al di lÃ_ delle intenzioni, il poeta ha prevalso sul moralista. Come afferma giustamente il De Sanctis, "Dante è stato illogico; ha fatto altra cosa che non intendeva". Infatti la Commedia appare al critico Irpino "il Medio Evo realizzato, come arte, malgrado l'autore e malgrado i contemporanei". Questo giudizio basta da solo a spiegarci come sia possibile,in un poema che si propone di esaltare la beatitudine eterna e di indicare la strada del riscatto e della purificazione dal peccato, dalla carne, dalla storia, dalla vita terrena, trovarvi tanto peccato, tanta carne, tanta storia descritti con un linguaggio crudo e finanche "ripugnante" (come osservò il Goethe). A tal proposito l'Auerbach cita un verso, apparentemente volgare, che compare in uno dei passi più "solenni" del "Paradiso", e cioè: "e lascia pur grattar dov'è la rogna", ma il critico ha precedentemente precisato che "Dante non conosce limiti nella rappresentazione esatta e schietta del quotidiano, del grottesco e del repellente; cose che in sé non potevano venir considerate "sublimi" nel senso antico, lo diventano con lui per la prima volta". Proprio da ciò l'Auerbach nota l'enorme distanza che intercorre tra Virgilio (classico) e Dante (moderno). E, rifacendosi ad un giudizio di Benvenuto da Imola, afferma che la Divina Commedia contiene ogni sorta di poesia ed ogni sorta di scienza, ed anche se l'autore l'ha definita "Commedia" per lo stile umile e la lingua popolare, essa tuttavia appartiene al genere di poesia "sublime e grandioso".
La Divinia Commedia
Poema in terzine di endecasillabi, di cento canti, divisi in tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso), scritto da Dante Alighieri. La prima idea di narrare un viaggio ultraterreno a celebrazione di Beatrice si può riconoscere in alcuni versi della canzone giovanile Donne ch’avete intelletto d’amore (1289 circa):
Diletti miei, or sofferite in pace
che vostra speme sia quanto me piace
lÃ_ ov’è alcun che perder lei s’attende,
e che dirÃ_ ne lo inferno: O mal nati,
io vidi la speranza de’ beati.
Il proposito appare più maturo nella chiusa della Vita nuova, dove Dante dichiara, in seguito a una mirabile visione, di non voler dire di Beatrice finché non possa trattare di lei più degnamente. Al poema però egli prese a lavorare soltanto fra il 1306 e il 1307, quando interruppe la composizione del Convivio, e gli risultò chiaro che la sua personalitÃ_ avrebbe potuto esprimersi a pieno, meglio che in un trattato filosofico, in un’opera nella quale anche filosofia e scienza recassero l’impronta di una soggettiva e drammatica conquista.
L’Inferno fu dunque composto fra il 1307 e il 1310, il Purgatorio fra il 1310 e il 1313, e l’una e l’altra cantica vennero pubblicate dopo la morte di Arrigo VII, quando giÃ_ il poeta lavorava al Paradiso, che nella sua integritÃ_ venne alla luce postumo. Il titolo "Commedia" fu dato avendo riguardo alla distinzione medievale fra commedia e tragedia, ossia al fatto che la materia del poema, sul principio dolorosa, ha una conclusione lieta, ma in considerazione pure dello stile, giacché - secondo la teoria esposta nel De vulgari eloquentia - comico è lo stile che può accogliere in sé anche elementi umili e realistici. L’epiteto di "divina" venne proposto dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, ed ebbe fortuna da quando apparve la prima volta sul frontespizio di un’edizione veneziana del 1555.
Dai racconti medievali di viaggi nell’oltretomba e dalle descrizioni popolaresche dell’aldilÃ_ il poema dantesco si differenzia, oltre che per l’altissima poesia, per la soliditÃ_ strutturale. Il viaggio che il poeta immagina cominciato la sera dell’8 aprile 1300 e durato una settimana - il tempo della passione e resurrezione di Cristo nell’anno del grande giubileo indetto da Bonifacio VIII - si svolge in un mondo che non ha soltanto contorni ben definiti, ma rispecchia nel suo ordine un’organica concezione dell’universo. L’Inferno è immaginato come un immenso cono capovolto che ha l’ingresso sotto Gerusalemme e il vertice al centro della Terra, dove sta confitto Lucifero: esso ebbe origine quando il grande ribelle precipitò dal cielo e la Terra, ritraendosi per l’orrore, formò i continenti dell’emisfero boreale. Nell’Antinferno, al di qua dell’Acheronte, stanno gli ignavi e gli angeli che nel giorno della ribellione di Lucifero si tennero neutrali. Il primo cerchio è il Limbo, dove con i fanciulli innocenti non salvati dal battesimo si trovano i magnanimi che, vissuti o innanzi o fuori dal cristianesimo, praticarono le sole virtù cardinali. I dannati sono poi distribuiti in modo che coloro che peccarono d’incontinenza - lussuriosi, golosi, avari e prodighi, superbi e iracondi - occupino i cerchi dal secondo al quinto; nel sesto, dove comincia la cittÃ_ di Dite, stanno coloro che volontariamente mancarono di fede, vale a dire gli eretici; nel settimo quelli che peccarono per bestialitÃ_, distinti nei tre gironi dei violenti contro il prossimo, violenti contro se stessi e le proprie cose, violenti contro Dio, natura e arte; nell’ottavo o Malebolge, distinto in dieci cerchi minori, coloro che commisero frode in danno di chi non aveva speciali motivi di fidarsi (seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri di frode, seminatori di scandali e scismi, falsari); nel nono coloro che esercitarono la frode verso chi aveva ragione di fidarsi, ed essi (tutti confitti nel ghiaccio di Cocito) si trovano divisi in quattro zone, Caina, Antenora, Tolomea, Giudecca, secondo che tradirono i congiunti, la parte politica, gli ospiti, imperatori o papi.
Più semplice è la struttura del Purgatorio, le cui sette cornici corrispondono ai sette peccati capitali: superbia, invidia, ira - che nascono da eccessivo amore di sé -; ignavia — che è difetto d’amore —; avarizia, gola, lussuria — che sono conseguenza di un amore delle cose non controllato da ragione. Tenendo conto dell’Antipurgatorio, nel quale le anime prima di essere sottoposte alle varie pene espiano il tardivo pentimento, e del Paradiso terrestre che si apre in vetta al monte, anche nella divisione del Purgatorio si ripete il mistico numero nove, il quale torna pure nel Paradiso.
Al di sopra, infatti, dell’atmosfera terrestre e della zona di fuoco che la chiude, si volgono concentrici come sfere diafane rotanti intorno alla Terra i nove cieli del sistema tolemaico (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle Fisse, Primo Mobile), al di lÃ_ dei quali si apre infinito e immateriale l’Empireo.
Nel suo viaggio ultraterreno Dante ha come guida Virgilio sino alla vetta del Purgatorio, e di qui all’Empireo Beatrice: quando essa sale a occupare il seggio che i suoi meriti le hanno sortito nella Rosa dei beati, affinché il poeta possa portare a compimento la visione beatifica di Dio gli è confortatore e consigliere san Bernardo. Virgilio, sulla cui personalitÃ_ di saggio oltre che di poeta il medioevo aveva intrecciato curiose leggende, adempie la funzione di maestro fin dove la ragione umana può penetrare i misteri di Dio; Beatrice, che giÃ_ in Terra era trascorsa come un’apparizione angelica, è l’incarnazione di una bellezza pura e di una sapienza luminosa alla quale il poeta tutto si affida nell’ultima sua ascesa. L’uno e l’altra sono figure essenziali al mistico viaggio di Dante, creature ricche di vita, nelle quali si rispecchia sublimata non solo la sete di sapere del poeta ma il suo profondo bisogno di intime corrispondenze affettive, e per esse si comprende come il soggettivo e l’oggettivo, l’impulso autobiografico e il significato universale si fondano e si compenetrino nel grande poema. Del resto la concezione stessa del viaggio nell’oltretomba, necessaria espiazione di colpe personali ma pure voluto perché il poeta rammenti all’umanitÃ_ sviata quali sono i suoi veri fini, nacque dall’esigenza di dare un significato oggettivo a un’esperienza personale. Per questo giudicando e ammonendo, Dante assunse funzione più che di poeta: volle essere maestro di veritÃ_ morali, religiose, politiche, e nell’allegoria generale del poema ha un significato altissimo la profezia dell’avvento di colui che dovrÃ_ riportare la giustizia in Terra, adombrato vagamente nella figura del Veltro del primo canto dell’Inferno, più chiaramente definito nel "cinquecento diece e cinque" del trentatreesimo canto del Purgatorio: un personaggio nel quale, e per il luogo in cui esso si colloca — al termine della mistica processione cui Dante assiste nel Paradiso terrestre — e per il tempo in cui gli ultimi canti del Purgatorio vennero composti, è ben motivato riconoscere Arrigo VII, restauratore dell’Impero.
Ma la poesia stessa della Divina Commedia, nel suo vario e pur coerente manifestarsi, mostra con quale potenza di fantasia Dante abbia dato consistenza oggettiva a ciò che nasceva dalla sua partecipazione umana alla vita. Ove si eccettuino pochi personaggi che, attinti dal mito o dalla storia antica, grandeggiano per il significato morale che a essi attribuì il poeta — i mostri infernali, Giasone, Capaneo, Ulisse, Catone, Stazio — nel poema rivivono uomini e vicende della vita contemporanea tanto che persino nel Paradiso i santi dei quali è rievocata la vita con maggiore ricchezza di particolari sono quelli più vicini nel tempo e la cui lezione restava più attuale: san Francesco, san Domenico, san Pier Damiani. Tuttavia la poesia dantesca non ristagna mai nella cronaca, e sia che il poeta condanni chi si macchiò d’infamia o esalti chi ebbe animo grande, sia che compianga chi ingiustamente sofferse o rievochi con cuore commosso chi ebbe amico nella vita terrena, egli crea figure che hanno il palpito eterno della poesia. È vero piuttosto che nelle tre cantiche, le quali corrispondono a tre momenti della vita spirituale del poeta, si danno toni fondamentalmente diversi: nell’Inferno prevale la drammaticitÃ_ appassionata, nel Purgatorio più si dispiega una malinconica elegia, nel Paradiso un lirismo commosso e contemplativo. Non mai però si attenua la partecipazione alla vita terrena, ché anzi nel Paradiso l’invettiva contro la Chiesa degenere e contro ogni specie di corruzione morale suona più aspra che altrove. Nella terza cantica si fa invece più ardua la materia dottrinale, che è pur presente in tutto il poema, e al lettore moderno più grave viene a proporsi il quesito del rapporto tra scienza e poesia, perché se sovente Dante dalla difficile materia scientifica, tanto a fondo posseduta da divenire oggetto di serena contemplazione, riesce a estrarre poesia di alta ispirazione, non di rado tuttavia mette in versi qui, più che nelle prime due cantiche, concetti filosofici e tesi scientifiche del tutto vuoti di spirito poetico. Ma a distinguere con chiarezza nella Divina Commedia la poesia da ciò che poesia non è, e pure ha un valore positivo, soltanto la critica moderna è arrivata attraverso lunghe e pazienti discussioni. Nel poema i contemporanei, pur avvertendone l’alto pregio artistico, ammirarono innanzi tutto la vasta dottrina e apprezzarono il nobile insegnamento morale, e ben presto si ebbero commenti in latino e in volgare. Il più antico di essi, limitato al solo Inferno, si deve al figlio del poeta, Iacopo; poco dopo la morte di Dante, nel 1324, espose in latino l’Inferno Graziolo Bambaglioli, notaio bolognese, e non molti anni più tardi Iacopo della Lana commentò in volgare le tre cantiche. Altri commenti seguirono sino alla fine del secolo: il così detto "Ottimo Commento" di un anonimo fiorentino, quello pregevolissimo del Boccaccio rimasto interrotto al diciassettesimo canto dell’Inferno, quello latino di Benvenuto Rambaldi da Imola, il più ricco di notizie storiche, e quello volgare di Francesco Buti, notevole fra tutti per l’interpretazione della lingua. Nel secolo dell’Umanesimo gravò in parte sul poema il generico pregiudizio contro la letteratura volgare non tanto però che, specialmente in ambiente fiorentino, non se ne riconoscesse l’eccezionale grandezza. Nel maturo Rinascimento la Divina Commedia fu ancora ammirata, benché se ne criticasse la struttura medievale e si giudicassero severamente gli idiotismi linguistici e certa asprezza di toni. Fu pertanto merito dei letterati dell’Accademia fiorentina, e in particolare del Gelli e del Varchi, avere rivendicato i pregi del poema sebbene essi indugiassero più sulla materia dottrinale che sull’arte, sulle peculiaritÃ_ linguistiche che sulla poesia. Più acuto lettore, competentissimo nell’intendere rettamente la lingua e ben ferrato nelle varie questioni storiche, fu Vincenzio Borghini, il cui merito risulta tanto maggiore a chi consideri che egli giudicava intelligentemente la poesia dantesca in un’epoca nella quale l’aristotelismo estetico opponeva a essa gravi pregiudizi. Scarso fu invece l’interesse per la Divina Commedia nei letterati del Seicento, ove si eccettuino alcuni fiorentini, quali Carlo Danti, Benedetto Buonmattei, Lorenzo Magalotti; ma ancora nel secolo successivo il gusto classicistico allontanò dalla poesia dantesca, e si ebbe anzi allora l’episodio più clamoroso dell’antidantismo: la pubblicazione delle Lettere virgiliane di Saverio Bettinelli (1757), un libello senza dubbio inclemente ma nel quale è pur da notare il consenso sincero per alcuni grandi episodi patetici e drammatici dell’Inferno. Fa eccezione nel Settecento Giambattista Vico, il quale solo, prima dell’Alfieri, seppe comprendere la grandezza di Dante, che a lui appariva come un geniale poeta primitivo: l’Omero dell’italica barbarie. Da Alfieri, ossia da colui che fu il primo vero poeta romantico italiano e insieme il profeta del Risorgimento, ha origine la valutazione tutta positiva della Divina Commedia, che la critica successiva ha sempre meglio ragionato e discusso grazie a interpreti geniali e appassionati quali Ugo Foscolo e Francesco De Sanctis, e a molti altri tra i quali, per dire solo di coloro che hanno segnato un’orma più profonda negli studi danteschi, sono almeno da ricordare Benedetto Croce, Ernesto Giacomo Parodi, Michele Barbi nonché commentatori come G. Scartazzini, N. Sapegno, A. Momigliano e filologi come G. Contini. La fortuna del poeta, e in particolare della Divina Commedia, fuori d’Italia ebbe inizio nell’etÃ_ romantica, quando il ritorno nostalgico al medioevo e il culto del primitivo disposero gli animi a veramente comprendere e amare la poesia dantesca. I primi grandi ammiratori di Dante furono in Germania Herder, A. W. Schlegel, Hegel, Schelling, e in Inghilterra Carlyle.
In Germania dal culto per il poeta ebbero impulso seri studi filologici e storici sulla sua vita e le sue opere: a Dresda, nel 1865, venne fondata, prima ancora che in Italia, una societÃ_ dantesca, e C. Witte diede, nel 1862, un’edizione critica della Divina Commedia. Altri insigni studiosi di Dante furono poi A. Gaspary, lo svizzero-tedesco G. Andrea Scartazzini, il Bassermann, K. Vossler, H. Gmelin, E. Auerbach, L. Spitzer.
In Inghilterra si devono menzionare gli importanti contributi filologici di E. Moore, editore di tutte le opere dantesche, di G. Warren lord Vernon, di P. Toynbee e gli scritti del poeta Eliot. In Francia dopo gli studi dell’Ozanam e di P. Colomb De Batines, autore di una fondamentale bibliografia dantesca, vennero quelli dell’Hauvette, del Nolhac, dell’Hazard, e quelli anche più rilevanti del Gilson, del Pézard, del Renaudet. Anche negli Stati Uniti d’America gli studi danteschi furono e sono tuttora coltivati con passione e competenza: a Cambridge (Massachusetts) venne fondata nel 1881 una societÃ_ dantesca; ricerche storiche e filologiche si ebbero poi per merito di non pochi studiosi, tra cui vanno menzionati il Wilkins e il Singleton.
Poichè Dante quando fu condannato all'esilio non si riconosceva colpevole, nel 1302 gli fu rinnovata la condanna: cioè la confisca di tutti i suoi beni e la condanna a morte sul rogo!
durante il suo esilio conobbe, in uno dei suoi tanti viaggi, Boccaccio. quando discese in italia l'imperatore arrgigo VII di Lussemburgo Dante pose in lui la sua speranza di una riunificazione di Firenze, però arrigo VII morì, e Dante si guadagnò l'odio di molte persone, tra cui i signori locali che vedevano solo i loro interessi. perciò la sua condanna venne aggravata e poteva salvarsi solo riconoscendo pubblicamente le proprie colpe. Egli rifiutò e perciò fu condannato a morte insieme alla sua famiglia. Dante morì tornando da un ambasceria a venezia e i suoi resti sono ora nella chiesa di S. Francesco anche se i fiorentini richiedono ancora che egli sia sepolto a Firenze. Poichè però i fiorentini non compresero mai chi fu Dante, allora non potranno mai avere le sue spoglia!
appapapapapa, te gjithe librin paske kopiuar lol? po mire, beja pak si ne forme peralle njerzve se nuk kane nge te lexojne Danten qe meson ti ne universitet. mua me pelqen shume dhe pse dhe une kam bere vetem ferrin per tani. atehere, flasim per dashurine: Beatrice! si eshte e rafiguruar per poetin tone te dashur?
prit se dashkan nje ore keto shkrimet e tua per tu lexuar. do ti kem parasysh kur te me duhen per universitet!
la vita nuova( vepra qe tregon dashurine per beatricen)
la vita nuova è in un certo senso la bigrafia della giovinezza di dante. essa racconta l'amore di dante per beatrice. Dante incontra Beatrice a 9 anni e la reincontra a 18 anni ed ottiene il suo saluto. un giorno, in chiesa, mentre dante osserva beatrice, i presenti credono che egli osservi una donna che si trova tra il poeta e beatrice. egli alimenta questi malintesi per proteggere beatrice. ( viene chiamata la donna-schermo). un giorno però questa donna parte e dante mette un altra donna schermo. si difonde però la fama che tra il poeta e questa donna ci sia una relazione disonesta e da questo a dante viene negato il saluto della sua amata. dopo un periodo di sofferenza, dante comincia una nuova poetica di lode per beatrice: non si rivolge più all'amata, nè racconta la sua condizione, ma decide di descrivere le bellezze della sua amata. beatrice muore nel 1290. da allora compare la donna gentile, che consola dante e lo coinvolge in una passione. in realtÃ_ si pensa che la donna gentile sia una metafora per rappresentare la filosofia, l'unica in grado di consolare il poeta in questo momento. l'opera viene conclusa qui perchè dante decide di scrivere un opera ancora più grande, che rappresenti meglio l'amata che ora è in cielo ed è più degna di lode.
Inferno(canto 1)
1. 1 Nel mezzo del cammin di nostra vita
1. 2 mi ritrovai per una selva oscura
1. 3 ché la diritta via era smarrita.
1. 4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
1. 5 esta selva selvaggia e aspra e forte
1. 6 che nel pensier rinova la paura!
1. 7 Tant'è amara che poco è più morte;
1. 8 ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
1. 9 dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
1. 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
1. 11 tant'era pien di sonno a quel punto
1. 12 che la verace via abbandonai.
1. 13 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
1. 14 lÃ_ dove terminava quella valle
1. 15 che m'avea di paura il cor compunto,
1. 16 guardai in alto, e vidi le sue spalle
1. 17 vestite giÃ_ de' raggi del pianeta
1. 18 che mena dritto altrui per ogne calle.
1. 19 Allor fu la paura un poco queta
1. 20 che nel lago del cor m'era durata
1. 21 la notte ch'i' passai con tanta pieta.
1. 22 E come quei che con lena affannata
1. 23 uscito fuor del pelago a la riva
1. 24 si volge a l'acqua perigliosa e guata,
1. 25 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
1. 26 si volse a retro a rimirar lo passo
1. 27 che non lasciò giÃ_ mai persona viva.
1. 28 Poi ch'ei posato un poco il corpo lasso,
1. 29 ripresi via per la piaggia diserta,
1. 30 sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso
1. 31 Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
1. 32 una lonza leggiera e presta molto,
1. 33 che di pel macolato era coverta;
1. 34 e non mi si partia dinanzi al volto,
1. 35 anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
1. 36 ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
1. 37 Temp'era dal principio del mattino,
1. 38 e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
1. 39 ch'eran con lui quando l'amor divino
1. 40 mosse di prima quelle cose belle;
1. 41 sì ch'a bene sperar m'era cagione
1. 42 di quella fiera a la gaetta pelle
1. 43 l'ora del tempo e la dolce stagione;
1. 44 ma non sì che paura non mi desse
1. 45 la vista che m'apparve d'un leone.
1. 46 Questi parea che contra me venisse
1. 47 con la test'alta e con rabbiosa fame,
1. 48 sì che parea che l'aere ne tremesse.
1 49 Ed una lupa, che di tutte brame
1. 50 sembiava carca ne la sua magrezza,
1. 51 e molte genti fé giÃ_ viver grame,
1. 52 questa mi porse tanto di gravezza
1. 53 con la paura ch'uscia di sua vista,
1. 54 ch'io perdei la speranza de l'altezza.
1. 55 E qual è quei che volontieri acquista,
1. 56 e giugne 'l tempo che perder lo face,
1. 57 che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
1. 58 tal mi fece la bestia sanza pace,
1. 59 che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
1. 60 mi ripigneva lÃ_ dove 'l sol tace.
1. 61 Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
1. 62 dinanzi a li occhi mi si fu offerto
1. 63 chi per lungo silenzio parea fioco.
1. 64 Quando vidi costui nel gran diserto,
1. 65 «*Miserere* di me», gridai a lui,
1. 66 «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
1. 67 Rispuosemi: «Non omo, omo giÃ_ fui,
1. 68 e li parenti miei furon lombardi,
1. 69 mantoani per patria ambedui.
1. 70 Nacqui *sub Iulio*, ancor che fosse tardi,
1. 71 e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
1. 72 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
1. 73 Poeta fui, e cantai di quel giusto
1. 74 figliuol d'Anchise che venne di Troia,
1. 75 poi che 'l superbo Ilion fu combusto.
1. 76 Ma tu perché ritorni a tanta noia?
1. 77 perché non sali il dilettoso monte
1. 78 ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
1. 79 «Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
1. 80 che spandi di parlar sì largo fiume?»,
1. 81 rispuos'io lui con vergognosa fronte.
1. 82 «O de li altri poeti onore e lume
1. 83 vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
1. 84 che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
1. 85 Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
1. 86 tu se' solo colui da cu' io tolsi
1. 87 lo bello stilo che m'ha fatto onore.
1. 88 Vedi la bestia per cu' io mi volsi:
1. 89 aiutami da lei, famoso saggio,
1. 90 ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
1. 91 «A te convien tenere altro viaggio»,
1. 92 rispuose, poi che lagrimar mi vide,
1. 93 «se vuo' campar d'esto loco selvaggio:
1. 94 ché questa bestia, per la qual tu gride,
1. 95 non lascia altrui passar per la sua via,
1. 96 ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
1. 97 e ha natura sì malvagia e ria,
1. 98 che mai non empie la bramosa voglia,
1. 99 e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
1.100 Molti son li animali a cui s'ammoglia,
1.101 e più saranno ancora, infin che 'l veltro
1.102 verrÃ_, che la farÃ_ morir con doglia.
1.103 Questi non ciberÃ_ terra né peltro,
1.104 ma sapienza, amore e virtute,
1.105 e sua nazion sarÃ_ tra feltro e feltro.
1.106 Di quella umile Italia fia salute
1.107 per cui morì la vergine Cammilla,
1.108 Eurialo e Turno e Niso di ferute.
1.109 Questi la caccerÃ_ per ogne villa,
1.110 fin che l'avrÃ_ rimessa ne lo 'nferno,
1.111 lÃ_ onde 'nvidia prima dipartilla.
1.112 Ond'io per lo tuo me' penso e discerno
1.113 che tu mi segui, e io sarò tua guida,
1.114 e trarrotti di qui per loco etterno;
1.115 ove udirai le disperate strida,
1.116 vedrai li antichi spiriti dolenti,
1.117 ch'a la seconda morte ciascun grida;
1.118 e vederai color che son contenti
1.119 nel foco, perché speran di venire
1.120 quando che sia a le beate genti.
1.121 A le quai poi se tu vorrai salire,
1.122 anima fia a ciò più di me degna:
1.123 con lei ti lascerò nel mio partire;
1.124 ché quello imperador che lÃ_ sù regna,
1.125 perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
1.126 non vuol che 'n sua cittÃ_ per me si vegna.
1.127 In tutte parti impera e quivi regge;
1.128 quivi è la sua cittÃ_ e l'alto seggio:
1.129 oh felice colui cu' ivi elegge!».
1.130 E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
1.131 per quello Dio che tu non conoscesti,
1.132 acciò ch'io fugga questo male e peggio,
1.133 che tu mi meni lÃ_ dov'or dicesti,
1.134 sì ch'io veggia la porta di san Pietro
1.135 e color cui tu fai cotanto mesti».
1.136 Allor si mosse, e io li tenni dietro.
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Inferno(canto 2)
2. 1 Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
2. 2 toglieva li animai che sono in terra
2. 3 da le fatiche loro; e io sol uno
2. 4 m'apparecchiava a sostener la guerra
2. 5 sì del cammino e sì de la pietate,
2. 6 che ritrarrÃ_ la mente che non erra.
2. 7 O muse, o alto ingegno, or m'aiutate;
2. 8 o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
2. 9 qui si parrÃ_ la tua nobilitate.
2. 10 Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
2. 11 guarda la mia virtù s'ell'è possente,
2. 12 prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.
2. 13 Tu dici che di Silvio il parente,
2. 14 corruttibile ancora, ad immortale
2. 15 secolo andò, e fu sensibilmente.
2. 16 Però, se l'avversario d'ogne male
2. 17 cortese i fu, pensando l'alto effetto
2. 18 ch'uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale,
2. 19 non pare indegno ad omo d'intelletto;
2. 20 ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
2. 21 ne l'empireo ciel per padre eletto:
2. 22 la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
2. 23 fu stabilita per lo loco santo
2. 24 u' siede il successor del maggior Piero.
2. 25 Per quest'andata onde li dai tu vanto,
2. 26 intese cose che furon cagione
2. 27 di sua vittoria e del papale ammanto.
2. 28 Andovvi poi lo Vas d'elezione,
2. 29 per recarne conforto a quella fede
2. 30 ch'è principio a la via di salvazione.
2. 31 Ma io perché venirvi? o chi 'l concede?
2. 32 Io non Enea, io non Paulo sono:
2. 33 me degno a ciò né io né altri 'l crede.
2. 34 Per che, se del venire io m'abbandono,
2. 35 temo che la venuta non sia folle.
2. 36 Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono».
2. 37 E qual è quei che disvuol ciò che volle
2. 38 e per novi pensier cangia proposta,
2. 39 sì che dal cominciar tutto si tolle,
2. 40 tal mi fec'io 'n quella oscura costa,
2. 41 perché, pensando, consumai la 'mpresa
2. 42 che fu nel cominciar cotanto tosta.
2. 43 «S'i' ho ben la parola tua intesa»,
2. 44 rispuose del magnanimo quell'ombra;
2. 45 «l'anima tua è da viltade offesa;
2. 46 la qual molte fiate l'omo ingombra
2. 47 sì che d'onrata impresa lo rivolve,
2. 48 come falso veder bestia quand'ombra.
2. 49 Da questa tema acciò che tu ti solve,
2. 50 dirotti perch'io venni e quel ch'io 'ntesi
2. 51 nel primo punto che di te mi dolve.
2. 52 Io era tra color che son sospesi,
2. 53 e donna mi chiamò beata e bella,
2. 54 tal che di comandare io la richiesi.
2. 55 Lucevan li occhi suoi più che la stella;
2. 56 e cominciommi a dir soave e piana,
2. 57 con angelica voce, in sua favella:
2. 58 "O anima cortese mantoana,
2. 59 di cui la fama ancor nel mondo dura,
2. 60 e durerÃ_ quanto 'l mondo lontana,
2. 61 l'amico mio, e non de la ventura,
2. 62 ne la diserta piaggia è impedito
2. 63 sì nel cammin, che volt'è per paura;
2. 64 e temo che non sia giÃ_ sì smarrito,
2. 65 ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
2. 66 per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.
2. 67 Or movi, e con la tua parola ornata
2. 68 e con ciò c'ha mestieri al suo campare
2. 69 l'aiuta, sì ch'i' ne sia consolata.
2. 70 I' son Beatrice che ti faccio andare;
2. 71 vegno del loco ove tornar disio;
2. 72 amor mi mosse, che mi fa parlare.
2. 73 Quando sarò dinanzi al segnor mio,
2. 74 di te mi loderò sovente a lui".
2. 75 Tacette allora, e poi comincia' io:
2. 76 "O donna di virtù, sola per cui
2. 77 l'umana spezie eccede ogne contento
2. 78 di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,
2. 79 tanto m'aggrada il tuo comandamento,
2. 80 che l'ubidir, se giÃ_ fosse, m'è tardi;
2. 81 più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.
2. 82 Ma dimmi la cagion che non ti guardi
2. 83 de lo scender qua giuso in questo centro
2. 84 de l'ampio loco ove tornar tu ardi".
2. 85 "Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
2. 86 dirotti brievemente", mi rispuose,
2. 87 "perch'io non temo di venir qua entro.
2. 88 Temer si dee di sole quelle cose
2. 89 c'hanno potenza di fare altrui male;
2. 90 de l'altre no, ché non son paurose.
2. 91 I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
2. 92 che la vostra miseria non mi tange,
2. 93 né fiamma d'esto incendio non m'assale.
2. 94 Donna è gentil nel ciel che si compiange
2. 95 di questo 'mpedimento ov'io ti mando,
2. 96 sì che duro giudicio lÃ_ sù frange.
2. 97 Questa chiese Lucia in suo dimando
2. 98 e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
2. 99 di te, e io a te lo raccomando -.
2.100 Lucia, nimica di ciascun crudele,
2.101 si mosse, e venne al loco dov'i' era,
2.102 che mi sedea con l'antica Rachele.
2.103 Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
2.104 ché non soccorri quei che t'amò tanto,
2.105 ch'uscì per te de la volgare schiera?
2.106 non odi tu la pieta del suo pianto?
2.107 non vedi tu la morte che 'l combatte
2.108 su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? -
2.109 Al mondo non fur mai persone ratte
2.110 a far lor pro o a fuggir lor danno,
2.111 com'io, dopo cotai parole fatte,
2.112 venni qua giù del mio beato scanno,
2.113 fidandomi del tuo parlare onesto,
2.114 ch'onora te e quei ch'udito l'hanno".
2.115 Poscia che m'ebbe ragionato questo,
2.116 li occhi lucenti lagrimando volse;
2.117 per che mi fece del venir più presto;
2.118 e venni a te così com'ella volse;
2.119 d'inanzi a quella fiera ti levai
2.120 che del bel monte il corto andar ti tolse.
2.121 Dunque: che è? perché, perché restai?
2.122 perché tanta viltÃ_ nel core allette?
2.123 perché ardire e franchezza non hai?
2.124 poscia che tai tre donne benedette
2.125 curan di te ne la corte del cielo,
2.126 e 'l mio parlar tanto ben ti promette?».
2.127 Quali fioretti dal notturno gelo
2.128 chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca
2.129 si drizzan tutti aperti in loro stelo,
2.130 tal mi fec'io di mia virtude stanca,
2.131 e tanto buono ardire al cor mi corse,
2.132 ch'i' cominciai come persona franca:
2.133 «Oh pietosa colei che mi soccorse!
2.134 e te cortese ch'ubidisti tosto
2.135 a le vere parole che ti porse!
2.136 Tu m'hai con disiderio il cor disposto
2.137 sì al venir con le parole tue,
2.138 ch'i' son tornato nel primo proposto.
2.139 Or va, ch'un sol volere è d'ambedue:
2.140 tu duca, tu segnore, e tu maestro».
2.141 Così li dissi; e poi che mosso fue,
2.142 intrai per lo cammino alto e silvestro.
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Inferno(canto 3)
3. 1 "Per me si va ne la cittÃ_ dolente,
3. 2 per me si va ne l'etterno dolore,
3. 3 per me si va tra la perduta gente.
3. 4 Giustizia mosse il mio alto fattore:
3. 5 fecemi la divina podestate,
3. 6 la somma sapienza e 'l primo amore.
3. 7 Dinanzi a me non fuor cose create
3. 8 se non etterne, e io etterno duro.
3. 9 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
3. 10 Queste parole di colore oscuro
3. 11 vid'io scritte al sommo d'una porta;
3. 12 per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».
3. 13 Ed elli a me, come persona accorta:
3. 14 «Qui si convien lasciare ogne sospetto;
3. 15 ogne viltÃ_ convien che qui sia morta.
3. 16 Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
3. 17 che tu vedrai le genti dolorose
3. 18 c'hanno perduto il ben de l'intelletto».
3. 19 E poi che la sua mano a la mia puose
3. 20 con lieto volto, ond'io mi confortai,
3. 21 mi mise dentro a le segrete cose.
3. 22 Quivi sospiri, pianti e alti guai
3. 23 risonavan per l'aere sanza stelle,
3. 24 per ch'io al cominciar ne lagrimai.
3. 25 Diverse lingue, orribili favelle,
3. 26 parole di dolore, accenti d'ira,
3. 27 voci alte e fioche, e suon di man con elle
3. 28 facevano un tumulto, il qual s'aggira
3. 29 sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
3. 30 come la rena quando turbo spira.
3. 31 E io ch'avea d'error la testa cinta,
3. 32 dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
3. 33 e che gent'è che par nel duol sì vinta?».
3. 34 Ed elli a me: «Questo misero modo
3. 35 tegnon l'anime triste di coloro
3. 36 che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
3. 37 Mischiate sono a quel cattivo coro
3. 38 de li angeli che non furon ribelli
3. 39 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
3. 40 Caccianli i ciel per non esser men belli,
3. 41 né lo profondo inferno li riceve,
3. 42 ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».
3. 43 E io: «Maestro, che è tanto greve
3. 44 a lor, che lamentar li fa sì forte?».
3. 45 Rispuose: «Dicerolti molto breve.
3. 46 Questi non hanno speranza di morte
3. 47 e la lor cieca vita è tanto bassa,
3. 48 che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
3. 49 Fama di loro il mondo esser non lassa;
3. 50 misericordia e giustizia li sdegna:
3. 51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
3. 52 E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
3. 53 che girando correva tanto ratta,
3. 54 che d'ogne posa mi parea indegna;
3. 55 e dietro le venìa sì lunga tratta
3. 56 di gente, ch'i' non averei creduto
3. 57 che morte tanta n'avesse disfatta.
3. 58 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
3. 59 vidi e conobbi l'ombra di colui
3. 60 che fece per viltade il gran rifiuto.
3. 61 Incontanente intesi e certo fui
3. 62 che questa era la setta d'i cattivi,
3. 63 a Dio spiacenti e a' nemici sui.
3. 64 Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
3. 65 erano ignudi e stimolati molto
3. 66 da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
3. 67 Elle rigavan lor di sangue il volto,
3. 68 che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
3. 69 da fastidiosi vermi era ricolto.
3. 70 E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
3. 71 vidi genti a la riva d'un gran fiume;
3. 72 per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi
3. 73 ch'i' sappia quali sono, e qual costume
3. 74 le fa di trapassar parer sì pronte,
3. 75 com'io discerno per lo fioco lume».
3. 76 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
3. 77 quando noi fermerem li nostri passi
3. 78 su la trista riviera d'Acheronte».
3. 79 Allor con li occhi vergognosi e bassi,
3. 80 temendo no 'l mio dir li fosse grave,
3. 81 infino al fiume del parlar mi trassi.
3. 82 Ed ecco verso noi venir per nave
3. 83 un vecchio, bianco per antico pelo,
3. 84 gridando: «Guai a voi, anime prave!
3. 85 Non isperate mai veder lo cielo:
3. 86 i' vegno per menarvi a l'altra riva
3. 87 ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
3. 88 E tu che se' costì, anima viva,
3. 89 pÃ_rtiti da cotesti che son morti».
3. 90 Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
3. 91 disse: «Per altra via, per altri porti
3. 92 verrai a piaggia, non qui, per passare:
3. 93 più lieve legno convien che ti porti».
3. 94 E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
3. 95 vuolsi così colÃ_ dove si puote
3. 96 ciò che si vuole, e più non dimandare».
3. 97 Quinci fuor quete le lanose gote
3. 98 al nocchier de la livida palude,
3. 99 che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
3.100 Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
3.101 cangiar colore e dibattero i denti,
3.102 ratto che 'nteser le parole crude.
3.103 Bestemmiavano Dio e lor parenti,
3.104 l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
3.105 di lor semenza e di lor nascimenti.
3.106 Poi si ritrasser tutte quante insieme,
3.107 forte piangendo, a la riva malvagia
3.108 ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
3.109 Caron dimonio, con occhi di bragia,
3.110 loro accennando, tutte le raccoglie;
3.111 batte col remo qualunque s'adagia.
3.112 Come d'autunno si levan le foglie
3.113 l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
3.114 vede a la terra tutte le sue spoglie,
3.115 similemente il mal seme d'Adamo
3.116 gittansi di quel lito ad una ad una,
3.117 per cenni come augel per suo richiamo.
3.118 Così sen vanno su per l'onda bruna,
3.119 e avanti che sien di lÃ_ discese,
3.120 anche di qua nuova schiera s'auna.
3.121 «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
3.122 «quelli che muoion ne l'ira di Dio
3.123 tutti convegnon qui d'ogne paese:
3.124 e pronti sono a trapassar lo rio,
3.125 ché la divina giustizia li sprona,
3.126 sì che la tema si volve in disio.
3.127 Quinci non passa mai anima buona;
3.128 e però, se Caron di te si lagna,
3.129 ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».
3.130 Finito questo, la buia campagna
3.131 tremò sì forte, che de lo spavento
3.132 la mente di sudore ancor mi bagna.
3.133 La terra lagrimosa diede vento,
3.134 che balenò una luce vermiglia
3.135 la qual mi vinse ciascun sentimento
3.136 e caddi come l'uom cui sonno piglia.
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Inferno(canto 4)
4. 1 Ruppemi l'alto sonno ne la testa
4. 2 un greve truono, sì ch'io mi riscossi
4. 3 come persona ch'è per forza desta;
4. 4 e l'occhio riposato intorno mossi,
4. 5 dritto levato, e fiso riguardai
4. 6 per conoscer lo loco dov'io fossi.
4. 7 Vero è che 'n su la proda mi trovai
4. 8 de la valle d'abisso dolorosa
4. 9 che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
4. 10 Oscura e profonda era e nebulosa
4. 11 tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
4. 12 io non vi discernea alcuna cosa.
4. 13 «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
4. 14 cominciò il poeta tutto smorto.
4. 15 «Io sarò primo, e tu sarai secondo».
4. 16 E io, che del color mi fui accorto,
4. 17 dissi: «Come verrò, se tu paventi
4. 18 che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
4. 19 Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
4. 20 che son qua giù, nel viso mi dipigne
4. 21 quella pietÃ_ che tu per tema senti.
4. 22 Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
4. 23 Così si mise e così mi fé intrare
4. 24 nel primo cerchio che l'abisso cigne.
4. 25 Quivi, secondo che per ascoltare,
4. 26 non avea pianto mai che di sospiri,
4. 27 che l'aura etterna facevan tremare;
4. 28 ciò avvenia di duol sanza martìri
4. 29 ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
4. 30 d'infanti e di femmine e di viri.
4. 31 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
4. 32 che spiriti son questi che tu vedi?
4. 33 Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
4. 34 ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
4. 35 non basta, perché non ebber battesmo,
4. 36 ch'è porta de la fede che tu credi;
4. 37 e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
4. 38 non adorar debitamente a Dio:
4. 39 e di questi cotai son io medesmo.
4. 40 Per tai difetti, non per altro rio,
4. 41 semo perduti, e sol di tanto offesi,
4. 42 che sanza speme vivemo in disio».
4. 43 Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
4. 44 però che gente di molto valore
4. 45 conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
4. 46 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
4. 47 comincia' io per voler esser certo
4. 48 di quella fede che vince ogne errore:
4. 49 «uscicci mai alcuno, o per suo merto
4. 50 o per altrui, che poi fosse beato?».
4. 51 E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
4. 52 rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
4. 53 quando ci vidi venire un Possente,
4. 54 con segno di vittoria coronato.
4. 55 Trasseci l'ombra del primo parente,
4. 56 d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
4. 57 di Moisè legista e ubidente;
4. 58 AbraÃ_m patriarca e Davìd re,
4. 59 Israèl con lo padre e co' suoi nati
4. 60 e con Rachele, per cui tanto fé;
4. 61 e altri molti, e feceli beati.
4. 62 E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
4. 63 spiriti umani non eran salvati».
4. 64 Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
4. 65 ma passavam la selva tuttavia,
4. 66 la selva, dico, di spiriti spessi.
4. 67 Non era lunga ancor la nostra via
4. 68 di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
4. 69 ch'emisperio di tenebre vincia.
4. 70 Di lungi n'eravamo ancora un poco,
4. 71 ma non sì ch'io non discernessi in parte
4. 72 ch'orrevol gente possedea quel loco.
4. 73 «O tu ch'onori scienzia e arte,
4. 74 questi chi son c'hanno cotanta onranza,
4. 75 che dal modo de li altri li diparte?».
4. 76 E quelli a me: «L'onrata nominanza
4. 77 che di lor suona sù ne la tua vita,
4. 78 grazia acquista in ciel che sì li avanza».
4. 79 Intanto voce fu per me udita:
4. 80 «Onorate l'altissimo poeta:
4. 81 l'ombra sua torna, ch'era dipartita».
4. 82 Poi che la voce fu restata e queta,
4. 83 vidi quattro grand'ombre a noi venire:
4. 84 sembianz'avevan né trista né lieta.
4. 85 Lo buon maestro cominciò a dire:
4. 86 «Mira colui con quella spada in mano,
4. 87 che vien dinanzi ai tre sì come sire:
4. 88 quelli è Omero poeta sovrano;
4. 89 l'altro è Orazio satiro che vene;
4. 90 Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
4. 91 Però che ciascun meco si convene
4. 92 nel nome che sonò la voce sola,
4. 93 fannomi onore, e di ciò fanno bene».
4. 94 Così vid'i' adunar la bella scola
4. 95 di quel segnor de l'altissimo canto
4. 96 che sovra li altri com'aquila vola.
4. 97 Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
4. 98 volsersi a me con salutevol cenno,
4. 99 e 'l mio maestro sorrise di tanto;
4.100 e più d'onore ancora assai mi fenno,
4.101 ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
4.102 sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
4.103 Così andammo infino a la lumera,
4.104 parlando cose che 'l tacere è bello,
4.105 sì com'era 'l parlar colÃ_ dov'era.
4.106 Venimmo al piè d'un nobile castello,
4.107 sette volte cerchiato d'alte mura,
4.108 difeso intorno d'un bel fiumicello.
4.109 Questo passammo come terra dura;
4.110 per sette porte intrai con questi savi:
4.111 giugnemmo in prato di fresca verdura.
4.112 Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
4.113 di grande autoritÃ_ ne' lor sembianti:
4.114 parlavan rado, con voci soavi.
4.115 Traemmoci così da l'un de' canti,
4.116 in loco aperto, luminoso e alto,
4.117 sì che veder si potien tutti quanti.
4.118 ColÃ_ diritto, sovra 'l verde smalto,
4.119 mi fuor mostrati li spiriti magni,
4.120 che del vedere in me stesso m'essalto.
4.121 I' vidi Eletra con molti compagni,
4.122 tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
4.123 Cesare armato con li occhi grifagni.
4.124 Vidi Cammilla e la Pantasilea;
4.125 da l'altra parte, vidi 'l re Latino
4.126 che con Lavina sua figlia sedea.
4.127 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
4.128 Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
4.129 e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
4.130 Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
4.131 vidi 'l maestro di color che sanno
4.132 seder tra filosofica famiglia.
4.133 Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
4.134 quivi vid'io Socrate e Platone,
4.135 che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
4.136 Democrito, che 'l mondo a caso pone,
4.137 Diogenés, Anassagora e Tale,
4.138 Empedoclès, Eraclito e Zenone;
4.139 e vidi il buono accoglitor del quale,
4.140 Diascoride dico; e vidi Orfeo,
4.141 Tulio e Lino e Seneca morale;
4.142 Euclide geomètra e Tolomeo,
4.143 IpocrÃ_te, Avicenna e Galieno,
4.144 Averoìs, che 'l gran comento feo.
4.145 Io non posso ritrar di tutti a pieno,
4.146 però che sì mi caccia il lungo tema,
4.147 che molte volte al fatto il dir vien meno.
4.148 La sesta compagnia in due si scema:
4.149 per altra via mi mena il savio duca,
4.150 fuor de la queta, ne l'aura che trema.
4.151 E vegno in parte ove non è che luca.
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Inferno(canto 5)
5. 1 Così discesi del cerchio primaio
5. 2 giù nel secondo, che men loco cinghia,
5. 3 e tanto più dolor, che punge a guaio.
5. 4 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
5. 5 essamina le colpe ne l'intrata;
5. 6 giudica e manda secondo ch'avvinghia.
5. 7 Dico che quando l'anima mal nata
5. 8 li vien dinanzi, tutta si confessa;
5. 9 e quel conoscitor de le peccata
5. 10 vede qual loco d'inferno è da essa;
5. 11 cignesi con la coda tante volte
5. 12 quantunque gradi vuol che giù sia messa.
5. 13 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
5. 14 vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
5. 15 dicono e odono, e poi son giù volte.
5. 16 «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
5. 17 disse Minòs a me quando mi vide,
5. 18 lasciando l'atto di cotanto offizio,
5. 19 «guarda com'entri e di cui tu ti fide;
5. 20 non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
5. 21 E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
5. 22 Non impedir lo suo fatale andare:
5. 23 vuolsi così colÃ_ dove si puote
5. 24 ciò che si vuole, e più non dimandare».
5. 25 Or incomincian le dolenti note
5. 26 a farmisi sentire; or son venuto
5. 27 lÃ_ dove molto pianto mi percuote.
5. 28 Io venni in loco d'ogne luce muto,
5. 29 che mugghia come fa mar per tempesta,
5. 30 se da contrari venti è combattuto.
5. 31 La bufera infernal, che mai non resta,
5. 32 mena li spirti con la sua rapina;
5. 33 voltando e percotendo li molesta.
5. 34 Quando giungon davanti a la ruina,
5. 35 quivi le strida, il compianto, il lamento;
5. 36 bestemmian quivi la virtù divina.
5. 37 Intesi ch'a così fatto tormento
5. 38 enno dannati i peccator carnali,
5. 39 che la ragion sommettono al talento.
5. 40 E come li stornei ne portan l'ali
5. 41 nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
5. 42 così quel fiato li spiriti mali
5. 43 di qua, di lÃ_, di giù, di sù li mena;
5. 44 nulla speranza li conforta mai,
5. 45 non che di posa, ma di minor pena.
5. 46 E come i gru van cantando lor lai,
5. 47 faccendo in aere di sé lunga riga,
5. 48 così vid'io venir, traendo guai,
5. 49 ombre portate da la detta briga;
5. 50 per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
5. 51 genti che l'aura nera sì gastiga?».
5. 52 «La prima di color di cui novelle
5. 53 tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
5. 54 «fu imperadrice di molte favelle.
5. 55 A vizio di lussuria fu sì rotta,
5. 56 che libito fé licito in sua legge,
5. 57 per tòrre il biasmo in che era condotta.
5. 58 Ell'è Semiramìs, di cui si legge
5. 59 che succedette a Nino e fu sua sposa:
5. 60 tenne la terra che 'l Soldan corregge.
5. 61 L'altra è colei che s'ancise amorosa,
5. 62 e ruppe fede al cener di Sicheo;
5. 63 poi è CleopatrÃ_s lussuriosa.
5. 64 Elena vedi, per cui tanto reo
5. 65 tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
5. 66 che con amore al fine combatteo.
5. 67 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
5. 68 ombre mostrommi e nominommi a dito,
5. 69 ch'amor di nostra vita dipartille.
5. 70 Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
5. 71 nomar le donne antiche e ' cavalieri,
5. 72 pietÃ_ mi giunse, e fui quasi smarrito.
5. 73 I' cominciai: «Poeta, volontieri
5. 74 parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
5. 75 e paion sì al vento esser leggieri».
5. 76 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
5. 77 più presso a noi; e tu allor li priega
5. 78 per quello amor che i mena, ed ei verranno».
5. 79 Sì tosto come il vento a noi li piega,
5. 80 mossi la voce: «O anime affannate,
5. 81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
5. 82 Quali colombe dal disio chiamate
5. 83 con l'ali alzate e ferme al dolce nido
5. 84 vegnon per l'aere, dal voler portate;
5. 85 cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
5. 86 a noi venendo per l'aere maligno,
5. 87 sì forte fu l'affettuoso grido.
5. 88 «O animal grazioso e benigno
5. 89 che visitando vai per l'aere perso
5. 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
5. 91 se fosse amico il re de l'universo,
5. 92 noi pregheremmo lui de la tua pace,
5. 93 poi c'hai pietÃ_ del nostro mal perverso.
5. 94 Di quel che udire e che parlar vi piace,
5. 95 noi udiremo e parleremo a voi,
5. 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
5. 97 Siede la terra dove nata fui
5. 98 su la marina dove 'l Po discende
5. 99 per aver pace co' seguaci sui.
5.100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
5.101 prese costui de la bella persona
5.102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
5.103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
5.104 mi prese del costui piacer sì forte,
5.105 che, come vedi, ancor non m'abbandona.
5.106 Amor condusse noi ad una morte:
5.107 Caina attende chi a vita ci spense».
5.108 Queste parole da lor ci fuor porte.
5.109 Quand'io intesi quell'anime offense,
5.110 china' il viso e tanto il tenni basso,
5.111 fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
5.112 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
5.113 quanti dolci pensier, quanto disio
5.114 menò costoro al doloroso passo!».
5.115 Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
5.116 e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
5.117 a lagrimar mi fanno tristo e pio.
5.118 Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
5.119 a che e come concedette amore
5.120 che conosceste i dubbiosi disiri?».
5.121 E quella a me: «Nessun maggior dolore
5.122 che ricordarsi del tempo felice
5.123 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
5.124 Ma s'a conoscer la prima radice
5.125 del nostro amor tu hai cotanto affetto,
5.126 dirò come colui che piange e dice.
5.127 Noi leggiavamo un giorno per diletto
5.128 di Lancialotto come amor lo strinse;
5.129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.
5.130 Per più fiate li occhi ci sospinse
5.131 quella lettura, e scolorocci il viso;
5.132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.
5.133 Quando leggemmo il disiato riso
5.134 esser basciato da cotanto amante,
5.135 questi, che mai da me non fia diviso,
5.136 la bocca mi basciò tutto tremante.
5.137 Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
5.138 quel giorno più non vi leggemmo avante».
5.139 Mentre che l'uno spirto questo disse,
5.140 l'altro piangea; sì che di pietade
5.141 io venni men così com'io morisse.
5.142 E caddi come corpo morto cade.
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Inferno(canto 6)
6. 1 Al tornar de la mente, che si chiuse
6. 2 dinanzi a la pietÃ_ de'due cognati,
6. 3 che di trestizia tutto mi confuse,
6. 4 novi tormenti e novi tormentati
6. 5 mi veggio intorno, come ch'io mi mova
6. 6 e ch'io mi volga, e come che io guati.
6. 7 Io sono al terzo cerchio, de la piova
6. 8 etterna, maladetta, fredda e greve;
6. 9 regola e qualitÃ_ mai non l'è nova.
6. 10 Grandine grossa, acqua tinta e neve
6. 11 per l'aere tenebroso si riversa;
6. 12 pute la terra che questo riceve.
6. 13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
6. 14 con tre gole caninamente latra
6. 15 sovra la gente che quivi è sommersa.
6. 16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
6. 17 e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
6. 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
6. 19 Urlar li fa la pioggia come cani;
6. 20 de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
6. 21 volgonsi spesso i miseri profani.
6. 22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
6. 23 le bocche aperse e mostrocci le sanne;
6. 24 non avea membro che tenesse fermo.
6. 25 E 'l duca mio distese le sue spanne,
6. 26 prese la terra, e con piene le pugna
6. 27 la gittò dentro a le bramose canne.
6. 28 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
6. 29 e si racqueta poi che 'l pasto morde,
6. 30 ché solo a divorarlo intende e pugna,
6. 31 cotai si fecer quelle facce lorde
6. 32 de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
6. 33 l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
6. 34 Noi passavam su per l'ombre che adona
6. 35 la greve pioggia, e ponavam le piante
6. 36 sovra lor vanitÃ_ che par persona.
6. 37 Elle giacean per terra tutte quante,
6. 38 fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
6. 39 ch'ella ci vide passarsi davante.
6. 40 «O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
6. 41 mi disse, «riconoscimi, se sai:
6. 42 tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».
6. 43 E io a lui: «L'angoscia che tu hai
6. 44 forse ti tira fuor de la mia mente,
6. 45 sì che non par ch'i' ti vedessi mai.
6. 46 Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
6. 47 loco se' messo e hai sì fatta pena,
6. 48 che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente».
6. 49 Ed elli a me: «La tua cittÃ_, ch'è piena
6. 50 d'invidia sì che giÃ_ trabocca il sacco,
6. 51 seco mi tenne in la vita serena.
6. 52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
6. 53 per la dannosa colpa de la gola,
6. 54 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
6. 55 E io anima trista non son sola,
6. 56 ché tutte queste a simil pena stanno
6. 57 per simil colpa». E più non fé parola.
6. 58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
6. 59 mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
6. 60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno
6. 61 li cittadin de la cittÃ_ partita;
6. 62 s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
6. 63 per che l'ha tanta discordia assalita».
6. 64 E quelli a me: «Dopo lunga tencione
6. 65 verranno al sangue, e la parte selvaggia
6. 66 caccerÃ_ l'altra con molta offensione.
6. 67 Poi appresso convien che questa caggia
6. 68 infra tre soli, e che l'altra sormonti
6. 69 con la forza di tal che testé piaggia.
6. 70 Alte terrÃ_ lungo tempo le fronti,
6. 71 tenendo l'altra sotto gravi pesi,
6. 72 come che di ciò pianga o che n'aonti.
6. 73 Giusti son due, e non vi sono intesi;
6. 74 superbia, invidia e avarizia sono
6. 75 le tre faville c'hanno i cuori accesi».
6. 76 Qui puose fine al lagrimabil suono.
6. 77 E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni,
6. 78 e che di più parlar mi facci dono.
6. 79 Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
6. 80 Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
6. 81 e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
6. 82 dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
6. 83 ché gran disio mi stringe di savere
6. 84 se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca».
6. 85 E quelli: «Ei son tra l'anime più nere:
6. 86 diverse colpe giù li grava al fondo:
6. 87 se tanto scendi, lÃ_ i potrai vedere.
6. 88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
6. 89 priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
6. 90 più non ti dico e più non ti rispondo».
6. 91 Li diritti occhi torse allora in biechi;
6. 92 guardommi un poco, e poi chinò la testa:
6. 93 cadde con essa a par de li altri ciechi.
6. 94 E 'l duca disse a me: «Più non si desta
6. 95 di qua dal suon de l'angelica tromba,
6. 96 quando verrÃ_ la nimica podesta:
6. 97 ciascun rivederÃ_ la trista tomba,
6. 98 ripiglierÃ_ sua carne e sua figura,
6. 99 udirÃ_ quel ch'in etterno rimbomba».
6.100 Sì trapassammo per sozza mistura
6.101 de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
6.102 toccando un poco la vita futura;
6.103 per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
6.104 crescerann'ei dopo la gran sentenza,
6.105 o fier minori, o saran sì cocenti?».
6.106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,
6.107 che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
6.108 più senta il bene, e così la doglienza.
6.109 Tutto che questa gente maladetta
6.110 in vera perfezion giÃ_ mai non vada,
6.111 di lÃ_ più che di qua essere aspetta».
6.112 Noi aggirammo a tondo quella strada,
6.113 parlando più assai ch'i' non ridico;
6.114 venimmo al punto dove si digrada:
6.115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
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Inferno(canto 7)
7. 1 «*Papé SatÃ_n, pape SatÃ_n aleppe!*»,
7. 2 cominciò Pluto con la voce chioccia;
7. 3 e quel savio gentil, che tutto seppe,
7. 4 disse per confortarmi: «Non ti noccia
7. 5 la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
7. 6 non ci torrÃ_ lo scender questa roccia».
7. 7 Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
7. 8 e disse: «Taci, maladetto lupo!
7. 9 consuma dentro te con la tua rabbia.
7. 10 Non è sanza cagion l'andare al cupo:
7. 11 vuolsi ne l'alto, lÃ_ dove Michele
7. 12 fé la vendetta del superbo strupo».
7. 13 Quali dal vento le gonfiate vele
7. 14 caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
7. 15 tal cadde a terra la fiera crudele.
7. 16 Così scendemmo ne la quarta lacca
7. 17 pigliando più de la dolente ripa
7. 18 che 'l mal de l'universo tutto insacca.
7. 19 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
7. 20 nove travaglie e pene quant'io viddi?
7. 21 e perché nostra colpa sì ne scipa?
7. 22 Come fa l'onda lÃ_ sovra Cariddi,
7. 23 che si frange con quella in cui s'intoppa,
7. 24 così convien che qui la gente riddi.
7. 25 Qui vid'i' gente più ch'altrove troppa,
7. 26 e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
7. 27 voltando pesi per forza di poppa.
7. 28 Percoteansi 'ncontro; e poscia pur lì
7. 29 si rivolgea ciascun, voltando a retro,
7. 30 gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
7. 31 Così tornavan per lo cerchio tetro
7. 32 da ogne mano a l'opposito punto,
7. 33 gridandosi anche loro ontoso metro;
7. 34 poi si volgea ciascun, quand'era giunto,
7. 35 per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
7. 36 E io, ch'avea lo cor quasi compunto,
7. 37 dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
7. 38 che gente è questa, e se tutti fuor cherci
7. 39 questi chercuti a la sinistra nostra».
7. 40 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
7. 41 sì de la mente in la vita primaia,
7. 42 che con misura nullo spendio ferci.
7. 43 Assai la voce lor chiaro l'abbaia
7. 44 quando vegnono a' due punti del cerchio
7. 45 dove colpa contraria li dispaia.
7. 46 Questi fuor cherci, che non han coperchio
7. 47 piloso al capo, e papi e cardinali,
7. 48 in cui usa avarizia il suo soperchio».
7. 49 E io: «Maestro, tra questi cotali
7. 50 dovre' io ben riconoscere alcuni
7. 51 che furo immondi di cotesti mali».
7. 52 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
7. 53 la sconoscente vita che i fé sozzi
7. 54 ad ogne conoscenza or li fa bruni.
7. 55 In etterno verranno a li due cozzi:
7. 56 questi resurgeranno del sepulcro
7. 57 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
7. 58 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
7. 59 ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
7. 60 qual ella sia, parole non ci appulcro.
7. 61 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
7. 62 d'i ben che son commessi a la fortuna,
7. 63 per che l'umana gente si rabbuffa;
7. 64 ché tutto l'oro ch'è sotto la luna
7. 65 e che giÃ_ fu, di quest'anime stanche
7. 66 non poterebbe farne posare una».
7. 67 «Maestro mio», diss'io, «or mi dì anche:
7. 68 questa fortuna di che tu mi tocche,
7. 69 che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
7. 70 E quelli a me: «Oh creature sciocche,
7. 71 quanta ignoranza è quella che v'offende!
7. 72 Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.
7. 73 Colui lo cui saver tutto trascende,
7. 74 fece li cieli e diè lor chi conduce
7. 75 sì ch'ogne parte ad ogne parte splende,
7. 76 distribuendo igualmente la luce.
7. 77 Similemente a li splendor mondani
7. 78 ordinò general ministra e duce
7. 79 che permutasse a tempo li ben vani
7. 80 di gente in gente e d'uno in altro sangue,
7. 81 oltre la difension d'i senni umani;
7. 82 per ch'una gente impera e l'altra langue,
7. 83 seguendo lo giudicio di costei,
7. 84 che è occulto come in erba l'angue.
7. 85 Vostro saver non ha contasto a lei:
7. 86 questa provede, giudica, e persegue
7. 87 suo regno come il loro li altri dèi.
7. 88 Le sue permutazion non hanno triegue;
7. 89 necessitÃ_ la fa esser veloce;
7. 90 sì spesso vien chi vicenda consegue.
7. 91 Quest'è colei ch'è tanto posta in croce
7. 92 pur da color che le dovrien dar lode,
7. 93 dandole biasmo a torto e mala voce;
7. 94 ma ella s'è beata e ciò non ode:
7. 95 con l'altre prime creature lieta
7. 96 volve sua spera e beata si gode.
7. 97 Or discendiamo omai a maggior pieta;
7. 98 giÃ_ ogne stella cade che saliva
7. 99 quand'io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».
7.100 Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
7.101 sovr'una fonte che bolle e riversa
7.102 per un fossato che da lei deriva.
7.103 L'acqua era buia assai più che persa;
7.104 e noi, in compagnia de l'onde bige,
7.105 intrammo giù per una via diversa.
7.106 In la palude va c'ha nome Stige
7.107 questo tristo ruscel, quand'è disceso
7.108 al piè de le maligne piagge grige.
7.109 E io, che di mirare stava inteso,
7.110 vidi genti fangose in quel pantano,
7.111 ignude tutte, con sembiante offeso.
7.112 Queste si percotean non pur con mano,
7.113 ma con la testa e col petto e coi piedi,
7.114 troncandosi co' denti a brano a brano.
7.115 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
7.116 l'anime di color cui vinse l'ira;
7.117 e anche vo' che tu per certo credi
7.118 che sotto l'acqua è gente che sospira,
7.119 e fanno pullular quest'acqua al summo,
7.120 come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
7.121 Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo
7.122 ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
7.123 portando dentro accidioso fummo:
7.124 or ci attristiam ne la belletta negra".
7.125 Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,
7.126 ché dir nol posson con parola integra».
7.127 Così girammo de la lorda pozza
7.128 grand'arco tra la ripa secca e 'l mézzo,
7.129 con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.
7.130 Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.
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Inferno(canto 8)
8. 1 Io dico, seguitando, ch'assai prima
8. 2 che noi fossimo al piè de l'alta torre,
8. 3 li occhi nostri n'andar suso a la cima
8. 4 per due fiammette che i vedemmo porre
8. 5 e un'altra da lungi render cenno
8. 6 tanto ch'a pena il potea l'occhio tòrre.
8. 7 E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
8. 8 dissi: «Questo che dice? e che risponde
8. 9 quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?».
8. 10 Ed elli a me: «Su per le sucide onde
8. 11 giÃ_ scorgere puoi quello che s'aspetta,
8. 12 se 'l fummo del pantan nol ti nasconde».
8. 13 Corda non pinse mai da sé saetta
8. 14 che sì corresse via per l'aere snella,
8. 15 com'io vidi una nave piccioletta
8. 16 venir per l'acqua verso noi in quella,
8. 17 sotto 'l governo d'un sol galeoto,
8. 18 che gridava: «Or se' giunta, anima fella!».
8. 19 «FlegiÃ_s, FlegiÃ_s, tu gridi a vòto»,
8. 20 disse lo mio segnore «a questa volta:
8. 21 più non ci avrai che sol passando il loto».
8. 22 Qual è colui che grande inganno ascolta
8. 23 che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
8. 24 fecesi FlegiÃ_s ne l'ira accolta.
8. 25 Lo duca mio discese ne la barca,
8. 26 e poi mi fece intrare appresso lui;
8. 27 e sol quand'io fui dentro parve carca.
8. 28 Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
8. 29 segando se ne va l'antica prora
8. 30 de l'acqua più che non suol con altrui.
8. 31 Mentre noi corravam la morta gora,
8. 32 dinanzi mi si fece un pien di fango,
8. 33 e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?».
8. 34 E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;
8. 35 ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?».
8. 36 Rispuose: «Vedi che son un che piango».
8. 37 E io a lui: «Con piangere e con lutto,
8. 38 spirito maladetto, ti rimani;
8. 39 ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».
8. 40 Allor distese al legno ambo le mani;
8. 41 per che 'l maestro accorto lo sospinse,
8. 42 dicendo: «Via costÃ_ con li altri cani!».
8. 43 Lo collo poi con le braccia mi cinse;
8. 44 basciommi 'l volto, e disse: «Alma sdegnosa,
8. 45 benedetta colei che 'n te s'incinse!
8. 46 Quei fu al mondo persona orgogliosa;
8. 47 bontÃ_ non è che sua memoria fregi:
8. 48 così s'è l'ombra sua qui furiosa.
8. 49 Quanti si tegnon or lÃ_ sù gran regi
8. 50 che qui staranno come porci in brago,
8. 51 di sé lasciando orribili dispregi!».
8. 52 E io: «Maestro, molto sarei vago
8. 53 di vederlo attuffare in questa broda
8. 54 prima che noi uscissimo del lago».
8. 55 Ed elli a me: «Avante che la proda
8. 56 ti si lasci veder, tu sarai sazio:
8. 57 di tal disio convien che tu goda».
8. 58 Dopo ciò poco vid'io quello strazio
8. 59 far di costui a le fangose genti,
8. 60 che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
8. 61 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
8. 62 e 'l fiorentino spirito bizzarro
8. 63 in sé medesmo si volvea co' denti.
8. 64 Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
8. 65 ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
8. 66 per ch'io avante l'occhio intento sbarro.
8. 67 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
8. 68 s'appressa la cittÃ_ c'ha nome Dite,
8. 69 coi gravi cittadin, col grande stuolo».
8. 70 E io: «Maestro, giÃ_ le sue meschite
8. 71 lÃ_ entro certe ne la valle cerno,
8. 72 vermiglie come se di foco uscite
8. 73 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
8. 74 ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
8. 75 come tu vedi in questo basso inferno».
8. 76 Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
8. 77 che vallan quella terra sconsolata:
8. 78 le mura mi parean che ferro fosse.
8. 79 Non sanza prima far grande aggirata,
8. 80 venimmo in parte dove il nocchier forte
8. 81 «Usciteci», gridò: «qui è l'intrata».
8. 82 Io vidi più di mille in su le porte
8. 83 da ciel piovuti, che stizzosamente
8. 84 dicean: «Chi è costui che sanza morte
8. 85 va per lo regno de la morta gente?».
8. 86 E 'l savio mio maestro fece segno
8. 87 di voler lor parlar segretamente.
8. 88 Allor chiusero un poco il gran disdegno,
8. 89 e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada,
8. 90 che sì ardito intrò per questo regno.
8. 91 Sol si ritorni per la folle strada:
8. 92 pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai
8. 93 che li ha' iscorta sì buia contrada».
8. 94 Pensa, lettor, se io mi sconfortai
8. 95 nel suon de le parole maladette,
8. 96 ché non credetti ritornarci mai.
8. 97 «O caro duca mio, che più di sette
8. 98 volte m'hai sicurtÃ_ renduta e tratto
8. 99 d'alto periglio che 'ncontra mi stette,
8.100 non mi lasciar», diss'io, «così disfatto;
8.101 e se 'l passar più oltre ci è negato,
8.102 ritroviam l'orme nostre insieme ratto».
8.103 E quel segnor che lì m'avea menato,
8.104 mi disse: «Non temer; ché 'l nostro passo
8.105 non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato.
8.106 Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
8.107 conforta e ciba di speranza buona,
8.108 ch'i' non ti lascerò nel mondo basso».
8.109 Così sen va, e quivi m'abbandona
8.110 lo dolce padre, e io rimagno in forse,
8.111 che sì e no nel capo mi tenciona.
8.112 Udir non potti quello ch'a lor porse;
8.113 ma ei non stette lÃ_ con essi guari,
8.114 che ciascun dentro a pruova si ricorse.
8.115 Chiuser le porte que' nostri avversari
8.116 nel petto al mio segnor, che fuor rimase,
8.117 e rivolsesi a me con passi rari.
8.118 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
8.119 d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
8.120 «Chi m'ha negate le dolenti case!».
8.121 E a me disse: «Tu, perch'io m'adiri,
8.122 non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
8.123 qual ch'a la difension dentro s'aggiri.
8.124 Questa lor tracotanza non è nova;
8.125 ché giÃ_ l'usaro a men segreta porta,
8.126 la qual sanza serrame ancor si trova.
8.127 Sovr'essa vedestù la scritta morta:
8.128 e giÃ_ di qua da lei discende l'erta,
8.129 passando per li cerchi sanza scorta,
8.130 tal che per lui ne fia la terra aperta».
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Eugenio Delacroix ''Dante e Virgilio''
Inferno (canto 9)
9. 1 Quel color che viltÃ_ di fuor mi pinse
9. 2 veggendo il duca mio tornare in volta,
9. 3 più tosto dentro il suo novo ristrinse.
9. 4 Attento si fermò com'uom ch'ascolta;
9. 5 ché l'occhio nol potea menare a lunga
9. 6 per l'aere nero e per la nebbia folta.
9. 7 «Pur a noi converrÃ_ vincer la punga»,
9. 8 cominciò el, «se non... Tal ne s'offerse.
9. 9 Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!».
9. 10 I' vidi ben sì com'ei ricoperse
9. 11 lo cominciar con l'altro che poi venne,
9. 12 che fur parole a le prime diverse;
9. 13 ma nondimen paura il suo dir dienne,
9. 14 perch'io traeva la parola tronca
9. 15 forse a peggior sentenzia che non tenne.
9. 16 «In questo fondo de la trista conca
9. 17 discende mai alcun del primo grado,
9. 18 che sol per pena ha la speranza cionca?».
9. 19 Questa question fec'io; e quei «Di rado
9. 20 incontra», mi rispuose, «che di noi
9. 21 faccia il cammino alcun per qual io vado.
9. 22 Ver è ch'altra fiata qua giù fui,
9. 23 congiurato da quella Eritón cruda
9. 24 che richiamava l'ombre a' corpi sui.
9. 25 Di poco era di me la carne nuda,
9. 26 ch'ella mi fece intrar dentr'a quel muro,
9. 27 per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
9. 28 Quell'è 'l più basso loco e 'l più oscuro,
9. 29 e 'l più lontan dal ciel che tutto gira:
9. 30 ben so 'l cammin; però ti fa sicuro.
9. 31 Questa palude che 'l gran puzzo spira
9. 32 cigne dintorno la cittÃ_ dolente,
9. 33 u' non potemo intrare omai sanz'ira».
9. 34 E altro disse, ma non l'ho a mente;
9. 35 però che l'occhio m'avea tutto tratto
9. 36 ver' l'alta torre a la cima rovente,
9. 37 dove in un punto furon dritte ratto
9. 38 tre furie infernal di sangue tinte,
9. 39 che membra feminine avieno e atto,
9. 40 e con idre verdissime eran cinte;
9. 41 serpentelli e ceraste avien per crine,
9. 42 onde le fiere tempie erano avvinte.
9. 43 E quei, che ben conobbe le meschine
9. 44 de la regina de l'etterno pianto,
9. 45 «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.
9. 46 Quest'è Megera dal sinistro canto;
9. 47 quella che piange dal destro è Aletto;
9. 48 Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
9. 49 Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
9. 50 battiensi a palme, e gridavan sì alto,
9. 51 ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.
9. 52 «Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto»,
9. 53 dicevan tutte riguardando in giuso;
9. 54 «mal non vengiammo in Teseo l'assalto».
9. 55 «Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
9. 56 ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
9. 57 nulla sarebbe di tornar mai suso».
9. 58 Così disse 'l maestro; ed elli stessi
9. 59 mi volse, e non si tenne a le mie mani,
9. 60 che con le sue ancor non mi chiudessi.
9. 61 O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
9. 62 mirate la dottrina che s'asconde
9. 63 sotto 'l velame de li versi strani.
9. 64 E giÃ_ venia su per le torbide onde
9. 65 un fracasso d'un suon, pien di spavento,
9. 66 per cui tremavano amendue le sponde,
9. 67 non altrimenti fatto che d'un vento
9. 68 impetuoso per li avversi ardori,
9. 69 che fier la selva e sanz'alcun rattento
9. 70 li rami schianta, abbatte e porta fori;
9. 71 dinanzi polveroso va superbo,
9. 72 e fa fuggir le fiere e li pastori.
9. 73 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
9. 74 del viso su per quella schiuma antica
9. 75 per indi ove quel fummo è più acerbo».
9. 76 Come le rane innanzi a la nimica
9. 77 biscia per l'acqua si dileguan tutte,
9. 78 fin ch'a la terra ciascuna s'abbica,
9. 79 vid'io più di mille anime distrutte
9. 80 fuggir così dinanzi ad un ch'al passo
9. 81 passava Stige con le piante asciutte.
9. 82 Dal volto rimovea quell'aere grasso,
9. 83 menando la sinistra innanzi spesso;
9. 84 e sol di quell'angoscia parea lasso.
9. 85 Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
9. 86 e volsimi al maestro; e quei fé segno
9. 87 ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.
9. 88 Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
9. 89 Venne a la porta, e con una verghetta
9. 90 l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
9. 91 «O cacciati del ciel, gente dispetta»,
9. 92 cominciò elli in su l'orribil soglia,
9. 93 «ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
9. 94 Perché recalcitrate a quella voglia
9. 95 a cui non puote il fin mai esser mozzo,
9. 96 e che più volte v'ha cresciuta doglia?
9. 97 Che giova ne le fata dar di cozzo?
9. 98 Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
9. 99 ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo».
9.100 Poi si rivolse per la strada lorda,
9.101 e non fé motto a noi, ma fé sembiante
9.102 d'omo cui altra cura stringa e morda
9.103 che quella di colui che li è davante;
9.104 e noi movemmo i piedi inver' la terra,
9.105 sicuri appresso le parole sante.
9.106 Dentro li 'ntrammo sanz'alcuna guerra;
9.107 e io, ch'avea di riguardar disio
9.108 la condizion che tal fortezza serra,
9.109 com'io fui dentro, l'occhio intorno invio;
9.110 e veggio ad ogne man grande campagna
9.111 piena di duolo e di tormento rio.
9.112 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
9.113 sì com'a Pola, presso del Carnaro
9.114 ch'Italia chiude e suoi termini bagna,
9.115 fanno i sepulcri tutt'il loco varo,
9.116 così facevan quivi d'ogne parte,
9.117 salvo che 'l modo v'era più amaro;
9.118 ché tra gli avelli fiamme erano sparte,
9.119 per le quali eran sì del tutto accesi,
9.120 che ferro più non chiede verun'arte.
9.121 Tutti li lor coperchi eran sospesi,
9.122 e fuor n'uscivan sì duri lamenti,
9.123 che ben parean di miseri e d'offesi.
9.124 E io: «Maestro, quai son quelle genti
9.125 che, seppellite dentro da quell'arche,
9.126 si fan sentir coi sospiri dolenti?».
9.127 Ed elli a me: «Qui son li eresiarche
9.128 con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
9.129 più che non credi son le tombe carche.
9.130 Simile qui con simile è sepolto,
9.131 e i monimenti son più e men caldi».
9.132 E poi ch'a la man destra si fu vòlto,
9.133 passammo tra i martiri e li alti spaldi.
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Inferno (canto 10)
10. 1 Ora sen va per un secreto calle,
10. 2 tra 'l muro de la terra e li martìri,
10. 3 lo mio maestro, e io dopo le spalle.
10. 4 «O virtù somma, che per li empi giri
10. 5 mi volvi», cominciai, «com'a te piace,
10. 6 parlami, e sodisfammi a' miei disiri.
10. 7 La gente che per li sepolcri giace
10. 8 potrebbesi veder? giÃ_ son levati
10. 9 tutt'i coperchi, e nessun guardia face».
10. 10 E quelli a me: «Tutti saran serrati
10. 11 quando di IosafÃ_t qui torneranno
10. 12 coi corpi che lÃ_ sù hanno lasciati.
10. 13 Suo cimitero da questa parte hanno
10. 14 con Epicuro tutti suoi seguaci,
10. 15 che l'anima col corpo morta fanno.
10. 16 Però a la dimanda che mi faci
10. 17 quinc'entro satisfatto sarÃ_ tosto,
10. 18 e al disio ancor che tu mi taci».
10. 19 E io: «Buon duca, non tegno riposto
10. 20 a te mio cuor se non per dicer poco,
10. 21 e tu m'hai non pur mo a ciò disposto».
10. 22 «O Tosco che per la cittÃ_ del foco
10. 23 vivo ten vai così parlando onesto,
10. 24 piacciati di restare in questo loco.
10. 25 La tua loquela ti fa manifesto
10. 26 di quella nobil patria natio
10. 27 a la qual forse fui troppo molesto».
10. 28 Subitamente questo suono uscìo
10. 29 d'una de l'arche; però m'accostai,
10. 30 temendo, un poco più al duca mio.
10. 31 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
10. 32 Vedi lÃ_ Farinata che s'è dritto:
10. 33 da la cintola in sù tutto 'l vedrai».
10. 34 Io avea giÃ_ il mio viso nel suo fitto;
10. 35 ed el s'ergea col petto e con la fronte
10. 36 com'avesse l'inferno a gran dispitto.
10. 37 E l'animose man del duca e pronte
10. 38 mi pinser tra le sepulture a lui,
10. 39 dicendo: «Le parole tue sien conte».
10. 40 Com'io al piè de la sua tomba fui,
10. 41 guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
10. 42 mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
10. 43 Io ch'era d'ubidir disideroso,
10. 44 non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;
10. 45 ond'ei levò le ciglia un poco in suso;
10. 46 poi disse: «Fieramente furo avversi
10. 47 a me e a miei primi e a mia parte,
10. 48 sì che per due fiate li dispersi».
10. 49 «S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
10. 50 rispuos'io lui, «l'una e l'altra fiata;
10. 51 ma i vostri non appreser ben quell'arte».
10. 52 Allor surse a la vista scoperchiata
10. 53 un'ombra, lungo questa, infino al mento:
10. 54 credo che s'era in ginocchie levata.
10. 55 Dintorno mi guardò, come talento
10. 56 avesse di veder s'altri era meco;
10. 57 e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,
10. 58 piangendo disse: «Se per questo cieco
10. 59 carcere vai per altezza d'ingegno,
10. 60 mio figlio ov'è? e perché non è teco?».
10. 61 E io a lui: «Da me stesso non vegno:
10. 62 colui ch'attende lÃ_, per qui mi mena
10. 63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».
10. 64 Le sue parole e 'l modo de la pena
10. 65 m'avean di costui giÃ_ letto il nome;
10. 66 però fu la risposta così piena.
10. 67 Di subito drizzato gridò: «Come?
10. 68 dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora?
10. 69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
10. 70 Quando s'accorse d'alcuna dimora
10. 71 ch'io facea dinanzi a la risposta,
10. 72 supin ricadde e più non parve fora.
10. 73 Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
10. 74 restato m'era, non mutò aspetto,
10. 75 né mosse collo, né piegò sua costa:
10. 76 e sé continuando al primo detto,
10. 77 «S'elli han quell'arte», disse, «male appresa,
10. 78 ciò mi tormenta più che questo letto.
10. 79 Ma non cinquanta volte fia raccesa
10. 80 la faccia de la donna che qui regge,
10. 81 che tu saprai quanto quell'arte pesa.
10. 82 E se tu mai nel dolce mondo regge,
10. 83 dimmi: perché quel popolo è sì empio
10. 84 incontr'a' miei in ciascuna sua legge?».
10. 85 Ond'io a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio
10. 86 che fece l'Arbia colorata in rosso,
10. 87 tal orazion fa far nel nostro tempio».
10. 88 Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
10. 89 «A ciò non fu' io sol», disse, «né certo
10. 90 sanza cagion con li altri sarei mosso.
10. 91 Ma fu' io solo, lÃ_ dove sofferto
10. 92 fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
10. 93 colui che la difesi a viso aperto».
10. 94 «Deh, se riposi mai vostra semenza»,
10. 95 prega' io lui, «solvetemi quel nodo
10. 96 che qui ha 'nviluppata mia sentenza.
10. 97 El par che voi veggiate, se ben odo,
10. 98 dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
10. 99 e nel presente tenete altro modo».
10.100 «Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
10.101 le cose», disse, «che ne son lontano;
10.102 cotanto ancor ne splende il sommo duce.
10.103 Quando s'appressano o son, tutto è vano
10.104 nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
10.105 nulla sapem di vostro stato umano.
10.106 Però comprender puoi che tutta morta
10.107 fia nostra conoscenza da quel punto
10.108 che del futuro fia chiusa la porta».
10.109 Allor, come di mia colpa compunto,
10.110 dissi: «Or direte dunque a quel caduto
10.111 che 'l suo nato è co'vivi ancor congiunto;
10.112 e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto,
10.113 fate i saper che 'l fei perché pensava
10.114 giÃ_ ne l'error che m'avete soluto».
10.115 E giÃ_ 'l maestro mio mi richiamava;
10.116 per ch'i' pregai lo spirto più avaccio
10.117 che mi dicesse chi con lu' istava.
10.118 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
10.119 qua dentro è 'l secondo Federico,
10.120 e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio».
10.121 Indi s'ascose; e io inver' l'antico
10.122 poeta volsi i passi, ripensando
10.123 a quel parlar che mi parea nemico.
10.124 Elli si mosse; e poi, così andando,
10.125 mi disse: «Perché se' tu sì smarrito?».
10.126 E io li sodisfeci al suo dimando.
10.127 «La mente tua conservi quel ch'udito
10.128 hai contra te», mi comandò quel saggio.
10.129 «E ora attendi qui», e drizzò 'l dito:
10.130 «quando sarai dinanzi al dolce raggio
10.131 di quella il cui bell'occhio tutto vede,
10.132 da lei saprai di tua vita il viaggio».
10.133 Appresso mosse a man sinistra il piede:
10.134 lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
10.135 per un sentier ch'a una valle fiede,
10.136 che 'nfin lÃ_ sù facea spiacer suo lezzo.
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Purgatorio
Purgatorio (canto 1)
1. 1 Per correr miglior acque alza le vele
1. 2 omai la navicella del mio ingegno,
1. 3 che lascia dietro a sé mar sì crudele;
1. 4 e canterò di quel secondo regno
1. 5 dove l'umano spirito si purga
1. 6 e di salire al ciel diventa degno.
1. 7 Ma qui la morta poesì resurga,
1. 8 o sante Muse, poi che vostro sono;
1. 9 e qui Caliopè alquanto surga,
1. 10 seguitando il mio canto con quel suono
1. 11 di cui le Piche misere sentiro
1. 12 lo colpo tal, che disperar perdono.
1. 13 Dolce color d'oriental zaffiro,
1. 14 che s'accoglieva nel sereno aspetto
1. 15 del mezzo, puro infino al primo giro,
1. 16 a li occhi miei ricominciò diletto,
1. 17 tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
1. 18 che m'avea contristati li occhi e 'l petto.
1. 19 Lo bel pianeto che d'amar conforta
1. 20 faceva tutto rider l'oriente,
1. 21 velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
1. 22 I' mi volsi a man destra, e puosi mente
1. 23 a l'altro polo, e vidi quattro stelle
1. 24 non viste mai fuor ch'a la prima gente.
1. 25 Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
1. 26 oh settentrional vedovo sito,
1. 27 poi che privato se' di mirar quelle!
1. 28 Com'io da loro sguardo fui partito,
1. 29 un poco me volgendo a l'altro polo,
1. 30 lÃ_ onde il Carro giÃ_ era sparito,
1. 31 vidi presso di me un veglio solo,
1. 32 degno di tanta reverenza in vista,
1. 33 che più non dee a padre alcun figliuolo.
1. 34 Lunga la barba e di pel bianco mista
1. 35 portava, a' suoi capelli simigliante,
1. 36 de' quai cadeva al petto doppia lista.
1. 37 Li raggi de le quattro luci sante
1. 38 fregiavan sì la sua faccia di lume,
1. 39 ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.
1. 40 «Chi siete voi che contro al cieco fiume
1. 41 fuggita avete la pregione etterna?»,
1. 42 diss'el, movendo quelle oneste piume.
1. 43 «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
1. 44 uscendo fuor de la profonda notte
1. 45 che sempre nera fa la valle inferna?
1. 46 Son le leggi d'abisso così rotte?
1. 47 o è mutato in ciel novo consiglio,
1. 48 che, dannati, venite a le mie grotte?».
1. 49 Lo duca mio allor mi diè di piglio,
1. 50 e con parole e con mani e con cenni
1. 51 reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.
1. 52 Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
1. 53 donna scese del ciel, per li cui prieghi
1. 54 de la mia compagnia costui sovvenni.
1. 55 Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
1. 56 di nostra condizion com'ell'è vera,
1. 57 esser non puote il mio che a te si nieghi.
1. 58 Questi non vide mai l'ultima sera;
1. 59 ma per la sua follia le fu sì presso,
1. 60 che molto poco tempo a volger era.
1. 61 Sì com'io dissi, fui mandato ad esso
1. 62 per lui campare; e non lì era altra via
1. 63 che questa per la quale i' mi son messo.
1. 64 Mostrata ho lui tutta la gente ria;
1. 65 e ora intendo mostrar quelli spirti
1. 66 che purgan sé sotto la tua balìa.
1. 67 Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
1. 68 de l'alto scende virtù che m'aiuta
1. 69 conducerlo a vederti e a udirti.
1. 70 Or ti piaccia gradir la sua venuta:
1. 71 libertÃ_ va cercando, ch'è sì cara,
1. 72 come sa chi per lei vita rifiuta.
1. 73 Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
1. 74 in Utica la morte, ove lasciasti
1. 75 la vesta ch'al gran dì sarÃ_ sì chiara.
1. 76 Non son li editti etterni per noi guasti,
1. 77 ché questi vive, e Minòs me non lega;
1. 78 ma son del cerchio ove son li occhi casti
1. 79 di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
1. 80 o santo petto, che per tua la tegni:
1. 81 per lo suo amore adunque a noi ti piega.
1. 82 Lasciane andar per li tuoi sette regni;
1. 83 grazie riporterò di te a lei,
1. 84 se d'esser mentovato lÃ_ giù degni».
1. 85 «Marzia piacque tanto a li occhi miei
1. 86 mentre ch'i' fu' di lÃ_», diss'elli allora,
1. 87 «che quante grazie volse da me, fei.
1. 88 Or che di lÃ_ dal mal fiume dimora,
1. 89 più muover non mi può, per quella legge
1. 90 che fatta fu quando me n'usci' fora.
1. 91 Ma se donna del ciel ti muove e regge,
1. 92 come tu di', non c'è mestier lusinghe:
1. 93 bastisi ben che per lei mi richegge.
1. 94 Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
1. 95 d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
1. 96 sì ch'ogne sucidume quindi stinghe;
1. 97 ché non si converria, l'occhio sorpriso
1. 98 d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
1. 99 ministro, ch'è di quei di paradiso.
1.100 Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
1.101 lÃ_ giù colÃ_ dove la batte l'onda,
1.102 porta di giunchi sovra 'l molle limo;
1.103 null'altra pianta che facesse fronda
1.104 o indurasse, vi puote aver vita,
1.105 però ch'a le percosse non seconda.
1.106 Poscia non sia di qua vostra reddita;
1.107 lo sol vi mosterrÃ_, che surge omai,
1.108 prendere il monte a più lieve salita».
1.109 Così sparì; e io sù mi levai
1.110 sanza parlare, e tutto mi ritrassi
1.111 al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
1.112 El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
1.113 volgianci in dietro, ché di qua dichina
1.114 questa pianura a' suoi termini bassi».
1.115 L'alba vinceva l'ora mattutina
1.116 che fuggia innanzi, sì che di lontano
1.117 conobbi il tremolar de la marina.
1.118 Noi andavam per lo solingo piano
1.119 com'om che torna a la perduta strada,
1.120 che 'nfino ad essa li pare ire in vano.
1.121 Quando noi fummo lÃ_ 've la rugiada
1.122 pugna col sole, per essere in parte
1.123 dove, ad orezza, poco si dirada,
1.124 ambo le mani in su l'erbetta sparte
1.125 soavemente 'l mio maestro pose:
1.126 ond'io, che fui accorto di sua arte,
1.127 porsi ver' lui le guance lagrimose:
1.128 ivi mi fece tutto discoverto
1.129 quel color che l'inferno mi nascose.
1.130 Venimmo poi in sul lito diserto,
1.131 che mai non vide navicar sue acque
1.132 omo, che di tornar sia poscia esperto.
1.133 Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
1.134 oh maraviglia! ché qual elli scelse
1.135 l'umile pianta, cotal si rinacque
1.136 subitamente lÃ_ onde l'avelse.
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Purgatorio (canto 2)
2. 1 GiÃ_ era 'l sole a l'orizzonte giunto
2. 2 lo cui meridian cerchio coverchia
2. 3 Ierusalèm col suo più alto punto;
2. 4 e la notte, che opposita a lui cerchia,
2. 5 uscia di Gange fuor con le Bilance,
2. 6 che le caggion di man quando soverchia;
2. 7 sì che le bianche e le vermiglie guance,
2. 8 lÃ_ dov'i' era, de la bella Aurora
2. 9 per troppa etate divenivan rance.
2. 10 Noi eravam lunghesso mare ancora,
2. 11 come gente che pensa a suo cammino,
2. 12 che va col cuore e col corpo dimora.
2. 13 Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
2. 14 per li grossi vapor Marte rosseggia
2. 15 giù nel ponente sovra 'l suol marino,
2. 16 cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
2. 17 un lume per lo mar venir sì ratto,
2. 18 che 'l muover suo nessun volar pareggia.
2. 19 Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
2. 20 l'occhio per domandar lo duca mio,
2. 21 rividil più lucente e maggior fatto.
2. 22 Poi d'ogne lato ad esso m'appario
2. 23 un non sapeva che bianco, e di sotto
2. 24 a poco a poco un altro a lui uscio.
2. 25 Lo mio maestro ancor non facea motto,
2. 26 mentre che i primi bianchi apparver ali;
2. 27 allor che ben conobbe il galeotto,
2. 28 gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
2. 29 Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
2. 30 omai vedrai di sì fatti officiali.
2. 31 Vedi che sdegna li argomenti umani,
2. 32 sì che remo non vuol, né altro velo
2. 33 che l'ali sue, tra liti sì lontani.
2. 34 Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
2. 35 trattando l'aere con l'etterne penne,
2. 36 che non si mutan come mortal pelo».
2. 37 Poi, come più e più verso noi venne
2. 38 l'uccel divino, più chiaro appariva:
2. 39 per che l'occhio da presso nol sostenne,
2. 40 ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
2. 41 con un vasello snelletto e leggero,
2. 42 tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.
2. 43 Da poppa stava il celestial nocchiero,
2. 44 tal che faria beato pur descripto;
2. 45 e più di cento spirti entro sediero.
2. 46 "*In exitu Israel de Aegypto*"
2. 47 cantavan tutti insieme ad una voce
2. 48 con quanto di quel salmo è poscia scripto.
2. 49 Poi fece il segno lor di santa croce;
2. 50 ond'ei si gittar tutti in su la piaggia;
2. 51 ed el sen gì, come venne, veloce.
2. 52 La turba che rimase lì, selvaggia
2. 53 parea del loco, rimirando intorno
2. 54 come colui che nove cose assaggia.
2. 55 Da tutte parti saettava il giorno
2. 56 lo sol, ch'avea con le saette conte
2. 57 di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,
2. 58 quando la nova gente alzò la fronte
2. 59 ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
2. 60 mostratene la via di gire al monte».
2. 61 E Virgilio rispuose: «Voi credete
2. 62 forse che siamo esperti d'esto loco;
2. 63 ma noi siam peregrin come voi siete.
2. 64 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
2. 65 per altra via, che fu sì aspra e forte,
2. 66 che lo salire omai ne parrÃ_ gioco».
2. 67 L'anime, che si fuor di me accorte,
2. 68 per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
2. 69 maravigliando diventaro smorte.
2. 70 E come a messagger che porta ulivo
2. 71 tragge la gente per udir novelle,
2. 72 e di calcar nessun si mostra schivo,
2. 73 così al viso mio s'affisar quelle
2. 74 anime fortunate tutte quante,
2. 75 quasi obliando d'ire a farsi belle.
2. 76 Io vidi una di lor trarresi avante
2. 77 per abbracciarmi con sì grande affetto,
2. 78 che mosse me a far lo somigliante.
2. 79 Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
2. 80 tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
2. 81 e tante mi tornai con esse al petto.
2. 82 Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
2. 83 per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
2. 84 e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
2. 85 Soavemente disse ch'io posasse;
2. 86 allor conobbi chi era, e pregai
2. 87 che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
2. 88 Rispuosemi: «Così com'io t'amai
2. 89 nel mortal corpo, così t'amo sciolta:
2. 90 però m'arresto; ma tu perché vai?».
2. 91 «Casella mio, per tornar altra volta
2. 92 lÃ_ dov'io son, fo io questo viaggio»,
2. 93 diss'io; «ma a te com'è tanta ora tolta?».
2. 94 Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,
2. 95 se quei che leva quando e cui li piace,
2. 96 più volte m'ha negato esto passaggio;
2. 97 ché di giusto voler lo suo si face:
2. 98 veramente da tre mesi elli ha tolto
2. 99 chi ha voluto intrar, con tutta pace.
2.100 Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto
2.101 dove l'acqua di Tevero s'insala,
2.102 benignamente fu' da lui ricolto.
2.103 A quella foce ha elli or dritta l'ala,
2.104 però che sempre quivi si ricoglie
2.105 qual verso Acheronte non si cala».
2.106 E io: «Se nuova legge non ti toglie
2.107 memoria o uso a l'amoroso canto
2.108 che mi solea quetar tutte mie doglie,
2.109 di ciò ti piaccia consolare alquanto
2.110 l'anima mia, che, con la sua persona
2.111 venendo qui, è affannata tanto!».
2.112 "*Amor che ne la mente mi ragiona*"
2.113 cominciò elli allor sì dolcemente,
2.114 che la dolcezza ancor dentro mi suona.
2.115 Lo mio maestro e io e quella gente
2.116 ch'eran con lui parevan sì contenti,
2.117 come a nessun toccasse altro la mente.
2.118 Noi eravam tutti fissi e attenti
2.119 a le sue note; ed ecco il veglio onesto
2.120 gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
2.121 qual negligenza, quale stare è questo?
2.122 Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
2.123 ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».
2.124 Come quando, cogliendo biado o loglio,
2.125 li colombi adunati a la pastura,
2.126 queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,
2.127 se cosa appare ond'elli abbian paura,
2.128 subitamente lasciano star l'esca,
2.129 perch'assaliti son da maggior cura;
2.130 così vid'io quella masnada fresca
2.131 lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
2.132 com'om che va, né sa dove riesca:
2.133 né la nostra partita fu men tosta.
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Purgatorio(canto 3)
3. 1 Avvegna che la subitana fuga
3. 2 dispergesse color per la campagna,
3. 3 rivolti al monte ove ragion ne fruga,
3. 4 i' mi ristrinsi a la fida compagna:
3. 5 e come sare' io sanza lui corso?
3. 6 chi m'avria tratto su per la montagna?
3. 7 El mi parea da sé stesso rimorso:
3. 8 o dignitosa coscienza e netta,
3. 9 come t'è picciol fallo amaro morso!
3. 10 Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
3. 11 che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
3. 12 la mente mia, che prima era ristretta,
3. 13 lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
3. 14 e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
3. 15 che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.
3. 16 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
3. 17 rotto m'era dinanzi a la figura,
3. 18 ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.
3. 19 Io mi volsi dallato con paura
3. 20 d'essere abbandonato, quand'io vidi
3. 21 solo dinanzi a me la terra oscura;
3. 22 e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
3. 23 a dir mi cominciò tutto rivolto;
3. 24 «non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
3. 25 Vespero è giÃ_ colÃ_ dov'è sepolto
3. 26 lo corpo dentro al quale io facea ombra:
3. 27 Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
3. 28 Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
3. 29 non ti maravigliar più che d'i cieli
3. 30 che l'uno a l'altro raggio non ingombra.
3. 31 A sofferir tormenti, caldi e geli
3. 32 simili corpi la Virtù dispone
3. 33 che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
3. 34 Matto è chi spera che nostra ragione
3. 35 possa trascorrer la infinita via
3. 36 che tiene una sustanza in tre persone.
3. 37 State contenti, umana gente, al *quia*;
3. 38 ché se potuto aveste veder tutto,
3. 39 mestier non era parturir Maria;
3. 40 e disiar vedeste sanza frutto
3. 41 tai che sarebbe lor disio quetato,
3. 42 ch'etternalmente è dato lor per lutto:
3. 43 io dico d'Aristotile e di Plato
3. 44 e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
3. 45 e più non disse, e rimase turbato.
3. 46 Noi divenimmo intanto a piè del monte;
3. 47 quivi trovammo la roccia sì erta,
3. 48 che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
3. 49 Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
3. 50 la più rotta ruina è una scala,
3. 51 verso di quella, agevole e aperta.
3. 52 «Or chi sa da qual man la costa cala»,
3. 53 disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
3. 54 «sì che possa salir chi va sanz'ala?».
3. 55 E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
3. 56 essaminava del cammin la mente,
3. 57 e io mirava suso intorno al sasso,
3. 58 da man sinistra m'apparì una gente
3. 59 d'anime, che movieno i piè ver' noi,
3. 60 e non pareva, sì venian lente.
3. 61 «Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
3. 62 ecco di qua chi ne darÃ_ consiglio,
3. 63 se tu da te medesmo aver nol puoi¹.
3. 64 Guardò allora, e con libero piglio
3. 65 rispuose: «Andiamo in lÃ_, ch'ei vegnon piano;
3. 66 e tu ferma la spene, dolce figlio».
3. 67 Ancora era quel popol di lontano,
3. 68 i' dico dopo i nostri mille passi,
3. 69 quanto un buon gittator trarria con mano,
3. 70 quando si strinser tutti ai duri massi
3. 71 de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
3. 72 com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.
3. 73 «O ben finiti, o giÃ_ spiriti eletti»,
3. 74 Virgilio incominciò, «per quella pace
3. 75 ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,
3. 76 ditene dove la montagna giace
3. 77 sì che possibil sia l'andare in suso;
3. 78 ché perder tempo a chi più sa più spiace».
3. 79 Come le pecorelle escon del chiuso
3. 80 a una, a due, a tre, e l'altre stanno
3. 81 timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
3. 82 e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
3. 83 addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
3. 84 semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;
3. 85 sì vid'io muovere a venir la testa
3. 86 di quella mandra fortunata allotta,
3. 87 pudica in faccia e ne l'andare onesta.
3. 88 Come color dinanzi vider rotta
3. 89 la luce in terra dal mio destro canto,
3. 90 sì che l'ombra era da me a la grotta,
3. 91 restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
3. 92 e tutti li altri che venieno appresso,
3. 93 non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.
3. 94 «Sanza vostra domanda io vi confesso
3. 95 che questo è corpo uman che voi vedete;
3. 96 per che 'l lume del sole in terra è fesso.
3. 97 Non vi maravigliate, ma credete
3. 98 che non sanza virtù che da ciel vegna
3. 99 cerchi di soverchiar questa parete».
3.100 Così 'l maestro; e quella gente degna
3.101 «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
3.102 coi dossi de le man faccendo insegna.
3.103 E un di loro incominciò: «Chiunque
3.104 tu se', così andando, volgi 'l viso:
3.105 pon mente se di lÃ_ mi vedesti unque».
3.106 Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
3.107 biondo era e bello e di gentile aspetto,
3.108 ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
3.109 Quand'io mi fui umilmente disdetto
3.110 d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
3.111 e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
3.112 Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
3.113 nepote di Costanza imperadrice;
3.114 ond'io ti priego che, quando tu riedi,
3.115 vadi a mia bella figlia, genitrice
3.116 de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
3.117 e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.
3.118 Poscia ch'io ebbi rotta la persona
3.119 di due punte mortali, io mi rendei,
3.120 piangendo, a quei che volontier perdona.
3.121 Orribil furon li peccati miei;
3.122 ma la bontÃ_ infinita ha sì gran braccia,
3.123 che prende ciò che si rivolge a lei.
3.124 Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
3.125 di me fu messo per Clemente allora,
3.126 avesse in Dio ben letta questa faccia,
3.127 l'ossa del corpo mio sarieno ancora
3.128 in co del ponte presso a Benevento,
3.129 sotto la guardia de la grave mora.
3.130 Or le bagna la pioggia e move il vento
3.131 di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
3.132 dov'e' le trasmutò a lume spento.
3.133 Per lor maladizion sì non si perde,
3.134 che non possa tornar, l'etterno amore,
3.135 mentre che la speranza ha fior del verde.
3.136 Vero è che quale in contumacia more
3.137 di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
3.138 star li convien da questa ripa in fore,
3.139 per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
3.140 in sua presunzion, se tal decreto
3.141 più corto per buon prieghi non diventa.
3.142 Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
3.143 revelando a la mia buona Costanza
3.144 come m'hai visto, e anco esto divieto;
3.145 ché qui per quei di lÃ_ molto s'avanza».
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Purgatorio (canto 4)
4. 1 Quando per dilettanze o ver per doglie,
4. 2 che alcuna virtù nostra comprenda
4. 3 l'anima bene ad essa si raccoglie,
4. 4 par ch'a nulla potenza più intenda;
4. 5 e questo è contra quello error che crede
4. 6 ch'un'anima sovr'altra in noi s'accenda.
4. 7 E però, quando s'ode cosa o vede
4. 8 che tegna forte a sé l'anima volta,
4. 9 vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;
4. 10 ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
4. 11 e altra è quella c'ha l'anima intera:
4. 12 questa è quasi legata, e quella è sciolta.
4. 13 Di ciò ebb'io esperienza vera,
4. 14 udendo quello spirto e ammirando;
4. 15 ché ben cinquanta gradi salito era
4. 16 lo sole, e io non m'era accorto, quando
4. 17 venimmo ove quell'anime ad una
4. 18 gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
4. 19 Maggiore aperta molte volte impruna
4. 20 con una forcatella di sue spine
4. 21 l'uom de la villa quando l'uva imbruna,
4. 22 che non era la calla onde saline
4. 23 lo duca mio, e io appresso, soli,
4. 24 come da noi la schiera si partìne.
4. 25 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
4. 26 montasi su in Bismantova 'n Cacume
4. 27 con esso i piè; ma qui convien ch'om voli;
4. 28 dico con l'ale snelle e con le piume
4. 29 del gran disio, di retro a quel condotto
4. 30 che speranza mi dava e facea lume.
4. 31 Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
4. 32 e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
4. 33 e piedi e man volea il suol di sotto.
4. 34 Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
4. 35 de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
4. 36 «Maestro mio», diss'io, «che via faremo?».
4. 37 Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
4. 38 pur su al monte dietro a me acquista,
4. 39 fin che n'appaia alcuna scorta saggia».
4. 40 Lo sommo er'alto che vincea la vista,
4. 41 e la costa superba più assai
4. 42 che da mezzo quadrante a centro lista.
4. 43 Io era lasso, quando cominciai:
4. 44 «O dolce padre, volgiti, e rimira
4. 45 com'io rimango sol, se non restai».
4. 46 «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
4. 47 additandomi un balzo poco in sùe
4. 48 che da quel lato il poggio tutto gira.
4. 49 Sì mi spronaron le parole sue,
4. 50 ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
4. 51 tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.
4. 52 A seder ci ponemmo ivi ambedui
4. 53 vòlti a levante ond'eravam saliti,
4. 54 che suole a riguardar giovare altrui.
4. 55 Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
4. 56 poscia li alzai al sole, e ammirava
4. 57 che da sinistra n'eravam feriti.
4. 58 Ben s'avvide il poeta ch'io stava
4. 59 stupido tutto al carro de la luce,
4. 60 ove tra noi e Aquilone intrava.
4. 61 Ond'elli a me: «Se Castore e Poluce
4. 62 fossero in compagnia di quello specchio
4. 63 che sù e giù del suo lume conduce,
4. 64 tu vedresti il Zodiaco rubecchio
4. 65 ancora a l'Orse più stretto rotare,
4. 66 se non uscisse fuor del cammin vecchio.
4. 67 Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,
4. 68 dentro raccolto, imagina Siòn
4. 69 con questo monte in su la terra stare
4. 70 sì, ch'amendue hanno un solo orizzòn
4. 71 e diversi emisperi; onde la strada
4. 72 che mal non seppe carreggiar Fetòn,
4. 73 vedrai come a costui convien che vada
4. 74 da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
4. 75 se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».
4. 76 «Certo, maestro mio,», diss'io, «unquanco
4. 77 non vid'io chiaro sì com'io discerno
4. 78 lÃ_ dove mio ingegno parea manco,
4. 79 che 'l mezzo cerchio del moto superno,
4. 80 che si chiama Equatore in alcun'arte,
4. 81 e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,
4. 82 per la ragion che di' , quinci si parte
4. 83 verso settentrion, quanto li Ebrei
4. 84 vedevan lui verso la calda parte.
4. 85 Ma se a te piace, volontier saprei
4. 86 quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
4. 87 più che salir non posson li occhi miei».
4. 88 Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
4. 89 che sempre al cominciar di sotto è grave;
4. 90 e quant'om più va sù, e men fa male.
4. 91 Però, quand'ella ti parrÃ_ soave
4. 92 tanto, che sù andar ti fia leggero
4. 93 com'a seconda giù andar per nave,
4. 94 allor sarai al fin d'esto sentiero;
4. 95 quivi di riposar l'affanno aspetta.
4. 96 Più non rispondo, e questo so per vero».
4. 97 E com'elli ebbe sua parola detta,
4. 98 una voce di presso sonò: «Forse
4. 99 che di sedere in pria avrai distretta!».
4.100 Al suon di lei ciascun di noi si torse,
4.101 e vedemmo a mancina un gran petrone,
4.102 del qual né io né ei prima s'accorse.
4.103 LÃ_ ci traemmo; e ivi eran persone
4.104 che si stavano a l'ombra dietro al sasso
4.105 come l'uom per negghienza a star si pone.
4.106 E un di lor, che mi sembiava lasso,
4.107 sedeva e abbracciava le ginocchia,
4.108 tenendo 'l viso giù tra esse basso.
4.109 «O dolce segnor mio», diss'io, «adocchia
4.110 colui che mostra sé più negligente
4.111 che se pigrizia fosse sua serocchia».
4.112 Allor si volse a noi e puose mente,
4.113 movendo 'l viso pur su per la coscia,
4.114 e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
4.115 Conobbi allor chi era, e quella angoscia
4.116 che m'avacciava un poco ancor la lena,
4.117 non m'impedì l'andare a lui; e poscia
4.118 ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
4.119 dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
4.120 da l'omero sinistro il carro mena?».
4.121 Li atti suoi pigri e le corte parole
4.122 mosser le labbra mie un poco a riso;
4.123 poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
4.124 di te omai; ma dimmi: perché assiso
4.125 quiritto se'? attendi tu iscorta,
4.126 o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
4.127 Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
4.128 ché non mi lascerebbe ire a' martìri
4.129 l'angel di Dio che siede in su la porta.
4.130 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
4.131 di fuor da essa, quanto fece in vita,
4.132 perch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
4.133 se orazione in prima non m'aita
4.134 che surga sù di cuor che in grazia viva;
4.135 l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».
4.136 E giÃ_ il poeta innanzi mi saliva,
4.137 e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
4.138 meridian dal sole e a la riva
4.139 cuopre la notte giÃ_ col piè Morrocco».
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Purgatorio (canto 5)
5. 1 Io era giÃ_ da quell'ombre partito,
5. 2 e seguitava l'orme del mio duca,
5. 3 quando di retro a me, drizzando 'l dito,
5. 4 una gridò: «Ve' che non par che luca
5. 5 lo raggio da sinistra a quel di sotto,
5. 6 e come vivo par che si conduca!».
5. 7 Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
5. 8 e vidile guardar per maraviglia
5. 9 pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.
5. 10 «Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,
5. 11 disse 'l maestro, «che l'andare allenti?
5. 12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
5. 13 Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
5. 14 sta come torre ferma, che non crolla
5. 15 giÃ_ mai la cima per soffiar di venti;
5. 16 ché sempre l'omo in cui pensier rampolla
5. 17 sovra pensier, da sé dilunga il segno,
5. 18 perché la foga l'un de l'altro insolla».
5. 19 Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
5. 20 Dissilo, alquanto del color consperso
5. 21 che fa l'uom di perdon talvolta degno.
5. 22 E 'ntanto per la costa di traverso
5. 23 venivan genti innanzi a noi un poco,
5. 24 cantando "*Miserere*" a verso a verso.
5. 25 Quando s'accorser ch'i' non dava loco
5. 26 per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
5. 27 mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
5. 28 e due di loro, in forma di messaggi,
5. 29 corsero incontr'a noi e dimandarne:
5. 30 «Di vostra condizion fatene saggi».
5. 31 E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
5. 32 e ritrarre a color che vi mandaro
5. 33 che 'l corpo di costui è vera carne.
5. 34 Se per veder la sua ombra restaro,
5. 35 com'io avviso, assai è lor risposto:
5. 36 fÃ_ccianli onore, ed essere può lor caro».
5. 37 Vapori accesi non vid'io sì tosto
5. 38 di prima notte mai fender sereno,
5. 39 né, sol calando, nuvole d'agosto,
5. 40 che color non tornasser suso in meno;
5. 41 e, giunti lÃ_, con li altri a noi dier volta
5. 42 come schiera che scorre sanza freno.
5. 43 «Questa gente che preme a noi è molta,
5. 44 e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:
5. 45 «però pur va, e in andando ascolta».
5. 46 «O anima che vai per esser lieta
5. 47 con quelle membra con le quai nascesti»,
5. 48 venian gridando, «un poco il passo queta.
5. 49 Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
5. 50 sì che di lui di lÃ_ novella porti:
5. 51 deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?
5. 52 Noi fummo tutti giÃ_ per forza morti,
5. 53 e peccatori infino a l'ultima ora;
5. 54 quivi lume del ciel ne fece accorti,
5. 55 sì che, pentendo e perdonando, fora
5. 56 di vita uscimmo a Dio pacificati,
5. 57 che del disio di sé veder n'accora».
5. 58 E io: «Perché ne' vostri visi guati,
5. 59 non riconosco alcun; ma s'a voi piace
5. 60 cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
5. 61 voi dite, e io farò per quella pace
5. 62 che, dietro a' piedi di sì fatta guida
5. 63 di mondo in mondo cercar mi si face».
5. 64 E uno incominciò: «Ciascun si fida
5. 65 del beneficio tuo sanza giurarlo,
5. 66 pur che 'l voler nonpossa non ricida.
5. 67 Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo,
5. 68 ti priego, se mai vedi quel paese
5. 69 che siede tra Romagna e quel di Carlo,
5. 70 che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
5. 71 in Fano, sì che ben per me s'adori
5. 72 pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
5. 73 Quindi fu' io; ma li profondi fóri
5. 74 ond'uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
5. 75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
5. 76 lÃ_ dov'io più sicuro esser credea:
5. 77 quel da Esti il fé far, che m'avea in ira
5. 78 assai più lÃ_ che dritto non volea.
5. 79 Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
5. 80 quando fu' sovragiunto ad Oriaco,
5. 81 ancor sarei di lÃ_ dove si spira.
5. 82 Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
5. 83 m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid'io
5. 84 de le mie vene farsi in terra laco».
5. 85 Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
5. 86 si compia che ti tragge a l'alto monte,
5. 87 con buona pietate aiuta il mio!
5. 88 Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
5. 89 Giovanna o altri non ha di me cura;
5. 90 per ch'io vo tra costor con bassa fronte».
5. 91 E io a lui: «Qual forza o qual ventura
5. 92 ti traviò sì fuor di Campaldino,
5. 93 che non si seppe mai tua sepultura?».
5. 94 «Oh!», rispuos'elli, «a piè del Casentino
5. 95 traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
5. 96 che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
5. 97 LÃ_ 've 'l vocabol suo diventa vano,
5. 98 arriva' io forato ne la gola,
5. 99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.
5.100 Quivi perdei la vista e la parola
5.101 nel nome di Maria fini', e quivi
5.102 caddi, e rimase la mia carne sola.
5.103 Io dirò vero e tu 'l ridì tra ' vivi:
5.104 l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
5.105 gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
5.106 Tu te ne porti di costui l'etterno
5.107 per una lagrimetta che 'l mi toglie;
5.108 ma io farò de l'altro altro governo!".
5.109 Ben sai come ne l'aere si raccoglie
5.110 quell'umido vapor che in acqua riede,
5.111 tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
5.112 Giunse quel mal voler che pur mal chiede
5.113 con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
5.114 per la virtù che sua natura diede.
5.115 Indi la valle, come 'l dì fu spento,
5.116 da Pratomagno al gran giogo coperse
5.117 di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
5.118 sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
5.119 la pioggia cadde e a' fossati venne
5.120 di lei ciò che la terra non sofferse;
5.121 e come ai rivi grandi si convenne,
5.122 ver' lo fiume real tanto veloce
5.123 si ruinò, che nulla la ritenne.
5.124 Lo corpo mio gelato in su la foce
5.125 trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
5.126 ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
5.127 ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
5.128 voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
5.129 poi di sua preda mi coperse e cinse».
5.130 «Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
5.131 e riposato de la lunga via»,
5.132 seguitò 'l terzo spirito al secondo,
5.133 «ricorditi di me, che son la Pia:
5.134 Siena mi fé, disfecemi Maremma:
5.135 salsi colui che 'nnanellata pria
5.136 disposando m'avea con la sua gemma».
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Purgatorio (canto 6)
6. 1 Quando si parte il gioco de la zara,
6. 2 colui che perde si riman dolente,
6. 3 repetendo le volte, e tristo impara;
6. 4 con l'altro se ne va tutta la gente;
6. 5 qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
6. 6 e qual dallato li si reca a mente;
6. 7 el non s'arresta, e questo e quello intende;
6. 8 a cui porge la man, più non fa pressa;
6. 9 e così da la calca si difende.
6. 10 Tal era io in quella turba spessa,
6. 11 volgendo a loro, e qua e lÃ_, la faccia,
6. 12 e promettendo mi sciogliea da essa.
6. 13 Quiv'era l'Aretin che da le braccia
6. 14 fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
6. 15 e l'altro ch'annegò correndo in caccia.
6. 16 Quivi pregava con le mani sporte
6. 17 Federigo Novello, e quel da Pisa
6. 18 che fé parer lo buon Marzucco forte.
6. 19 Vidi conte Orso e l'anima divisa
6. 20 dal corpo suo per astio e per inveggia,
6. 21 com'e' dicea, non per colpa commisa;
6. 22 Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
6. 23 mentr'è di qua, la donna di Brabante,
6. 24 sì che però non sia di peggior greggia.
6. 25 Come libero fui da tutte quante
6. 26 quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
6. 27 sì che s'avacci lor divenir sante,
6. 28 io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
6. 29 o luce mia, espresso in alcun testo
6. 30 che decreto del cielo orazion pieghi;
6. 31 e questa gente prega pur di questo:
6. 32 sarebbe dunque loro speme vana,
6. 33 o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?».
6. 34 Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
6. 35 e la speranza di costor non falla,
6. 36 se ben si guarda con la mente sana;
6. 37 ché cima di giudicio non s'avvalla
6. 38 perché foco d'amor compia in un punto
6. 39 ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;
6. 40 e lÃ_ dov'io fermai cotesto punto,
6. 41 non s'ammendava, per pregar, difetto,
6. 42 perché 'l priego da Dio era disgiunto.
6. 43 Veramente a così alto sospetto
6. 44 non ti fermar, se quella nol ti dice
6. 45 che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.
6. 46 Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
6. 47 tu la vedrai di sopra, in su la vetta
6. 48 di questo monte, ridere e felice».
6. 49 E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
6. 50 ché giÃ_ non m'affatico come dianzi,
6. 51 e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».
6. 52 «Noi anderem con questo giorno innanzi»,
6. 53 rispuose, «quanto più potremo omai;
6. 54 ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.
6. 55 Prima che sie lÃ_ sù, tornar vedrai
6. 56 colui che giÃ_ si cuopre de la costa,
6. 57 sì che ' suoi raggi tu romper non fai.
6. 58 Ma vedi lÃ_ un'anima che, posta
6. 59 sola soletta, inverso noi riguarda:
6. 60 quella ne 'nsegnerÃ_ la via più tosta».
6. 61 Venimmo a lei: o anima lombarda,
6. 62 come ti stavi altera e disdegnosa
6. 63 e nel mover de li occhi onesta e tarda!
6. 64 Ella non ci dicea alcuna cosa,
6. 65 ma lasciavane gir, solo sguardando
6. 66 a guisa di leon quando si posa.
6. 67 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
6. 68 che ne mostrasse la miglior salita;
6. 69 e quella non rispuose al suo dimando,
6. 70 ma di nostro paese e de la vita
6. 71 ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
6. 72 «Mantua...», e l'ombra, tutta in sé romita,
6. 73 surse ver' lui del loco ove pria stava,
6. 74 dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
6. 75 de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.
6. 76 Ahi serva Italia, di dolore ostello,
6. 77 nave sanza nocchiere in gran tempesta,
6. 78 non donna di province, ma bordello!
6. 79 Quell'anima gentil fu così presta,
6. 80 sol per lo dolce suon de la sua terra,
6. 81 di fare al cittadin suo quivi festa;
6. 82 e ora in te non stanno sanza guerra
6. 83 li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
6. 84 di quei ch'un muro e una fossa serra.
6. 85 Cerca, misera, intorno da le prode
6. 86 le tue marine, e poi ti guarda in seno,
6. 87 s'alcuna parte in te di pace gode.
6. 88 Che val perché ti racconciasse il freno
6. 89 Iustiniano, se la sella è vota?
6. 90 Sanz'esso fora la vergogna meno.
6. 91 Ahi gente che dovresti esser devota,
6. 92 e lasciar seder Cesare in la sella,
6. 93 se bene intendi ciò che Dio ti nota,
6. 94 guarda come esta fiera è fatta fella
6. 95 per non esser corretta da li sproni,
6. 96 poi che ponesti mano a la predella.
6. 97 O Alberto tedesco ch'abbandoni
6. 98 costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
6. 99 e dovresti inforcar li suoi arcioni,
6.100 giusto giudicio da le stelle caggia
6.101 sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
6.102 tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
6.103 Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
6.104 per cupidigia di costÃ_ distretti,
6.105 che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
6.106 Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
6.107 Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
6.108 color giÃ_ tristi, e questi con sospetti!
6.109 Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
6.110 d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
6.111 e vedrai Santafior com'è oscura!
6.112 Vieni a veder la tua Roma che piagne
6.113 vedova e sola, e dì e notte chiama:
6.114 «Cesare mio, perché non m'accompagne?».
6.115 Vieni a veder la gente quanto s'ama!
6.116 e se nulla di noi pietÃ_ ti move,
6.117 a vergognar ti vien de la tua fama.
6.118 E se licito m'è, o sommo Giove
6.119 che fosti in terra per noi crucifisso,
6.120 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
6.121 O è preparazion che ne l'abisso
6.122 del tuo consiglio fai per alcun bene
6.123 in tutto de l'accorger nostro scisso?
6.124 Ché le cittÃ_ d'Italia tutte piene
6.125 son di tiranni, e un Marcel diventa
6.126 ogne villan che parteggiando viene.
6.127 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
6.128 di questa digression che non ti tocca,
6.129 mercé del popol tuo che si argomenta.
6.130 Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
6.131 per non venir sanza consiglio a l'arco;
6.132 ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
6.133 Molti rifiutan lo comune incarco;
6.134 ma il popol tuo solicito risponde
6.135 sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».
6.136 Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
6.137 tu ricca, tu con pace, e tu con senno!
6.138 S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
6.139 Atene e Lacedemona, che fenno
6.140 l'antiche leggi e furon sì civili,
6.141 fecero al viver bene un picciol cenno
6.142 verso di te, che fai tanto sottili
6.143 provedimenti, ch'a mezzo novembre
6.144 non giugne quel che tu d'ottobre fili.
6.145 Quante volte, del tempo che rimembre,
6.146 legge, moneta, officio e costume
6.147 hai tu mutato e rinovate membre!
6.148 E se ben ti ricordi e vedi lume,
6.149 vedrai te somigliante a quella inferma
6.150 che non può trovar posa in su le piume,
6.151 ma con dar volta suo dolore scherma.
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Purgatorio (canto 7)
7. 1 Poscia che l'accoglienze oneste e liete
7. 2 furo iterate tre e quattro volte,
7. 3 Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
7. 4 «Anzi che a questo monte fosser volte
7. 5 l'anime degne di salire a Dio,
7. 6 fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
7. 7 Io son Virgilio; e per null'altro rio
7. 8 lo ciel perdei che per non aver fé».
7. 9 Così rispuose allora il duca mio.
7. 10 Qual è colui che cosa innanzi sé
7. 11 sùbita vede ond'e' si maraviglia,
7. 12 che crede e non, dicendo «Ella è... non è...»,
7. 13 tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
7. 14 e umilmente ritornò ver' lui,
7. 15 e abbracciòl lÃ_ 've 'l minor s'appiglia.
7. 16 «O gloria di Latin», disse, «per cui
7. 17 mostrò ciò che potea la lingua nostra,
7. 18 o pregio etterno del loco ond'io fui,
7. 19 qual merito o qual grazia mi ti mostra?
7. 20 S'io son d'udir le tue parole degno,
7. 21 dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».
7. 22 «Per tutt'i cerchi del dolente regno»,
7. 23 rispuose lui, «son io di qua venuto;
7. 24 virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
7. 25 Non per far, ma per non fare ho perduto
7. 26 a veder l'alto Sol che tu disiri
7. 27 e che fu tardi per me conosciuto.
7. 28 Luogo è lÃ_ giù non tristo di martìri,
7. 29 ma di tenebre solo, ove i lamenti
7. 30 non suonan come guai, ma son sospiri.
7. 31 Quivi sto io coi pargoli innocenti
7. 32 dai denti morsi de la morte avante
7. 33 che fosser da l'umana colpa essenti;
7. 34 quivi sto io con quei che le tre sante
7. 35 virtù non si vestiro, e sanza vizio
7. 36 conobber l'altre e seguir tutte quante.
7. 37 Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
7. 38 dÃ_ noi per che venir possiam più tosto
7. 39 lÃ_ dove purgatorio ha dritto inizio».
7. 40 Rispuose: «Loco certo non c'è posto;
7. 41 licito m'è andar suso e intorno;
7. 42 per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
7. 43 Ma vedi giÃ_ come dichina il giorno,
7. 44 e andar sù di notte non si puote;
7. 45 però è buon pensar di bel soggiorno.
7. 46 Anime sono a destra qua remote:
7. 47 se mi consenti, io ti merrò ad esse,
7. 48 e non sanza diletto ti fier note».
7. 49 «Com'è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
7. 50 salir di notte, fora elli impedito
7. 51 d'altrui, o non sarria ché non potesse?».
7. 52 E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,
7. 53 dicendo: «Vedi? sola questa riga
7. 54 non varcheresti dopo 'l sol partito:
7. 55 non però ch'altra cosa desse briga,
7. 56 che la notturna tenebra, ad ir suso;
7. 57 quella col nonpoder la voglia intriga.
7. 58 Ben si poria con lei tornare in giuso
7. 59 e passeggiar la costa intorno errando,
7. 60 mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».
7. 61 Allora il mio segnor, quasi ammirando,
7. 62 «Menane», disse, «dunque lÃ_ 've dici
7. 63 ch'aver si può diletto dimorando».
7. 64 Poco allungati c'eravam di lici,
7. 65 quand'io m'accorsi che 'l monte era scemo,
7. 66 a guisa che i vallon li sceman quici.
7. 67 «ColÃ_», disse quell'ombra, «n'anderemo
7. 68 dove la costa face di sé grembo;
7. 69 e lÃ_ il novo giorno attenderemo».
7. 70 Tra erto e piano era un sentiero schembo,
7. 71 che ne condusse in fianco de la lacca,
7. 72 lÃ_ dove più ch'a mezzo muore il lembo.
7. 73 Oro e argento fine, cocco e biacca,
7. 74 indaco, legno lucido e sereno,
4 7. 75 fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,
7. 76 da l'erba e da li fior, dentr'a quel seno
7. 77 posti, ciascun saria di color vinto,
7. 78 come dal suo maggiore è vinto il meno.
7. 79 Non avea pur natura ivi dipinto,
7. 80 ma di soavitÃ_ di mille odori
7. 81 vi facea uno incognito e indistinto.
7. 82 `*Salve, Regina*' in sul verde e 'n su' fiori
7. 83 quindi seder cantando anime vidi,
7. 84 che per la valle non parean di fuori.
7. 85 «Prima che 'l poco sole omai s'annidi»,
7. 86 cominciò 'l Mantoan che ci avea vòlti,
7. 87 «tra color non vogliate ch'io vi guidi.
7. 88 Di questo balzo meglio li atti e ' volti
7. 89 conoscerete voi di tutti quanti,
7. 90 che ne la lama giù tra essi accolti.
7. 91 Colui che più siede alto e fa sembianti
7. 92 d'aver negletto ciò che far dovea,
7. 93 e che non move bocca a li altrui canti,
7. 94 Rodolfo imperador fu, che potea
7. 95 sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
7. 96 sì che tardi per altri si ricrea.
7. 97 L'altro che ne la vista lui conforta,
7. 98 resse la terra dove l'acqua nasce
7. 99 che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
7.100 Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
7.101 fu meglio assai che Vincislao suo figlio
7.102 barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
7.103 E quel nasetto che stretto a consiglio
7.104 par con colui c'ha sì benigno aspetto,
7.105 morì fuggendo e disfiorando il giglio:
7.106 guardate lÃ_ come si batte il petto!
7.107 L'altro vedete c'ha fatto a la guancia
7.108 de la sua palma, sospirando, letto.
7.109 Padre e suocero son del mal di Francia:
7.110 sanno la vita sua viziata e lorda,
7.111 e quindi viene il duol che sì li lancia.
7.112 Quel che par sì membruto e che s'accorda,
7.113 cantando, con colui dal maschio naso,
7.114 d'ogne valor portò cinta la corda;
7.115 e se re dopo lui fosse rimaso
7.116 lo giovanetto che retro a lui siede,
7.117 ben andava il valor di vaso in vaso,
7.118 che non si puote dir de l'altre rede;
7.119 Iacomo e Federigo hanno i reami;
7.120 del retaggio miglior nessun possiede.
7.121 Rade volte risurge per li rami
7.122 l'umana probitate; e questo vole
7.123 quei che la dÃ_, perché da lui si chiami.
7.124 Anche al nasuto vanno mie parole
7.125 non men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,
7.126 onde Puglia e Proenza giÃ_ si dole.
7.127 Tant'è del seme suo minor la pianta,
7.128 quanto più che Beatrice e Margherita,
7.129 Costanza di marito ancor si vanta.
7.130 Vedete il re de la semplice vita
7.131 seder lÃ_ solo, Arrigo d'Inghilterra:
7.132 questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
7.133 Quel che più basso tra costor s'atterra,
7.134 guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
7.135 per cui e Alessandria e la sua guerra
7.136 fa pianger Monferrato e Canavese».
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Purgatorio (canto 8)
8. 1 Era giÃ_ l'ora che volge il disio
8. 2 ai navicanti e 'ntenerisce il core
8. 3 lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
8. 4 e che lo novo peregrin d'amore
8. 5 punge, se ode squilla di lontano
8. 6 che paia il giorno pianger che si more;
8. 7 quand'io incominciai a render vano
8. 8 l'udire e a mirare una de l'alme
8. 9 surta, che l'ascoltar chiedea con mano.
8. 10 Ella giunse e levò ambo le palme,
8. 11 ficcando li occhi verso l'oriente,
8. 12 come dicesse a Dio: "D'altro non calme".
8. 13 "*Te lucis ante*" sì devotamente
8. 14 le uscìo di bocca e con sì dolci note,
8. 15 che fece me a me uscir di mente;
8. 16 e l'altre poi dolcemente e devote
8. 17 seguitar lei per tutto l'inno intero,
8. 18 avendo li occhi a le superne rote.
8. 19 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
8. 20 ché 'l velo è ora ben tanto sottile,
8. 21 certo che 'l trapassar dentro è leggero.
8. 22 Io vidi quello essercito gentile
8. 23 tacito poscia riguardare in sùe
8. 24 quasi aspettando, palido e umìle;
8. 25 e vidi uscir de l'alto e scender giùe
8. 26 due angeli con due spade affocate,
8. 27 tronche e private de le punte sue.
8. 28 Verdi come fogliette pur mo nate
8. 29 erano in veste, che da verdi penne
8. 30 percosse traean dietro e ventilate.
8. 31 L'un poco sovra noi a star si venne,
8. 32 e l'altro scese in l'opposita sponda,
8. 33 sì che la gente in mezzo si contenne.
8. 34 Ben discernea in lor la testa bionda;
8. 35 ma ne la faccia l'occhio si smarria,
8. 36 come virtù ch'a troppo si confonda.
8. 37 «Ambo vegnon del grembo di Maria»,
8. 38 disse Sordello, «a guardia de la valle,
8. 39 per lo serpente che verrÃ_ vie via».
8. 40 Ond'io, che non sapeva per qual calle,
8. 41 mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
8. 42 tutto gelato, a le fidate spalle.
8. 43 E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
8. 44 tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
8. 45 grazioso fia lor vedervi assai».
8. 46 Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
8. 47 e fui di sotto, e vidi un che mirava
8. 48 pur me, come conoscer mi volesse.
8. 49 Temp'era giÃ_ che l'aere s'annerava,
8. 50 ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
8. 51 non dichiarisse ciò che pria serrava.
8. 52 Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
8. 53 giudice Nin gentil, quanto mi piacque
8. 54 quando ti vidi non esser tra ' rei!
8. 55 Nullo bel salutar tra noi si tacque;
8. 56 poi dimandò: «Quant'è che tu venisti
8. 57 a piè del monte per le lontane acque?».
8. 58 «Oh!», diss'io lui, «per entro i luoghi tristi
8. 59 venni stamane, e sono in prima vita,
8. 60 ancor che l'altra, sì andando, acquisti».
8. 61 E come fu la mia risposta udita,
8. 62 Sordello ed elli in dietro si raccolse
8. 63 come gente di sùbito smarrita.
8. 64 L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
8. 65 che sedea lì, gridando:«Sù, Currado!
8. 66 vieni a veder che Dio per grazia volse».
8. 67 Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
8. 68 che tu dei a colui che sì nasconde
8. 69 lo suo primo perché, che non lì è guado,
8. 70 quando sarai di lÃ_ da le larghe onde,
8. 71 dì a Giovanna mia che per me chiami
8. 72 lÃ_ dove a li 'nnocenti si risponde.
8. 73 Non credo che la sua madre più m'ami,
8. 74 poscia che trasmutò le bianche bende,
8. 75 le quai convien che, misera!, ancor brami.
8. 76 Per lei assai di lieve si comprende
8. 77 quanto in femmina foco d'amor dura,
8. 78 se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.
8. 79 Non le farÃ_ sì bella sepultura
8. 80 la vipera che Melanesi accampa,
8. 81 com'avria fatto il gallo di Gallura».
8. 82 Così dicea, segnato de la stampa,
8. 83 nel suo aspetto, di quel dritto zelo
8. 84 che misuratamente in core avvampa.
8. 85 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
8. 86 pur lÃ_ dove le stelle son più tarde,
8. 87 sì come rota più presso a lo stelo.
8. 88 E 'l duca mio: «Figliuol, che lÃ_ sù guarde?».
8. 89 E io a lui: «A quelle tre facelle
8. 90 di che 'l polo di qua tutto quanto arde».
8. 91 Ond'elli a me: «Le quattro chiare stelle
8. 92 che vedevi staman, son di lÃ_ basse,
8. 93 e queste son salite ov'eran quelle».
8. 94 Com'ei parlava, e Sordello a sé il trasse
8. 95 dicendo:«Vedi lÃ_ 'l nostro avversaro»;
8. 96 e drizzò il dito perché 'n lÃ_ guardasse.
8. 97 Da quella parte onde non ha riparo
8. 98 la picciola vallea, era una biscia,
8. 99 forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
8.100 Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
8.101 volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
8.102 leccando come bestia che si liscia.
8.103 Io non vidi, e però dicer non posso,
8.104 come mosser li astor celestiali;
8.105 ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
8.106 Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
8.107 fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
8.108 suso a le poste rivolando iguali.
8.109 L'ombra che s'era al giudice raccolta
8.110 quando chiamò, per tutto quello assalto
8.111 punto non fu da me guardare sciolta.
8.112 «Se la lucerna che ti mena in alto
8.113 truovi nel tuo arbitrio tanta cera
8.114 quant'è mestiere infino al sommo smalto»,
8.115 cominciò ella, «se novella vera
8.116 di Val di Magra o di parte vicina
8.117 sai, dillo a me, che giÃ_ grande lÃ_ era.
8.118 Fui chiamato Currado Malaspina;
8.119 non son l'antico, ma di lui discesi;
8.120 a' miei portai l'amor che qui raffina».
8.121 «Oh!», diss'io lui, «per li vostri paesi
8.122 giÃ_ mai non fui; ma dove si dimora
8.123 per tutta Europa ch'ei non sien palesi?
8.124 La fama che la vostra casa onora,
8.125 grida i segnori e grida la contrada,
8.126 sì che ne sa chi non vi fu ancora;
8.127 e io vi giuro, s'io di sopra vada,
8.128 che vostra gente onrata non si sfregia
8.129 del pregio de la borsa e de la spada.
8.130 Uso e natura sì la privilegia,
8.131 che, perché il capo reo il mondo torca,
8.132 sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».
8.133 Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
8.134 sette volte nel letto che 'l Montone
8.135 con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
8.136 che cotesta cortese oppinione
8.137 ti fia chiavata in mezzo de la testa
8.138 con maggior chiovi che d'altrui sermone,
8.139 se corso di giudicio non s'arresta».
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Purgatorio (canto 9)
9. 1 La concubina di Titone antico
9. 2 giÃ_ s'imbiancava al balco d'oriente,
9. 3 fuor de le braccia del suo dolce amico;
9. 4 di gemme la sua fronte era lucente,
9. 5 poste in figura del freddo animale
9. 6 che con la coda percuote la gente;
9. 7 e la notte, de' passi con che sale,
9. 8 fatti avea due nel loco ov'eravamo,
9. 9 e 'l terzo giÃ_ chinava in giuso l'ale;
9. 10 quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
9. 11 vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
9. 12 lÃ_ 've giÃ_ tutti e cinque sedavamo.
9. 13 Ne l'ora che comincia i tristi lai
9. 14 la rondinella presso a la mattina,
9. 15 forse a memoria de' suo' primi guai,
9. 16 e che la mente nostra, peregrina
9. 17 più da la carne e men da' pensier presa,
9. 18 a le sue vision quasi è divina,
9. 19 in sogno mi parea veder sospesa
9. 20 un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
9. 21 con l'ali aperte e a calare intesa;
9. 22 ed esser mi parea lÃ_ dove fuoro
9. 23 abbandonati i suoi da Ganimede,
9. 24 quando fu ratto al sommo consistoro.
9. 25 Fra me pensava: "Forse questa fiede
9. 26 pur qui per uso, e forse d'altro loco
9. 27 disdegna di portarne suso in piede".
9. 28 Poi mi parea che, poi rotata un poco,
9. 29 terribil come folgor discendesse,
9. 30 e me rapisse suso infino al foco.
9. 31 Ivi parea che ella e io ardesse;
9. 32 e sì lo 'ncendio imaginato cosse,
9. 33 che convenne che 'l sonno si rompesse.
9. 34 Non altrimenti Achille si riscosse,
9. 35 li occhi svegliati rivolgendo in giro
9. 36 e non sappiendo lÃ_ dove si fosse,
9. 37 quando la madre da Chirón a Schiro
9. 38 trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
9. 39 lÃ_ onde poi li Greci il dipartiro;
9. 40 che mi scoss'io, sì come da la faccia
9. 41 mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,
9. 42 come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.
9. 43 Dallato m'era solo il mio conforto,
9. 44 e 'l sole er'alto giÃ_ più che due ore,
9. 45 e 'l viso m'era a la marina torto.
9. 46 «Non aver tema», disse il mio segnore;
9. 47 «fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
9. 48 non stringer, ma rallarga ogne vigore.
9. 49 Tu se' omai al purgatorio giunto:
9. 50 vedi lÃ_ il balzo che 'l chiude dintorno;
9. 51 vedi l'entrata lÃ_ 've par digiunto.
9. 52 Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,
9. 53 quando l'anima tua dentro dormia,
9. 54 sovra li fiori ond'è lÃ_ giù addorno
9. 55 venne una donna, e disse: "I' son Lucia;
9. 56 lasciatemi pigliar costui che dorme;
9. 57 sì l'agevolerò per la sua via".
9. 58 Sordel rimase e l'altre genti forme;
9. 59 ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,
9. 60 sen venne suso; e io per le sue orme.
9. 61 Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
9. 62 li occhi suoi belli quella intrata aperta;
9. 63 poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro».
9. 64 A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta
9. 65 e che muta in conforto sua paura,
9. 66 poi che la veritÃ_ li è discoperta,
9. 67 mi cambia' io; e come sanza cura
9. 68 vide me 'l duca mio, su per lo balzo
9. 69 si mosse, e io di rietro inver' l'altura.
9. 70 Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
9. 71 la mia matera, e però con più arte
9. 72 non ti maravigliar s'io la rincalzo.
9. 73 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
9. 74 che lÃ_ dove pareami prima rotto,
9. 75 pur come un fesso che muro diparte,
9. 76 vidi una porta, e tre gradi di sotto
9. 77 per gire ad essa, di color diversi,
9. 78 e un portier ch'ancor non facea motto.
9. 79 E come l'occhio più e più v'apersi,
9. 80 vidil seder sovra 'l grado sovrano,
9. 81 tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;
9. 82 e una spada nuda avea in mano,
9. 83 che reflettea i raggi sì ver' noi,
9. 84 ch'io drizzava spesso il viso in vano.
9. 85 «Dite costinci: che volete voi?»,
9. 86 cominciò elli a dire, «ov'è la scorta?
9. 87 Guardate che 'l venir sù non vi nòi».
9. 88 «Donna del ciel, di queste cose accorta»,
9. 89 rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi
9. 90 ne disse: "Andate lÃ_: quivi è la porta"».
9. 91 «Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
9. 92 ricominciò il cortese portinaio:
9. 93 «Venite dunque a' nostri gradi innanzi».
9. 94 LÃ_ ne venimmo; e lo scaglion primaio
9. 95 bianco marmo era sì pulito e terso,
9. 96 ch'io mi specchiai in esso qual io paio.
9. 97 Era il secondo tinto più che perso,
9. 98 d'una petrina ruvida e arsiccia,
9. 99 crepata per lo lungo e per traverso.
9.100 Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
9.101 porfido mi parea, sì fiammeggiante,
9.102 come sangue che fuor di vena spiccia.
9.103 Sovra questo tenea ambo le piante
9.104 l'angel di Dio, sedendo in su la soglia,
9.105 che mi sembiava pietra di diamante.
9.106 Per li tre gradi sù di buona voglia
9.107 mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
9.108 umilemente che 'l serrame scioglia».
9.109 Divoto mi gittai a' santi piedi;
9.110 misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
9.111 ma tre volte nel petto pria mi diedi.
9.112 Sette P ne la fronte mi descrisse
9.113 col punton de la spada, e «Fa che lavi,
9.114 quando se' dentro, queste piaghe», disse.
9.115 Cenere, o terra che secca si cavi,
9.116 d'un color fora col suo vestimento;
9.117 e di sotto da quel trasse due chiavi.
9.118 L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
9.119 pria con la bianca e poscia con la gialla
9.120 fece a la porta sì, ch'i' fu' contento.
9.121 «Quandunque l'una d'este chiavi falla,
9.122 che non si volga dritta per la toppa»,
9.123 diss'elli a noi, «non s'apre questa calla.
9.124 Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
9.125 d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
9.126 perch'ella è quella che 'l nodo digroppa.
9.127 Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
9.128 anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
9.129 pur che la gente a' piedi mi s'atterri».
9.130 Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
9.131 dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
9.132 che di fuor torna chi 'n dietro si guata».
9.133 E quando fuor ne' cardini distorti
9.134 li spigoli di quella regge sacra,
9.135 che di metallo son sonanti e forti,
9.136 non rugghiò sì né si mostrò sì acra
9.137 Tarpea, come tolto le fu il buono
9.138 Metello, per che poi rimase macra.
9.139 Io mi rivolsi attento al primo tuono,
9.140 e "*Te Deum laudamus*" mi parea
9.141 udire in voce mista al dolce suono.
9.142 Tale imagine a punto mi rendea
9.143 ciò ch'io udiva, qual prender si suole
9.144 quando a cantar con organi si stea;
9.145 ch'or sì or no s'intendon le parole.
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Purgatorio (canto 10)
10. 1 Poi fummo dentro al soglio de la porta
10. 2 che 'l mal amor de l'anime disusa,
10. 3 perché fa parer dritta la via torta,
10. 4 sonando la senti' esser richiusa;
10. 5 e s'io avesse li occhi vòlti ad essa,
10. 6 qual fora stata al fallo degna scusa?
10. 7 Noi salavam per una pietra fessa,
10. 8 che si moveva e d'una e d'altra parte,
10. 9 sì come l'onda che fugge e s'appressa.
10. 10 «Qui si conviene usare un poco d'arte»,
10. 11 cominciò 'l duca mio, «in accostarsi
10. 12 or quinci, or quindi al lato che si parte».
10. 13 E questo fece i nostri passi scarsi,
10. 14 tanto che pria lo scemo de la luna
10. 15 rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
10. 16 che noi fossimo fuor di quella cruna;
10. 17 ma quando fummo liberi e aperti
10. 18 sù dove il monte in dietro si rauna,
10. 19 io stancato e amendue incerti
10. 20 di nostra via, restammo in su un piano
10. 21 solingo più che strade per diserti.
10. 22 Da la sua sponda, ove confina il vano,
10. 23 al piè de l'alta ripa che pur sale,
10. 24 misurrebbe in tre volte un corpo umano;
10. 25 e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,
10. 26 or dal sinistro e or dal destro fianco,
10. 27 questa cornice mi parea cotale.
10. 28 LÃ_ sù non eran mossi i piè nostri anco,
10. 29 quand'io conobbi quella ripa intorno
10. 30 che dritto di salita aveva manco,
10. 31 esser di marmo candido e addorno
10. 32 d'intagli sì, che non pur Policleto,
10. 33 ma la natura lì avrebbe scorno.
10. 34 L'angel che venne in terra col decreto
10. 35 de la molt'anni lagrimata pace,
10. 36 ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,
10. 37 dinanzi a noi pareva sì verace
10. 38 quivi intagliato in un atto soave,
10. 39 che non sembiava imagine che tace.
10. 40 Giurato si saria ch'el dicesse "*Ave*!";
10. 41 perché iv'era imaginata quella
10. 42 ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave;
10. 43 e avea in atto impressa esta favella
10. 44 "*Ecce ancilla Dei*", propriamente
10. 45 come figura in cera si suggella.
10. 46 «Non tener pur ad un loco la mente»,
10. 47 disse 'l dolce maestro, che m'avea
10. 48 c onde 'l cuore ha la gente.
10. 49 Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea
10. 50 di retro da Maria, da quella costa
10. 51 onde m'era colui che mi movea,
10. 52 un'altra storia ne la roccia imposta;
10. 53 per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,
10. 54 acciò che fosse a li occhi miei disposta.
10. 55 Era intagliato lì nel marmo stesso
10. 56 lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,
10. 57 per che si teme officio non commesso.
10. 58 Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
10. 59 partita in sette cori, a' due mie' sensi
10. 60 faceva dir l'un «No», l'altro «Sì, canta».
10. 61 Similemente al fummo de li 'ncensi
10. 62 che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
10. 63 e al sì e al no discordi fensi.
10. 64 Lì precedeva al benedetto vaso,
10. 65 trescando alzato, l'umile salmista,
10. 66 e più e men che re era in quel caso.
10. 67 Di contra, effigiata ad una vista
10. 68 d'un gran palazzo, Micòl ammirava
10. 69 sì come donna dispettosa e trista.
10. 70 I' mossi i piè del loco dov'io stava,
10. 71 per avvisar da presso un'altra istoria,
10. 72 che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
10. 73 Quiv'era storiata l'alta gloria
10. 74 del roman principato, il cui valore
4 10. 75 mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
10. 76 i' dico di Traiano imperadore;
10. 77 e una vedovella li era al freno,
10. 78 di lagrime atteggiata e di dolore.
10. 79 Intorno a lui parea calcato e pieno
10. 80 di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
10. 81 sovr'essi in vista al vento si movieno.
10. 82 La miserella intra tutti costoro
10. 83 pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
10. 84 di mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro»;
10. 85 ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
10. 86 tanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor mio»,
10. 87 come persona in cui dolor s'affretta,
10. 88 «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov'io,
10. 89 la ti farÃ_»; ed ella: «L'altrui bene
10. 90 a te che fia, se 'l tuo metti in oblio?»;
10. 91 ond'elli: «Or ti conforta; ch'ei convene
10. 92 ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
10. 93 giustizia vuole e pietÃ_ mi ritene».
10. 94 Colui che mai non vide cosa nova
10. 95 produsse esto visibile parlare,
10. 96 novello a noi perché qui non si trova.
10. 97 Mentr'io mi dilettava di guardare
10. 98 l'imagini di tante umilitadi,
10. 99 e per lo fabbro loro a veder care,
10.100 «Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
10.101 mormorava il poeta, «molte genti:
10.102 questi ne 'nvieranno a li alti gradi».
10.103 Li occhi miei ch'a mirare eran contenti
10.104 per veder novitadi ond'e' son vaghi,
10.105 volgendosi ver' lui non furon lenti.
10.106 Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
10.107 di buon proponimento per udire
10.108 come Dio vuol che 'l debito si paghi.
10.109 Non attender la forma del martìre:
10.110 pensa la succession; pensa ch'al peggio,
10.111 oltre la gran sentenza non può ire.
10.112 Io cominciai: «Maestro, quel ch'io veggio
10.113 muovere a noi, non mi sembian persone,
10.114 e non so che, sì nel veder vaneggio».
10.115 Ed elli a me: «La grave condizione
10.116 di lor tormento a terra li rannicchia,
10.117 sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione.
10.118 Ma guarda fiso lÃ_, e disviticchia
10.119 col viso quel che vien sotto a quei sassi:
10.120 giÃ_ scorger puoi come ciascun si picchia».
10.121 O superbi cristian, miseri lassi,
10.122 che, de la vista de la mente infermi,
10.123 fidanza avete ne' retrosi passi,
10.124 non v'accorgete voi che noi siam vermi
10.125 nati a formar l'angelica farfalla,
10.126 che vola a la giustizia sanza schermi?
10.127 Di che l'animo vostro in alto galla,
10.128 poi siete quasi antomata in difetto,
10.129 sì come vermo in cui formazion falla?
10.130 Come per sostentar solaio o tetto,
10.131 per mensola talvolta una figura
10.132 si vede giugner le ginocchia al petto,
10.133 la qual fa del non ver vera rancura
10.134 nascere 'n chi la vede; così fatti
10.135 vid'io color, quando puosi ben cura.
10.136 Vero è che più e meno eran contratti
10.137 secondo ch'avien più e meno a dosso;
10.138 e qual più pazienza avea ne li atti,
10.139 piangendo parea dicer: "Più non posso".
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Paradiso (canto 1)
1. 1 La gloria di colui che tutto move
1. 2 per l'universo penetra, e risplende
1. 3 in una parte più e meno altrove.
1. 4 Nel ciel che più de la sua luce prende
1. 5 fu' io, e vidi cose che ridire
1. 6 né sa né può chi di lÃ_ sù discende;
1. 7 perché appressando sé al suo disire,
1. 8 nostro intelletto si profonda tanto,
1. 9 che dietro la memoria non può ire.
1. 10 Veramente quant'io del regno santo
1. 11 ne la mia mente potei far tesoro,
1. 12 sarÃ_ ora materia del mio canto.
1. 13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
1. 14 fammi del tuo valor sì fatto vaso,
1. 15 come dimandi a dar l'amato alloro.
1. 16 Infino a qui l'un giogo di Parnaso
1. 17 assai mi fu; ma or con amendue
1. 18 m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.
1. 19 Entra nel petto mio, e spira tue
1. 20 sì come quando Marsia traesti
1. 21 de la vagina de le membra sue.
1. 22 O divina virtù, se mi ti presti
1. 23 tanto che l'ombra del beato regno
1. 24 segnata nel mio capo io manifesti,
1. 25 vedra'mi al piè del tuo diletto legno
1. 26 venire, e coronarmi de le foglie
1. 27 che la materia e tu mi farai degno.
1. 28 Sì rade volte, padre, se ne coglie
1. 29 per triunfare o cesare o poeta,
1. 30 colpa e vergogna de l'umane voglie,
1. 31 che parturir letizia in su la lieta
1. 32 delfica deitÃ_ dovria la fronda
1. 33 peneia, quando alcun di sé asseta.
1. 34 Poca favilla gran fiamma seconda:
1. 35 forse di retro a me con miglior voci
1. 36 si pregherÃ_ perché Cirra risponda.
1. 37 Surge ai mortali per diverse foci
1. 38 la lucerna del mondo; ma da quella
1. 39 che quattro cerchi giugne con tre croci,
1. 40 con miglior corso e con migliore stella
1. 41 esce congiunta, e la mondana cera
1. 42 più a suo modo tempera e suggella.
1. 43 Fatto avea di lÃ_ mane e di qua sera
1. 44 tal foce, e quasi tutto era lÃ_ bianco
1. 45 quello emisperio, e l'altra parte nera,
1. 46 quando Beatrice in sul sinistro fianco
1. 47 vidi rivolta e riguardar nel sole:
1. 48 aquila sì non li s'affisse unquanco.
1. 49 E sì come secondo raggio suole
1. 50 uscir del primo e risalire in suso,
1. 51 pur come pelegrin che tornar vuole,
1. 52 così de l'atto suo, per li occhi infuso
1. 53 ne l'imagine mia, il mio si fece,
1. 54 e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.
1. 55 Molto è licito lÃ_, che qui non lece
1. 56 a le nostre virtù, mercé del loco
1. 57 fatto per proprio de l'umana spece.
1. 58 Io nol soffersi molto, né sì poco,
1. 59 ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
1. 60 com'ferro che bogliente esce del foco;
1. 61 e di sùbito parve giorno a giorno
1. 62 essere aggiunto, come quei che puote
1. 63 avesse il ciel d'un altro sole addorno.
1. 64 Beatrice tutta ne l'etterne rote
1. 65 fissa con li occhi stava; e io in lei
1. 66 le luci fissi, di lÃ_ sù rimote.
1. 67 Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
1. 68 qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
1. 69 che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.
1. 70 Trasumanar significar *per verba*
1. 71 non si poria; però l'essemplo basti
1. 72 a cui esperienza grazia serba.
1. 73 S'i' era sol di me quel che creasti
1. 74 novellamente, amor che 'l ciel governi,
1. 75 tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.
1. 76 Quando la rota che tu sempiterni
1. 77 desiderato, a sé mi fece atteso
1. 78 con l'armonia che temperi e discerni,
1. 79 parvemi tanto allor del cielo acceso
1. 80 de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
1. 81 lago non fece alcun tanto disteso.
1. 82 La novitÃ_ del suono e 'l grande lume
1. 83 di lor cagion m'accesero un disio
1. 84 mai non sentito di cotanto acume.
1. 85 Ond'ella, che vedea me sì com'io,
1. 86 a quietarmi l'animo commosso,
1. 87 pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
1. 88 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
1. 89 col falso imaginar, sì che non vedi
1. 90 ciò che vedresti se l'avessi scosso.
1. 91 Tu non se' in terra, sì come tu credi;
1. 92 ma folgore, fuggendo il proprio sito,
1. 93 non corse come tu ch'ad esso riedi».
1. 94 S'io fui del primo dubbio disvestito
1. 95 per le sorrise parolette brevi,
1. 96 dentro ad un nuovo più fu' inretito,
1. 97 e dissi: «GiÃ_ contento *requievi*
1. 98 di grande ammirazion; ma ora ammiro
1. 99 com'io trascenda questi corpi levi».
1.100 Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
1.101 li occhi drizzò ver' me con quel sembiante
1.102 che madre fa sovra figlio deliro,
1.103 e cominciò: «Le cose tutte quante
1.104 hanno ordine tra loro, e questo è forma
1.105 che l'universo a Dio fa simigliante.
1.106 Qui veggion l'alte creature l'orma
1.107 de l'etterno valore, il qual è fine
1.108 al quale è fatta la toccata norma.
1.109 Ne l'ordine ch'io dico sono accline
1.110 tutte nature, per diverse sorti,
1.111 più al principio loro e men vicine;
1.112 onde si muovono a diversi porti
1.113 per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
1.114 con istinto a lei dato che la porti.
1.115 Questi ne porta il foco inver' la luna;
1.116 questi ne' cor mortali è permotore;
1.117 questi la terra in sé stringe e aduna;
1.118 né pur le creature che son fore
1.119 d'intelligenza quest'arco saetta
1.120 ma quelle c'hanno intelletto e amore.
1.121 La provedenza, che cotanto assetta,
1.122 del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
1.123 nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;
1.124 e ora lì, come a sito decreto,
1.125 cen porta la virtù di quella corda
1.126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.
1.127 Vero è che, come forma non s'accorda
1.128 molte fiate a l'intenzion de l'arte,
1.129 perch'a risponder la materia è sorda,
1.130 così da questo corso si diparte
1.131 talor la creatura, c'ha podere
1.132 di piegar, così pinta, in altra parte;
1.133 e sì come veder si può cadere
1.134 foco di nube, sì l'impeto primo
1.135 l'atterra torto da falso piacere.
1.136 Non dei più ammirar, se bene stimo,
1.137 lo tuo salir, se non come d'un rivo
1.138 se d'alto monte scende giuso ad imo.
1.139 Maraviglia sarebbe in te se, privo
1.140 d'impedimento, giù ti fossi assiso,
1.141 com'a terra quiete in foco vivo».
1.142 Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
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Paradiso (canto 2)
2. 1 O voi che siete in piccioletta barca,
2. 2 desiderosi d'ascoltar, seguiti
2. 3 dietro al mio legno che cantando varca,
2. 4 tornate a riveder li vostri liti:
2. 5 non vi mettete in pelago, ché forse,
2. 6 perdendo me, rimarreste smarriti.
2. 7 L'acqua ch'io prendo giÃ_ mai non si corse;
2. 8 Minerva spira, e conducemi Appollo,
2. 9 e nove Muse mi dimostran l'Orse.
2. 10 Voialtri pochi che drizzaste il collo
2. 11 per tempo al pan de li angeli, del quale
2. 12 vivesi qui ma non sen vien satollo,
2. 13 metter potete ben per l'alto sale
2. 14 vostro navigio, servando mio solco
2. 15 dinanzi a l'acqua che ritorna equale.
2. 16 Que' gloriosi che passaro al Colco
2. 17 non s'ammiraron come voi farete,
2. 18 quando Iasón vider fatto bifolco.
2. 19 La concreata e perpetua sete
2. 20 del deiforme regno cen portava
2. 21 veloci quasi come 'l ciel vedete.
2. 22 Beatrice in suso, e io in lei guardava;
2. 23 e forse in tanto in quanto un quadrel posa
2. 24 e vola e da la noce si dischiava,
2. 25 giunto mi vidi ove mirabil cosa
2. 26 mi torse il viso a sé; e però quella
2. 27 cui non potea mia cura essere ascosa,
2. 28 volta ver' me, sì lieta come bella,
2. 29 «Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
2. 30 «che n'ha congiunti con la prima stella».
2. 31 Parev'a me che nube ne coprisse
2. 32 lucida, spessa, solida e pulita,
2. 33 quasi adamante che lo sol ferisse.
2. 34 Per entro sé l'etterna margarita
2. 35 ne ricevette, com'acqua recepe
2. 36 raggio di luce permanendo unita.
2. 37 S'io era corpo, e qui non si concepe
2. 38 com'una dimensione altra patio,
2. 39 ch'esser convien se corpo in corpo repe,
2. 40 accender ne dovrìa più il disio
2. 41 di veder quella essenza in che si vede
2. 42 come nostra natura e Dio s'unio.
2. 43 Lì si vedrÃ_ ciò che tenem per fede,
2. 44 non dimostrato, ma fia per sé noto
2. 45 a guisa del ver primo che l'uom crede.
2. 46 Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
2. 47 com'esser posso più, ringrazio lui
2. 48 lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.
2. 49 Ma ditemi: che son li segni bui
2. 50 di questo corpo, che lÃ_ giuso in terra
2. 51 fan di Cain favoleggiare altrui?».
2. 52 Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra
2. 53 l'oppinion», mi disse, «d'i mortali
2. 54 dove chiave di senso non diserra,
2. 55 certo non ti dovrien punger li strali
2. 56 d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi
2. 57 vedi che la ragione ha corte l'ali.
2. 58 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
2. 59 E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso
2. 60 credo che fanno i corpi rari e densi».
2. 61 Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
2. 62 nel falso il creder tuo, se bene ascolti
2. 63 l'argomentar ch'io li farò avverso.
2. 64 La spera ottava vi dimostra molti
2. 65 lumi, li quali e nel quale e nel quanto
2. 66 notar si posson di diversi volti.
2. 67 Se raro e denso ciò facesser tanto,
2. 68 una sola virtù sarebbe in tutti,
2. 69 più e men distributa e altrettanto.
2. 70 Virtù diverse esser convegnon frutti
2. 71 di princìpi formali, e quei, for ch'uno,
2. 72 seguiterieno a tua ragion distrutti.
2. 73 Ancor, se raro fosse di quel bruno
2. 74 cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte
2. 75 fora di sua materia sì digiuno
2. 76 esto pianeto, o, sì come comparte
2. 77 lo grasso e 'l magro un corpo, così questo
2. 78 nel suo volume cangerebbe carte.
2. 79 Se 'l primo fosse, fora manifesto
2. 80 ne l'eclissi del sol per trasparere
2. 81 lo lume come in altro raro ingesto.
2. 82 Questo non è: però è da vedere
2. 83 de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
2. 84 falsificato fia lo tuo parere.
2. 85 S'elli è che questo raro non trapassi,
2. 86 esser conviene un termine da onde
2. 87 lo suo contrario più passar non lassi;
2. 88 e indi l'altrui raggio si rifonde
2. 89 così come color torna per vetro
2. 90 lo qual di retro a sé piombo nasconde.
2. 91 Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
2. 92 ivi lo raggio più che in altre parti,
2. 93 per esser lì refratto più a retro.
2. 94 Da questa instanza può deliberarti
2. 95 esperienza, se giÃ_ mai la provi,
2. 96 ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.
2. 97 Tre specchi prenderai; e i due rimovi
2. 98 da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
2. 99 tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
2.100 Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
2.101 ti stea un lume che i tre specchi accenda
2.102 e torni a te da tutti ripercosso.
2.103 Ben che nel quanto tanto non si stenda
2.104 la vista più lontana, lì vedrai
2.105 come convien ch'igualmente risplenda.
2.106 Or, come ai colpi de li caldi rai
2.107 de la neve riman nudo il suggetto
2.108 e dal colore e dal freddo primai,
2.109 così rimaso te ne l'intelletto
2.110 voglio informar di luce sì vivace,
2.111 che ti tremolerÃ_ nel suo aspetto.
2.112 Dentro dal ciel de la divina pace
2.113 si gira un corpo ne la cui virtute
2.114 l'esser di tutto suo contento giace.
2.115 Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,
2.116 quell'esser parte per diverse essenze,
2.117 da lui distratte e da lui contenute.
2.118 Li altri giron per varie differenze
2.119 le distinzion che dentro da sé hanno
2.120 dispongono a lor fini e lor semenze.
2.121 Questi organi del mondo così vanno,
2.122 come tu vedi omai, di grado in grado,
2.123 che di sù prendono e di sotto fanno.
2.124 Riguarda bene omai sì com'io vado
2.125 per questo loco al vero che disiri,
2.126 sì che poi sappi sol tener lo guado.
2.127 Lo moto e la virtù d'i santi giri,
2.128 come dal fabbro l'arte del martello,
2.129 da' beati motor convien che spiri;
2.130 e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,
2.131 de la mente profonda che lui volve
2.132 prende l'image e fassene suggello.
2.133 E come l'alma dentro a vostra polve
2.134 per differenti membra e conformate
2.135 a diverse potenze si risolve,
2.136 così l'intelligenza sua bontate
2.137 multiplicata per le stelle spiega,
2.138 girando sé sovra sua unitate.
2.139 Virtù diversa fa diversa lega
2.140 col prezioso corpo ch'ella avviva,
2.141 nel qual, sì come vita in voi, si lega.
2.142 Per la natura lieta onde deriva,
2.143 la virtù mista per lo corpo luce
2.144 come letizia per pupilla viva.
2.145 Da essa vien ciò che da luce a luce
2.146 par differente, non da denso e raro;
2.147 essa è formal principio che produce,
2.148 conforme a sua bontÃ_, lo turbo e 'l chiaro».
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Paradiso (canto 3)
3. 1 Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto,
3. 2 di bella veritÃ_ m'avea scoverto,
3. 3 provando e riprovando, il dolce aspetto;
3. 4 e io, per confessar corretto e certo
3. 5 me stesso, tanto quanto si convenne
3. 6 leva' il capo a proferer più erto;
3. 7 ma visione apparve che ritenne
3. 8 a sé me tanto stretto, per vedersi,
3. 9 che di mia confession non mi sovvenne.
3. 10 Quali per vetri trasparenti e tersi,
3. 11 o ver per acque nitide e tranquille,
3. 12 non sì profonde che i fondi sien persi,
3. 13 tornan d'i nostri visi le postille
3. 14 debili sì, che perla in bianca fronte
3. 15 non vien men forte a le nostre pupille;
3. 16 tali vid'io più facce a parlar pronte;
3. 17 per ch'io dentro a l'error contrario corsi
3. 18 a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.
3. 19 Sùbito sì com'io di lor m'accorsi,
3. 20 quelle stimando specchiati sembianti,
3. 21 per veder di cui fosser, li occhi torsi;
3. 22 e nulla vidi, e ritorsili avanti
3. 23 dritti nel lume de la dolce guida,
3. 24 che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
3. 25 «Non ti maravigliar perch'io sorrida»,
3. 26 mi disse, «appresso il tuo pueril coto,
3. 27 poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida,
3. 28 ma te rivolve, come suole, a vòto:
3. 29 vere sustanze son ciò che tu vedi,
3. 30 qui rilegate per manco di voto.
3. 31 Però parla con esse e odi e credi;
3. 32 ché la verace luce che li appaga
3. 33 da sé non lascia lor torcer li piedi».
3. 34 E io a l'ombra che parea più vaga
3. 35 di ragionar, drizza'mi, e cominciai,
3. 36 quasi com'uom cui troppa voglia smaga:
3. 37 «O ben creato spirito, che a' rai
3. 38 di vita etterna la dolcezza senti
3. 39 che, non gustata, non s'intende mai,
3. 40 grazioso mi fia se mi contenti
3. 41 del nome tuo e de la vostra sorte».
3. 42 Ond'ella, pronta e con occhi ridenti:
3. 43 «La nostra caritÃ_ non serra porte
3. 44 a giusta voglia, se non come quella
3. 45 che vuol simile a sé tutta sua corte.
3. 46 I' fui nel mondo vergine sorella;
3. 47 e se la mente tua ben sé riguarda,
3. 48 non mi ti celerÃ_ l'esser più bella,
3. 49 ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,
3. 50 che, posta qui con questi altri beati,
3. 51 beata sono in la spera più tarda.
3. 52 Li nostri affetti, che solo infiammati
3. 53 son nel piacer de lo Spirito Santo,
3. 54 letizian del suo ordine formati.
3. 55 E questa sorte che par giù cotanto,
3. 56 però n'è data, perché fuor negletti
3. 57 li nostri voti, e vòti in alcun canto».
3. 58 Ond'io a lei: «Ne' mirabili aspetti
3. 59 vostri risplende non so che divino
3. 60 che vi trasmuta da' primi concetti:
3. 61 però non fui a rimembrar festino;
3. 62 ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
3. 63 sì che raffigurar m'è più latino.
3. 64 Ma dimmi: voi che siete qui felici,
3. 65 disiderate voi più alto loco
3. 66 per più vedere e per più farvi amici?».
3. 67 Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco;
3. 68 da indi mi rispuose tanto lieta,
3. 69 ch'arder parea d'amor nel primo foco:
3. 70 «Frate, la nostra volontÃ_ quieta
3. 71 virtù di caritÃ_, che fa volerne
3. 72 sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
3. 73 Se disiassimo esser più superne,
3. 74 foran discordi li nostri disiri
3. 75 dal voler di colui che qui ne cerne;
3. 76 che vedrai non capere in questi giri,
3. 77 s'essere in caritÃ_ è qui *necesse*,
3. 78 e se la sua natura ben rimiri.
3. 79 Anzi è formale ad esto beato *esse*
3. 80 tenersi dentro a la divina voglia,
3. 81 per ch'una fansi nostre voglie stesse;
3. 82 sì che, come noi sem di soglia in soglia
3. 83 per questo regno, a tutto il regno piace
3. 84 com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.
3. 85 E 'n la sua volontade è nostra pace:
3. 86 ell'è quel mare al qual tutto si move
3. 87 ciò ch'ella cria o che natura face».
3. 88 Chiaro mi fu allor come ogne dove
3. 89 in cielo è paradiso, *etsi* la grazia
3. 90 del sommo ben d'un modo non vi piove.
3. 91 Ma sì com'elli avvien, s'un cibo sazia
3. 92 e d'un altro rimane ancor la gola,
3. 93 che quel si chere e di quel si ringrazia,
3. 94 così fec'io con atto e con parola,
3. 95 per apprender da lei qual fu la tela
3. 96 onde non trasse infino a co la spuola.
3. 97 «Perfetta vita e alto merto inciela
3. 98 donna più sù», mi disse, «a la cui norma
3. 99 nel vostro mondo giù si veste e vela,
3.100 perché fino al morir si vegghi e dorma
3.101 con quello sposo ch'ogne voto accetta
3.102 che caritate a suo piacer conforma.
3.103 Dal mondo, per seguirla, giovinetta
3.104 fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi
3.105 e promisi la via de la sua setta.
3.106 Uomini poi, a mal più ch'a bene usi,
3.107 fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
3.108 Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
3.109 E quest'altro splendor che ti si mostra
3.110 da la mia destra parte e che s'accende
3.111 di tutto il lume de la spera nostra,
3.112 ciò ch'io dico di me, di sé intende;
3.113 sorella fu, e così le fu tolta
3.114 di capo l'ombra de le sacre bende.
3.115 Ma poi che pur al mondo fu rivolta
3.116 contra suo grado e contra buona usanza,
3.117 non fu dal vel del cor giÃ_ mai disciolta.
3.118 Quest'è la luce de la gran Costanza
3.119 che del secondo vento di Soave
3.120 generò 'l terzo e l'ultima possanza».
3.121 Così parlommi, e poi cominciò "*Ave,
3.122 Maria*" cantando, e cantando vanio
3.123 come per acqua cupa cosa grave.
3.124 La vista mia, che tanto lei seguio
3.125 quanto possibil fu, poi che la perse,
3.126 volsesi al segno di maggior disio,
3.127 e a Beatrice tutta si converse;
3.128 ma quella folgorò nel mio sguardo
3.129 sì che da prima il viso non sofferse;
3.130 e ciò mi fece a dimandar più tardo.
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Paradiso (canto 4)
4. 1 Intra due cibi, distanti e moventi
4. 2 d'un modo, prima si morria di fame,
4. 3 che liber'omo l'un recasse ai denti;
4. 4 sì si starebbe un agno intra due brame
4. 5 di fieri lupi, igualmente temendo;
4. 6 sì si starebbe un cane intra due dame:
4. 7 per che, s'i' mi tacea, me non riprendo,
4. 8 da li miei dubbi d'un modo sospinto,
4. 9 poi ch'era necessario, né commendo.
4. 10 Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto
4. 11 m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,
4. 12 più caldo assai che per parlar distinto.
4. 13 Fé sì Beatrice qual fé Daniello,
4. 14 Nabuccodonosor levando d'ira,
4. 15 che l'avea fatto ingiustamente fello;
4. 16 e disse: «Io veggio ben come ti tira
4. 17 uno e altro disio, sì che tua cura
4. 18 sé stessa lega sì che fuor non spira.
4. 19 Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura,
4. 20 la violenza altrui per qual ragione
4. 21 di meritar mi scema la misura?".
4. 22 Ancor di dubitar ti dÃ_ cagione
4. 23 parer tornarsi l'anime a le stelle,
4. 24 secondo la sentenza di Platone.
4. 25 Queste son le question che nel tuo *velle*
4. 26 pontano igualmente; e però pria
4. 27 tratterò quella che più ha di felle.
4. 28 D'i Serafin colui che più s'india,
4. 29 Moisè, Samuel, e quel Giovanni
4. 30 che prender vuoli, io dico, non Maria,
4. 31 non hanno in altro cielo i loro scanni
4. 32 che questi spirti che mo t'appariro,
4. 33 né hanno a l'esser lor più o meno anni;
4. 34 ma tutti fanno bello il primo giro,
4. 35 e differentemente han dolce vita
4. 36 per sentir più e men l'etterno spiro.
4. 37 Qui si mostraro, non perché sortita
4. 38 sia questa spera lor, ma per far segno
4. 39 de la celestial c'ha men salita.
4. 40 Così parlar conviensi al vostro ingegno,
4. 41 però che solo da sensato apprende
4. 42 ciò che fa poscia d'intelletto degno.
4. 43 Per questo la Scrittura condescende
4. 44 a vostra facultate, e piedi e mano
4. 45 attribuisce a Dio, e altro intende;
4. 46 e Santa Chiesa con aspetto umano
4. 47 Gabriel e Michel vi rappresenta,
4. 48 e l'altro che Tobia rifece sano.
4. 49 Quel che Timeo de l'anime argomenta
4. 50 non è simile a ciò che qui si vede,
4. 51 però che, come dice, par che senta.
4. 52 Dice che l'alma a la sua stella riede,
4. 53 credendo quella quindi esser decisa
4. 54 quando natura per forma la diede;
4. 55 e forse sua sentenza è d'altra guisa
4. 56 che la voce non suona, ed esser puote
4. 57 con intenzion da non esser derisa.
4. 58 S'elli intende tornare a queste ruote
4. 59 l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse
4. 60 in alcun vero suo arco percuote.
4. 61 Questo principio, male inteso, torse
4. 62 giÃ_ tutto il mondo quasi, sì che Giove,
4. 63 Mercurio e Marte a nominar trascorse.
4. 64 L'altra dubitazion che ti commove
4. 65 ha men velen, però che sua malizia
4. 66 non ti poria menar da me altrove.
4. 67 Parere ingiusta la nostra giustizia
4. 68 ne li occhi d'i mortali, è argomento
4. 69 di fede e non d'eretica nequizia.
4. 70 Ma perché puote vostro accorgimento
4. 71 ben penetrare a questa veritate,
4. 72 come disiri, ti farò contento.
4. 73 Se violenza è quando quel che pate
4. 74 niente conferisce a quel che sforza,
4. 75 non fuor quest'alme per essa scusate;
4. 76 ché volontÃ_, se non vuol, non s'ammorza,
4. 77 ma fa come natura face in foco,
4. 78 se mille volte violenza il torza.
4. 79 Per che, s'ella si piega assai o poco,
4. 80 segue la forza; e così queste fero
4. 81 possendo rifuggir nel santo loco.
4. 82 Se fosse stato lor volere intero,
4. 83 come tenne Lorenzo in su la grada,
4. 84 e fece Muzio a la sua man severo,
4. 85 così l'avria ripinte per la strada
4. 86 ond'eran tratte, come fuoro sciolte;
4. 87 ma così salda voglia è troppo rada.
4. 88 E per queste parole, se ricolte
4. 89 l'hai come dei, è l'argomento casso
4. 90 che t'avria fatto noia ancor più volte.
4. 91 Ma or ti s'attraversa un altro passo
4. 92 dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
4. 93 non usciresti: pria saresti lasso.
4. 94 Io t'ho per certo ne la mente messo
4. 95 ch'alma beata non poria mentire,
4. 96 però ch'è sempre al primo vero appresso;
4. 97 e poi potesti da Piccarda udire
4. 98 che l'affezion del vel Costanza tenne;
4. 99 sì ch'ella par qui meco contradire.
4.100 Molte fiate giÃ_, frate, addivenne
4.101 che, per fuggir periglio, contra grato
4.102 si fé di quel che far non si convenne;
4.103 come Almeone, che, di ciò pregato
4.104 dal padre suo, la propria madre spense,
4.105 per non perder pietÃ_, si fé spietato.
4.106 A questo punto voglio che tu pense
4.107 che la forza al voler si mischia, e fanno
4.108 sì che scusar non si posson l'offense.
4.109 Voglia assoluta non consente al danno;
4.110 ma consentevi in tanto in quanto teme,
4.111 se si ritrae, cadere in più affanno.
4.112 Però, quando Piccarda quello spreme,
4.113 de la voglia assoluta intende, e io
4.114 de l'altra; sì che ver diciamo insieme».
4.115 Cotal fu l'ondeggiar del santo rio
4.116 ch'uscì del fonte ond'ogne ver deriva;
4.117 tal puose in pace uno e altro disio.
4.118 «O amanza del primo amante, o diva»,
4.119 diss'io appresso, «il cui parlar m'inonda
4.120 e scalda sì, che più e più m'avviva,
4.121 non è l'affezion mia tanto profonda,
4.122 che basti a render voi grazia per grazia;
4.123 ma quei che vede e puote a ciò risponda.
4.124 Io veggio ben che giÃ_ mai non si sazia
4.125 nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra
4.126 di fuor dal qual nessun vero si spazia.
4.127 Posasi in esso, come fera in lustra,
4.128 tosto che giunto l'ha; e giugner puollo:
4.129 se non, ciascun disio sarebbe *frustra*.
4.130 Nasce per quello, a guisa di rampollo,
4.131 a piè del vero il dubbio; ed è natura
4.132 ch'al sommo pinge noi di collo in collo.
4.133 Questo m'invita, questo m'assicura
4.134 con reverenza, donna, a dimandarvi
4.135 d'un'altra veritÃ_ che m'è oscura.
4.136 Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi
4.137 ai voti manchi sì con altri beni,
4.138 ch'a la vostra statera non sien parvi».
4.139 Beatrice mi guardò con li occhi pieni
4.140 di faville d'amor così divini,
4.141 che, vinta, mia virtute diè le reni,
4.142 e quasi mi perdei con li occhi chini.
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Paradiso (canto 5)
5. 1 «S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
5. 2 di lÃ_ dal modo che 'n terra si vede,
5. 3 sì che del viso tuo vinco il valore,
5. 4 non ti maravigliar; ché ciò procede
5. 5 da perfetto veder, che, come apprende,
5. 6 così nel bene appreso move il piede.
5. 7 Io veggio ben sì come giÃ_ resplende
5. 8 ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
5. 9 che, vista, sola e sempre amore accende;
5. 10 e s'altra cosa vostro amor seduce,
5. 11 non è se non di quella alcun vestigio,
5. 12 mal conosciuto, che quivi traluce.
5. 13 Tu vuo' saper se con altro servigio,
5. 14 per manco voto, si può render tanto
5. 15 che l'anima sicuri di letigio».
5. 16 Sì cominciò Beatrice questo canto;
5. 17 e sì com'uom che suo parlar non spezza,
5. 18 continuò così 'l processo santo:
5. 19 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza
5. 20 fesse creando, e a la sua bontate
5. 21 più conformato, e quel ch'e' più apprezza,
5. 22 fu de la volontÃ_ c;
5. 23 di che le creature intelligenti,
5. 24 e tutte e sole, fuoro e son dotate.
5. 25 Or ti parrÃ_, se tu quinci argomenti,
5. 26 l'alto valor del voto, s'è sì fatto
5. 27 che Dio consenta quando tu consenti;
5. 28 ché, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
5. 29 vittima fassi di questo tesoro,
5. 30 tal quale io dico; e fassi col suo atto.
5. 31 Dunque che render puossi per ristoro?
5. 32 Se credi bene usar quel c'hai offerto,
5. 33 di maltolletto vuo' far buon lavoro.
5. 34 Tu se' omai del maggior punto certo;
5. 35 ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
5. 36 che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,
5. 37 convienti ancor sedere un poco a mensa,
5. 38 però che 'l cibo rigido c'hai preso,
5. 39 richiede ancora aiuto a tua dispensa.
5. 40 Apri la mente a quel ch'io ti paleso
5. 41 e fermalvi entro; ché non fa scienza,
5. 42 sanza lo ritenere, avere inteso.
5. 43 Due cose si convegnono a l'essenza
5. 44 di questo sacrificio: l'una è quella
5. 45 di che si fa; l'altr'è la convenenza.
5. 46 Quest'ultima giÃ_ mai non si cancella
5. 47 se non servata; e intorno di lei
5. 48 sì preciso di sopra si favella:
5. 49 però necessitato fu a li Ebrei
5. 50 pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta
5. 51 sì permutasse, come saver dei.
5. 52 L'altra, che per materia t'è aperta,
5. 53 puote ben esser tal, che non si falla
5. 54 se con altra materia si converta.
5. 55 Ma non trasmuti carco a la sua spalla
5. 56 per suo arbitrio alcun, sanza la volta
5. 57 e de la chiave bianca e de la gialla;
5. 58 e ogne permutanza credi stolta,
5. 59 se la cosa dimessa in la sorpresa
5. 60 come 'l quattro nel sei non è raccolta.
5. 61 Però qualunque cosa tanto pesa
5. 62 per suo valor che tragga ogne bilancia,
5. 63 sodisfar non si può con altra spesa.
5. 64 Non prendan li mortali il voto a ciancia;
5. 65 siate fedeli, e a ciò far non bieci,
5. 66 come Ieptè a la sua prima mancia;
5. 67 cui più si convenia dicer "Mal feci",
5. 68 che, servando, far peggio; e così stolto
5. 69 ritrovar puoi il gran duca de' Greci,
5. 70 onde pianse Efigènia il suo bel volto,
5. 71 e fé pianger di sé i folli e i savi
5. 72 ch'udir parlar di così fatto cólto.
5. 73 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
5. 74 non siate come penna ad ogne vento,
5. 75 e non crediate ch'ogne acqua vi lavi.
5. 76 Avete il novo e 'l vecchio Testamento,
5. 77 e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
5. 78 questo vi basti a vostro salvamento.
5. 79 Se mala cupidigia altro vi grida,
5. 80 uomini siate, e non pecore matte,
5. 81 sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!
5. 82 Non fate com'agnel che lascia il latte
5. 83 de la sua madre, e semplice e lascivo
5. 84 seco medesmo a suo piacer combatte!».
5. 85 Così Beatrice a me com'io scrivo;
5. 86 poi si rivolse tutta disiante
5. 87 a quella parte ove 'l mondo è più vivo.
5. 88 Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante
5. 89 puoser silenzio al mio cupido ingegno,
5. 90 che giÃ_ nuove questioni avea davante;
5. 91 e sì come saetta che nel segno
5. 92 percuote pria che sia la corda queta,
5. 93 così corremmo nel secondo regno.
5. 94 Quivi la donna mia vid'io sì lieta,
5. 95 come nel lume di quel ciel si mise,
5. 96 che più lucente se ne fé 'l pianeta.
5. 97 E se la stella si cambiò e rise,
5. 98 qual mi fec'io che pur da mia natura
5. 99 trasmutabile son per tutte guise!
5.100 Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura
5.101 traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
5.102 per modo che lo stimin lor pastura,
5.103 sì vid'io ben più di mille splendori
5.104 trarsi ver' noi, e in ciascun s'udìa:
5.105 «Ecco chi crescerÃ_ li nostri amori».
5.106 E sì come ciascuno a noi venìa,
5.107 vedeasi l'ombra piena di letizia
5.108 nel folgór chiaro che di lei uscia.
5.109 Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
5.110 non procedesse, come tu avresti
5.111 di più savere angosciosa carizia;
5.112 e per te vederai come da questi
5.113 m'era in disio d'udir lor condizioni,
5.114 sì come a li occhi mi fur manifesti.
5.115 «O bene nato a cui veder li troni
5.116 del triunfo etternal concede grazia
5.117 prima che la milizia s'abbandoni,
5.118 del lume che per tutto il ciel si spazia
5.119 noi semo accesi; e però, se disii
5.120 di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
5.121 Così da un di quelli spirti pii
5.122 detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
5.123 sicuramente, e credi come a dii».
5.124 «Io veggio ben sì come tu t'annidi
5.125 nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
5.126 perch'e' corusca sì come tu ridi;
5.127 ma non so chi tu se', né perché aggi,
5.128 anima degna, il grado de la spera
5.129 che si vela a' mortai con altrui raggi».
5.130 Questo diss'io diritto alla lumera
5.131 che pria m'avea parlato; ond'ella fessi
5.132 lucente più assai di quel ch'ell'era.
5.133 Sì come il sol che si cela elli stessi
5.134 per troppa luce, come 'l caldo ha róse
5.135 le temperanze d'i vapori spessi,
5.136 per più letizia sì mi si nascose
5.137 dentro al suo raggio la figura santa;
5.138 e così chiusa chiusa mi rispuose
5.139 nel modo che 'l seguente canto canta.
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Paradiso (canto 6)
6. 1 «Poscia che Costantin l'aquila volse
6. 2 contr'al corso del ciel, ch'ella seguio
6. 3 dietro a l'antico che Lavina tolse,
6. 4 cento e cent'anni e più l'uccel di Dio
6. 5 ne lo stremo d'Europa si ritenne,
6. 6 vicino a' monti de' quai prima uscìo;
6. 7 e sotto l'ombra de le sacre penne
6. 8 governò 'l mondo lì di mano in mano,
6. 9 e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
6. 10 Cesare fui e son Iustiniano,
6. 11 che, per voler del primo amor ch'i' sento,
6. 12 d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.
6. 13 E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
6. 14 una natura in Cristo esser, non piùe,
6. 15 credea, e di tal fede era contento;
6. 16 ma 'l benedetto Agapito, che fue
6. 17 sommo pastore, a la fede sincera
6. 18 mi dirizzò con le parole sue.
6. 19 Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era,
6. 20 vegg'io or chiaro sì, come tu vedi
6. 21 ogni contradizione e falsa e vera.
6. 22 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
6. 23 a Dio per grazia piacque di spirarmi
6. 24 l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;
6. 25 e al mio Belisar commendai l'armi,
6. 26 cui la destra del ciel fu sì congiunta,
6. 27 che segno fu ch'i' dovessi posarmi.
6. 28 Or qui a la question prima s'appunta
6. 29 la mia risposta; ma sua condizione
6. 30 mi stringe a seguitare alcuna giunta,
6. 31 perché tu veggi con quanta ragione
6. 32 si move contr'al sacrosanto segno
6. 33 e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.
6. 34 Vedi quanta virtù l'ha fatto degno
6. 35 di reverenza; e cominciò da l'ora
6. 36 che Pallante morì per darli regno.
6. 37 Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
6. 38 per trecento anni e oltre, infino al fine
6. 39 che i tre a' tre pugnar per lui ancora.
6. 40 E sai ch'el fé dal mal de le Sabine
6. 41 al dolor di Lucrezia in sette regi,
6. 42 vincendo intorno le genti vicine.
6. 43 Sai quel ch'el fé portato da li egregi
6. 44 Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
6. 45 incontro a li altri principi e collegi;
6. 46 onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
6. 47 negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
6. 48 ebber la fama che volontier mirro.
6. 49 Esso atterrò l'orgoglio de li ArÃ_bi
6. 50 che di retro ad Annibale passaro
6. 51 l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.
6. 52 Sott'esso giovanetti triunfaro
6. 53 Scipione e Pompeo; e a quel colle
6. 54 sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.
6. 55 Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle
6. 56 redur lo mondo a suo modo sereno,
6. 57 Cesare per voler di Roma il tolle.
6. 58 E quel che fé da Varo infino a Reno,
6. 59 Isara vide ed Era e vide Senna
6. 60 e ogne valle onde Rodano è pieno.
6. 61 Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna
6. 62 e saltò Rubicon, fu di tal volo,
6. 63 che nol seguiteria lingua né penna.
6. 64 Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,
6. 65 poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
6. 66 sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo.
6. 67 Antandro e Simeonta, onde si mosse,
6. 68 rivide e lÃ_ dov'Ettore si cuba;
6. 69 e mal per Tolomeo poscia si scosse.
6. 70 Da indi scese folgorando a Iuba;
6. 71 onde si volse nel vostro occidente,
6. 72 ove sentia la pompeana tuba.
6. 73 Di quel che fé col baiulo seguente,
6. 74 Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
6. 75 e Modena e Perugia fu dolente.
6. 76 Piangene ancor la trista Cleopatra,
6. 77 che, fuggendoli innanzi, dal colubro
6. 78 la morte prese subitana e atra.
6. 79 Con costui corse infino al lito rubro;
6. 80 con costui puose il mondo in tanta pace,
6. 81 che fu serrato a Giano il suo delubro.
6. 82 Ma ciò che 'l segno che parlar mi face
6. 83 fatto avea prima e poi era fatturo
6. 84 per lo regno mortal ch'a lui soggiace,
6. 85 diventa in apparenza poco e scuro,
6. 86 se in mano al terzo Cesare si mira
6. 87 con occhio chiaro e con affetto puro;
6. 88 ché la viva giustizia che mi spira,
6. 89 li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
6. 90 gloria di far vendetta a la sua ira.
6. 91 Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco:
6. 92 poscia con Tito a far vendetta corse
6. 93 de la vendetta del peccato antico.
6. 94 E quando il dente longobardo morse
6. 95 la Santa Chiesa, sotto le sue ali
6. 96 Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
6. 97 Omai puoi giudicar di quei cotali
6. 98 ch'io accusai di sopra e di lor falli,
6. 99 che son cagion di tutti vostri mali.
6.100 L'uno al pubblico segno i gigli gialli
6.101 oppone, e l'altro appropria quello a parte,
6.102 sì ch'è forte a veder chi più si falli.
6.103 Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
6.104 sott'altro segno; ché mal segue quello
6.105 sempre chi la giustizia e lui diparte;
6.106 e non l'abbatta esto Carlo novello
6.107 coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
6.108 ch'a più alto leon trasser lo vello.
6.109 Molte fiate giÃ_ pianser li figli
6.110 per la colpa del padre, e non si creda
6.111 che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli!
6.112 Questa picciola stella si correda
6.113 di buoni spirti che son stati attivi
6.114 perché onore e fama li succeda:
6.115 e quando li disiri poggian quivi,
6.116 sì disviando, pur convien che i raggi
6.117 del vero amore in sù poggin men vivi.
6.118 Ma nel commensurar d'i nostri gaggi
6.119 col merto è parte di nostra letizia,
6.120 perché non li vedem minor né maggi.
6.121 Quindi addolcisce la viva giustizia
6.122 in noi l'affetto sì, che non si puote
6.123 torcer giÃ_ mai ad alcuna nequizia.
6.124 Diverse voci fanno dolci note;
6.125 così diversi scanni in nostra vita
6.126 rendon dolce armonia tra queste rote.
6.127 E dentro a la presente margarita
6.128 luce la luce di Romeo, di cui
6.129 fu l'ovra grande e bella mal gradita.
6.130 Ma i Provenzai che fecer contra lui
6.131 non hanno riso; e però mal cammina
6.132 qual si fa danno del ben fare altrui.
6.133 Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
6.134 Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
6.135 Romeo, persona umìle e peregrina.
6.136 E poi il mosser le parole biece
6.137 a dimandar ragione a questo giusto,
6.138 che li assegnò sette e cinque per diece,
6.139 indi partissi povero e vetusto;
6.140 e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
6.141 mendicando sua vita a frusto a frusto,
6.142 assai lo loda, e più lo loderebbe».
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Paradiso (canto 7)
7. 1 «Osanna, sanctus Deus sabaòth,
7. 2 superillustrans claritate tua
7. 3 felices ignes horum malacòth!».
7. 4 Così, volgendosi a la nota sua,
7. 5 fu viso a me cantare essa sustanza,
7. 6 sopra la qual doppio lume s'addua:
7. 7 ed essa e l'altre mossero a sua danza,
7. 8 e quasi velocissime faville,
7. 9 mi si velar di sùbita distanza.
7. 10 Io dubitava e dicea "Dille, dille!"
7. 11 fra me, "dille", dicea, `a la mia donna
7. 12 che mi diseta con le dolci stille'.
7. 13 Ma quella reverenza che s'indonna
7. 14 di tutto me, pur per *Be* e per *ice*,
7. 15 mi richinava come l'uom ch'assonna.
7. 16 Poco sofferse me cotal Beatrice
7. 17 e cominciò, raggiandomi d'un riso
7. 18 tal, che nel foco faria l'uom felice:
7. 19 «Secondo mio infallibile avviso,
7. 20 come giusta vendetta giustamente
7. 21 punita fosse, t'ha in pensier miso;
7. 22 ma io ti solverò tosto la mente;
7. 23 e tu ascolta, ché le mie parole
7. 24 di gran sentenza ti faran presente.
7. 25 Per non soffrire a la virtù che vole
7. 26 freno a suo prode, quell'uom che non nacque,
7. 27 dannando sé, dannò tutta sua prole;
7. 28 onde l'umana specie inferma giacque
7. 29 giù per secoli molti in grande errore,
7. 30 fin ch'al Verbo di Dio discender piacque
7. 31 u' la natura, che dal suo fattore
7. 32 s'era allungata, unì a sé in persona
7. 33 con l'atto sol del suo etterno amore.
7. 34 Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:
7. 35 questa natura al suo fattore unita,
7. 36 qual fu creata, fu sincera e buona;
7. 37 ma per sé stessa pur fu ella sbandita
7. 38 di paradiso, però che si torse
7. 39 da via di veritÃ_ e da sua vita.
7. 40 La pena dunque che la croce porse
7. 41 s'a la natura assunta si misura,
7. 42 nulla giÃ_ mai sì giustamente morse;
7. 43 e così nulla fu di tanta ingiura,
7. 44 guardando a la persona che sofferse,
7. 45 in che era contratta tal natura.
7. 46 Però d'un atto uscir cose diverse:
7. 47 ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte;
7. 48 per lei tremò la terra e 'l ciel s'aperse.
7. 49 Non ti dee oramai parer più forte,
7. 50 quando si dice che giusta vendetta
7. 51 poscia vengiata fu da giusta corte.
7. 52 Ma io veggi' or la tua mente ristretta
7. 53 di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
7. 54 del qual con gran disio solver s'aspetta.
7. 55 Tu dici: "Ben discerno ciò ch'i' odo;
7. 56 ma perché Dio volesse, m'è occulto,
7. 57 a nostra redenzion pur questo modo".
7. 58 Questo decreto, frate, sta sepulto
7. 59 a li occhi di ciascuno il cui ingegno
7. 60 ne la fiamma d'amor non è adulto.
7. 61 Veramente, però ch'a questo segno
7. 62 molto si mira e poco si discerne,
7. 63 dirò perché tal modo fu più degno.
7. 64 La divina bontÃ_, che da sé sperne
7. 65 ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
7. 66 sì che dispiega le bellezze etterne.
7. 67 Ciò che da lei sanza mezzo distilla
7. 68 non ha poi fine, perché non si move
7. 69 la sua imprenta quand'ella sigilla.
7. 70 Ciò che da essa sanza mezzo piove
7. 71 libero è tutto, perché non soggiace
7. 72 a la virtute de le cose nove.
7. 73 Più l'è conforme, e però più le piace;
7. 74 ché l'ardor santo ch'ogne cosa raggia,
7. 75 ne la più somigliante è più vivace.
7. 76 Di tutte queste dote s'avvantaggia
7. 77 l'umana creatura; e s'una manca,
7. 78 di sua nobilitÃ_ convien che caggia.
7. 79 Solo il peccato è quel che la disfranca
7. 80 e falla dissìmile al sommo bene,
7. 81 per che del lume suo poco s'imbianca;
7. 82 e in sua dignitÃ_ mai non rivene,
7. 83 se non riempie, dove colpa vòta,
7. 84 contra mal dilettar con giuste pene.
7. 85 Vostra natura, quando peccò *tota*
7. 86 nel seme suo, da queste dignitadi,
7. 87 come di paradiso, fu remota;
7. 88 né ricovrar potiensi, se tu badi
7. 89 ben sottilmente, per alcuna via,
7. 90 sanza passar per un di questi guadi:
7. 91 o che Dio solo per sua cortesia
7. 92 dimesso avesse, o che l'uom per sé isso
7. 93 avesse sodisfatto a sua follia.
7. 94 Ficca mo l'occhio per entro l'abisso
7. 95 de l'etterno consiglio, quanto puoi
7. 96 al mio parlar distrettamente fisso.
7. 97 Non potea l'uomo ne' termini suoi
7. 98 mai sodisfar, per non potere ir giuso
7. 99 con umiltate obediendo poi,
7.100 quanto disobediendo intese ir suso;
7.101 e questa è la cagion per che l'uom fue
7.102 da poter sodisfar per sé dischiuso.
7.103 Dunque a Dio convenia con le vie sue
7.104 riparar l'omo a sua intera vita,
7.105 dico con l'una, o ver con amendue.
7.106 Ma perché l'ovra tanto è più gradita
7.107 da l'operante, quanto più appresenta
7.108 de la bontÃ_ del core ond'ell'è uscita,
7.109 la divina bontÃ_ che 'l mondo imprenta,
7.110 di proceder per tutte le sue vie,
7.111 a rilevarvi suso, fu contenta.
7.112 Né tra l'ultima notte e 'l primo die
7.113 sì alto o sì magnifico processo,
7.114 o per l'una o per l'altra, fu o fie:
7.115 ché più largo fu Dio a dar sé stesso
7.116 per far l'uom sufficiente a rilevarsi,
7.117 che s'elli avesse sol da sé dimesso;
7.118 e tutti li altri modi erano scarsi
7.119 a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio
7.120 non fosse umiliato ad incarnarsi.
7.121 Or per empierti bene ogni disio,
7.122 ritorno a dichiararti in alcun loco,
7.123 perché tu veggi lì così com'io.
7.124 Tu dici: ``Io veggio l'acqua, io veggio il foco,
7.125 l'aere e la terra e tutte lor misture
7.126 venire a corruzione, e durar poco;
7.127 e queste cose pur furon creature;
7.128 per che, se ciò ch'è detto è stato vero,
7.129 esser dovrien da corruzion sicure''.
7.130 Li angeli, frate, e 'l paese sincero
7.131 nel qual tu se', dir si posson creati,
7.132 sì come sono, in loro essere intero;
7.133 ma li elementi che tu hai nomati
7.134 e quelle cose che di lor si fanno
7.135 da creata virtù sono informati.
7.136 Creata fu la materia ch'elli hanno;
7.137 creata fu la virtù informante
7.138 in queste stelle che 'ntorno a lor vanno.
7.139 L'anima d'ogne bruto e de le piante
7.140 di complession potenziata tira
7.141 lo raggio e 'l moto de le luci sante;
7.142 ma vostra vita sanza mezzo spira
7.143 la somma beninanza, e la innamora
7.144 di sé sì che poi sempre la disira.
7.145 E quinci puoi argomentare ancora
7.146 vostra resurrezion, se tu ripensi
7.147 come l'umana carne fessi allora
7.148 che li primi parenti intrambo fensi».
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Paradiso (canto 8)
8. 1 Solea creder lo mondo in suo periclo
8. 2 che la bella Ciprigna il folle amore
8. 3 raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
8. 4 per che non pur a lei faceano onore
8. 5 di sacrificio e di votivo grido
8. 6 le genti antiche ne l'antico errore;
8. 7 ma Dione onoravano e Cupido,
8. 8 quella per madre sua, questo per figlio,
8. 9 e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;
8. 10 e da costei ond'io principio piglio
8. 11 pigliavano il vocabol de la stella
8. 12 che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
8. 13 Io non m'accorsi del salire in ella;
8. 14 ma d'esservi entro mi fé assai fede
8. 15 la donna mia ch'i' vidi far più bella.
8. 16 E come in fiamma favilla si vede,
8. 17 e come in voce voce si discerne,
8. 18 quand'una è ferma e altra va e riede,
8. 19 vid'io in essa luce altre lucerne
8. 20 muoversi in giro più e men correnti,
8. 21 al modo, credo, di lor viste interne.
8. 22 Di fredda nube non disceser venti,
8. 23 o visibili o no, tanto festini,
8. 24 che non paressero impediti e lenti
8. 25 a chi avesse quei lumi divini
8. 26 veduti a noi venir, lasciando il giro
8. 27 pria cominciato in li alti Serafini;
8. 28 e dentro a quei che più innanzi appariro
8. 29 sonava "*Osanna*" sì, che unque poi
8. 30 di riudir non fui sanza disiro.
8. 31 Indi si fece l'un più presso a noi
8. 32 e solo incominciò: «Tutti sem presti
8. 33 al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
8. 34 Noi ci volgiam coi principi celesti
8. 35 d'un giro e d'un girare e d'una sete,
8. 36 ai quali tu del mondo giÃ_ dicesti:
8. 37 "*Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete*";
8. 38 e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,
8. 39 non fia men dolce un poco di quiete».
8. 40 Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
8. 41 a la mia donna reverenti, ed essa
8. 42 fatti li avea di sé contenti e certi,
8. 43 rivolsersi a la luce che promessa
8. 44 tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue
8. 45 la voce mia di grande affetto impressa.
8. 46 E quanta e quale vid'io lei far piùe
8. 47 per allegrezza nova che s'accrebbe,
8. 48 quando parlai, a l'allegrezze sue!
8. 49 Così fatta, mi disse: «Il mondo m'ebbe
8. 50 giù poco tempo; e se più fosse stato,
8. 51 molto sarÃ_ di mal, che non sarebbe.
8. 52 La mia letizia mi ti tien celato
8. 53 che mi raggia dintorno e mi nasconde
8. 54 quasi animal di sua seta fasciato.
8. 55 Assai m'amasti, e avesti ben onde;
8. 56 che s'io fossi giù stato, io ti mostrava
8. 57 di mio amor più oltre che le fronde.
8. 58 Quella sinistra riva che si lava
8. 59 di Rodano poi ch'è misto con Sorga,
8. 60 per suo segnore a tempo m'aspettava,
8. 61 e quel corno d'Ausonia che s'imborga
8. 62 di Bari e di Gaeta e di Catona
8. 63 da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
8. 64 Fulgeami giÃ_ in fronte la corona
8. 65 di quella terra che 'l Danubio riga
8. 66 poi che le ripe tedesche abbandona.
8. 67 E la bella Trinacria, che caliga
8. 68 tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
8. 69 che riceve da Euro maggior briga,
8. 70 non per Tifeo ma per nascente solfo,
8. 71 attesi avrebbe li suoi regi ancora,
8. 72 nati per me di Carlo e di Ridolfo,
8. 73 se mala segnoria, che sempre accora
8. 74 li popoli suggetti, non avesse
8. 75 mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".
8. 76 E se mio frate questo antivedesse,
8. 77 l'avara povertÃ_ di Catalogna
8. 78 giÃ_ fuggeria, perché non li offendesse;
8. 79 ché veramente proveder bisogna
8. 80 per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca
8. 81 carcata più d'incarco non si pogna.
8. 82 La sua natura, che di larga parca
8. 83 discese, avria mestier di tal milizia
8. 84 che non curasse di mettere in arca».
8. 85 «Però ch'i' credo che l'alta letizia
8. 86 che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,
8. 87 lÃ_ 've ogne ben si termina e s'inizia,
8. 88 per te si veggia come la vegg'io,
8. 89 grata m'è più; e anco quest'ho caro
8. 90 perché 'l discerni rimirando in Dio.
8. 91 Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro,
8. 92 poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso
8. 93 com'esser può, di dolce seme, amaro».
8. 94 Questo io a lui; ed elli a me: «S'io posso
8. 95 mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
8. 96 terrai lo viso come tien lo dosso.
8. 97 Lo ben che tutto il regno che tu scandi
8. 98 volge e contenta, fa esser virtute
8. 99 sua provedenza in questi corpi grandi.
8.100 E non pur le nature provedute
8.101 sono in la mente ch'è da sé perfetta,
8.102 ma esse insieme con la lor salute:
8.103 per che quantunque quest'arco saetta
8.104 disposto cade a proveduto fine,
8.105 sì come cosa in suo segno diretta.
8.106 Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
8.107 producerebbe sì li suoi effetti,
8.108 che non sarebbero arti, ma ruine;
8.109 e ciò esser non può, se li 'ntelletti
8.110 che muovon queste stelle non son manchi,
8.111 e manco il primo, che non li ha perfetti.
8.112 Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?».
8.113 E io: «Non giÃ_; ché impossibil veggio
8.114 che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi».
8.115 Ond'elli ancora: «Or di': sarebbe il peggio
8.116 per l'omo in terra, se non fosse cive?».
8.117 «Sì», rispuos'io; «e qui ragion non cheggio».
8.118 «E puot'elli esser, se giù non si vive
8.119 diversamente per diversi offici?
8.120 Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive».
8.121 Sì venne deducendo infino a quici;
8.122 poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
8.123 convien di vostri effetti le radici:
8.124 per ch'un nasce Solone e altro Serse,
8.125 altro Melchisedèch e altro quello
8.126 che, volando per l'aere, il figlio perse.
8.127 La circular natura, ch'è suggello
8.128 a la cera mortal, fa ben sua arte,
8.129 ma non distingue l'un da l'altro ostello.
8.130 Quinci addivien ch'Esaù si diparte
8.131 per seme da Iacòb; e vien Quirino
8.132 da sì vil padre, che si rende a Marte.
8.133 Natura generata il suo cammino
8.134 simil farebbe sempre a' generanti,
8.135 se non vincesse il proveder divino.
8.136 Or quel che t'era dietro t'è davanti:
8.137 ma perché sappi che di te mi giova,
8.138 un corollario voglio che t'ammanti.
8.139 Sempre natura, se fortuna trova
8.140 discorde a sé, com'ogne altra semente
8.141 fuor di sua region, fa mala prova.
8.142 E se 'l mondo lÃ_ giù ponesse mente
8.143 al fondamento che natura pone,
8.144 seguendo lui, avria buona la gente.
8.145 Ma voi torcete a la religione
8.146 tal che fia nato a cignersi la spada,
8.147 e fate re di tal ch'è da sermone;
8.148 onde la traccia vostra è fuor di strada».
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Paradiso (canto 9)
9. 1 Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
9. 2 m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni
9. 3 che ricever dovea la sua semenza;
9. 4 ma disse: <<Taci e lascia muover li anni>>;
9. 5 sì ch'io non posso dir se non che pianto
9. 6 giusto verrÃ_ di retro ai vostri danni.
9. 7 E giÃ_ la vita di quel lume santo
9. 8 rivolta s'era al Sol che la riempie
9. 9 come quel ben ch'a ogne cosa è tanto.
9. 10 Ahi anime ingannate e fatture empie,
9. 11 che da sì fatto ben torcete i cuori,
9. 12 drizzando in vanitÃ_ le vostre tempie!
9. 13 Ed ecco un altro di quelli splendori
9. 14 ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi,
9. 15 significava nel chiarir di fori.
9. 16 Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi
9. 17 sovra me, come pria, di caro assenso
9. 18 al mio disio certificato fermi.
9. 19 <<Deh, metti al mio voler tosto compenso,
9. 20 beato spirto>>, dissi, <<e fammi prova
9. 21 ch'i' possa in te rifletter quel ch'io penso!>>.
9. 22 Onde la luce che m'era ancor nova,
9. 23 del suo profondo, ond'ella pria cantava
9. 24 seguette come a cui di ben far giova:
9. 25 <<in quella parte della terra prava
9. 26 italica che siede tra Rialto
9. 27 e le fontane di Brenta e di Piava,
9. 28 si leva un colle, e non surge molt'alto,
9. 29 lÃ_ onde scese giÃ_ una facella
9. 30 che fece a la contrada un grande assalto.
9. 31 D'una radice nacqui ed io ed ella:
9. 32 Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
9. 33 perché mi vinse il lume d'esta stella;
9. 34 ma lietamente a me medesma indulgo
9. 35 la cagion di mia sorte, e non mi noia;
9. 36 che parria forse forte al vostro vulgo.
9. 37 Di questa luculenta e cara gioia
9. 38 del nostro cielo che più m'è propinqua,
9. 39 grande fama rimase; e pria che moia,
9. 40 questo centesimo anno ancor s'incinqua:
9. 41 vedi se far si dee l'omo eccellente,
9. 42 sì ch'altra vita la prima relinqua.
9. 43 E ciò non pensa la turba presente
9. 44 che Tagliamento e Adice richiude,
9. 45 né per esser battuta ancor si pente;
9. 46 ma tosto fia che Padova al palude
9. 47 cangerÃ_ l'acqua che Vincenza bagna,
9. 48 per essere al dover le genti crude;
9. 49 e dove Sile e Cagnan s'accompagna,
9. 50 tal signoreggia e va con la testa alta,
9. 51 che giÃ_ per lui carpir si fa la ragna.
9. 52 PiangerÃ_ Feltro ancora la difalta
9. 53 de l'empio suo pastor, che sarÃ_ sconcia
9. 54 sì, che per simil non s'entrò in malta.
9. 55 Troppo sarebbe larga la biconcia
9. 56 che ricevesse il sangue ferrarese,
9. 57 e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia,
9. 58 che donerÃ_ questo prete cortese
9. 59 per mostrarsi di parte; e cotai doni
9. 60 conformi fieno al viver del paese.
9. 61 Sù sono specchi, voi dicete Troni,
9. 62 onde refulge a noi Dio giudicante;
9. 63 sì che questi parlar ne paion buoni>>.
9. 64 Qui si tacette; e fecemi sembiante
9. 65 che fosse ad altro volta, per la rota
9. 66 in che si mise com'era davante.
9. 67 L'altra letizia, che m'era giÃ_ nota
9. 68 per cara cosa, mi si fece in vista
9. 69 qual fin balasso in che lo sol percuota.
9. 70 Per letiziar lÃ_ sù fulgor s'acquista,
9. 71 sì come riso qui; ma giù s'abbuia
9. 72 l'ombra di fuor, come la mente è trista.
9. 73 <<Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia>>,
9. 74 diss'io, <<beato spirto, sì che nulla
9. 75 voglia di sè a te può esser fuia.
9. 76 Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
9. 77 sempre col canto di quei fuochi pii
9. 78 che di sei ali facen la coculla,
9. 79 perché non satisface a' miei disii?
9. 80 GiÃ_ non attendere' io tua domanda,
9. 81 s'io m'intuassi, come tu t'inmii>>.
9. 82 <<La maggior valle in che l'acqua si spanda>>,
9. 83 incominciaro allor le sue parole,
9. 84 <<fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
9. 85 tra' discordanti liti contra 'l sole
9. 86 tanto sen va, che fa meridiano
9. 87 lÃ_ dove l'orizzonte pria far suole.
9. 88 Di quella valle fu' io litorano
9. 89 tra Ebro e Macra, che per cammin corto
9. 90 parte lo Genovese dal Toscano.
9. 91 Ad un occaso quasi e ad un orto
9. 92 Buggea siede e la terra ond'io fui,
9. 93 che fé del sangue suo giÃ_ caldo il porto.
9. 94 Folco mi disse quellla gente a cui
9. 95 fu noto il nome mio; e questo cielo
9. 96 di me s'imprenta, com'io fe' di lui;
9. 97 ché più non arse la figlia di Belo.
9. 98 noiando e a Sicheo e a Creusa,
9. 99 di me, infin che si convenne al pelo;
9.100 né quella Rodopea che delusa
9.101 fu da Demofoonte, né Alcide
9.102 quando Iole nel cuore ebbe rinchiusa.
9.103 Non però qui si pente, ma si ride,
9.104 non della colpa, ch'a mente non torna,
9.105 ma del valor ch'ordinò e provide.
9.106 Qui si rimira ne l'arte ch'addorna
9.107 cotanto affetto, e discernesi 'l bene
9.108 per che 'l mondo di sù quel di giù torna.
9.109 Ma perché tutte le tue voglie piene
9.110 ten porti che son nate in questa spera,
9.111 procedere ancor oltre mi convene.
9.112 Tu vuo' saper chi è in questa lumera
9.113 che qui appresso me così scintilla
9.114 come raggio di sole in acqua mera.
9.115 Or sappi che lÃ_ entro si tranquilla
9.116 Raab; e a nostr'ordine congiunta
9.117 di lei nel sommo grado si sigilla.
9.118 Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta
9.119 che 'l vostro mondo face, pria ch'alt'alma
9.120 del triunfo di Cristo fu assunta.
9.121 Ben si convenne lei lasciar per palma
9.122 in alcun cielo de l'alta vittoria
9.123 che s'acquistò con l'una e l'altra palma,
9.124 perch'ella favorò la prima gloria
9.125 di Iosuè in su la Terra Santa,
9.126 che poco tocca al papa la memoria.
9.127 La tua cittÃ_, che di colui è pianta,
9.128 che pria volse le spalle al suo fattore
9.129 e di cui è la 'nvidia tanto pianta,
9.130 produce e spande il maladetto fiore
9.131 c'ha disviate le pecore e li agni,
9.132 però che fatto ha lupo del pastore.
9.133 Per questo l'Evangelio e i dottori magni
9.134 son derelitti, e solo ai Decretali
9.135 si studia, sì che pare a' lor vivagni.
9.136 A questo intende il papa e 'cardinali;
9.137 non vanno i lor pensieri a Nazarette,
9.138 lÃ_ dove Gabriello aperse l'ali.
9.139 Ma Vaticano e l'altre parti elette
9.140 di Roma che son state cimitero
9.141 a la milizia che Pietro seguette,
9.142 tosto libere fien de l'avoltero>>.
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Paradiso (canto 10)
10. 1 Guardando nel suo Figlio con l'Amore
10. 2 che l'uno e l'altro etternalmente spira,
10. 3 lo primo e ineffabile Valore
10. 4 quanto per mente e per loco si gira
10. 5 con tant'ordine fé, ch'esser non puote
10. 6 sanza gustar di lui chi ciò rimira.
10. 7 Leva dunque, lettore, a l'alte rote
10. 8 meco la vista, dritto a quella parte
10. 9 dove l'un moto e l'altro si percuote;
10. 10 e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
10. 11 di quel maestro che dentro a sé l'ama,
10. 12 tanto che mai da lei l'occhio non parte.
10. 13 Vedi come da indi si dirama
10. 14 l'oblico cerchio che i pianeti porta,
10. 15 per sodisfare al mondo che li chiama.
10. 16 Che se la strada lor non fosse torta,
10. 17 molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
10. 18 e quasi ogne potenza qua giù morta;
10. 19 e se dal dritto più o men lontano
10. 20 fosse 'l partire, assai sarebbe manco
10. 21 e giù e sù de l'ordine mondano.
10. 22 Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,
10. 23 dietro pensando a ciò che si preliba,
10. 24 s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.
10. 25 Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;
10. 26 ché a sé torce tutta la mia cura
10. 27 quella materia ond'io son fatto scriba.
10. 28 Lo ministro maggior de la natura,
10. 29 che del valor del ciel lo mondo imprenta
10. 30 e col suo lume il tempo ne misura,
10. 31 con quella parte che sù si rammenta
10. 32 congiunto, si girava per le spire
10. 33 in che più tosto ognora s'appresenta;
10. 34 e io era con lui; ma del salire
10. 35 non m'accors'io, se non com'uom s'accorge,
10. 36 anzi 'l primo pensier, del suo venire.
10. 37 E' Beatrice quella che sì scorge
10. 38 di bene in meglio, sì subitamente
10. 39 che l'atto suo per tempo non si sporge.
10. 40 Quant'esser convenia da sé lucente
10. 41 quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi,
10. 42 non per color, ma per lume parvente!
10. 43 Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,
10. 44 sì nol direi che mai s'imaginasse;
10. 45 ma creder puossi e di veder si brami.
10. 46 E se le fantasie nostre son basse
10. 47 a tanta altezza, non è maraviglia;
10. 48 ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.
10. 49 Tal era quivi la quarta famiglia
10. 50 de l'alto Padre, che sempre la sazia,
10. 51 mostrando come spira e come figlia.
10. 52 E Beatrice cominciò: «Ringrazia,
10. 53 ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo
10. 54 sensibil t'ha levato per sua grazia».
10. 55 Cor di mortal non fu mai sì digesto
10. 56 a divozione e a rendersi a Dio
10. 57 con tutto 'l suo gradir cotanto presto,
10. 58 come a quelle parole mi fec'io;
10. 59 e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,
10. 60 che Beatrice eclissò ne l'oblio.
10. 61 Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
10. 62 che lo splendor de li occhi suoi ridenti
10. 63 mia mente unita in più cose divise.
10. 64 Io vidi più folgór vivi e
10. 65 far di noi centro e di sé far corona,
10. 66 più dolci in voce che in vista lucenti:
10. 67 così cinger la figlia di Latona
10. 68 vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
10. 69 sì che ritenga il fil che fa la zona.
10. 70 Ne la corte del cielo, ond'io rivegno,
10. 71 si trovan molte gioie care e belle
10. 72 tanto che non si posson trar del regno;
10. 73 e 'l canto di quei lumi era di quelle;
10. 74 chi non s'impenna sì che lÃ_ sù voli,
10. 75 dal muto aspetti quindi le novelle.
10. 76 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
10. 77 si fuor girati intorno a noi tre volte,
10. 78 come stelle vicine a' fermi poli,
10. 79 donne mi parver, non da ballo sciolte,
10. 80 ma che s'arrestin tacite, ascoltando
10. 81 fin che le nove note hanno ricolte.
10. 82 E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando
10. 83 lo raggio de la grazia, onde s'accende
10. 84 verace amore e che poi cresce amando,
10. 85 multiplicato in te tanto resplende,
10. 86 che ti conduce su per quella scala
10. 87 u' sanza risalir nessun discende;
10. 88 qual ti negasse il vin de la sua fiala
10. 89 per la tua sete, in libertÃ_ non fora
10. 90 se non com'acqua ch'al mar non si cala.
10. 91 Tu vuo' saper di quai piante s'infiora
10. 92 questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia
10. 93 la bella donna ch'al ciel t'avvalora.
10. 94 Io fui de li agni de la santa greggia
10. 95 che Domenico mena per cammino
10. 96 u' ben s'impingua se non si vaneggia.
10. 97 Questi che m'è a destra più vicino,
10. 98 frate e maestro fummi, ed esso Alberto
10. 99 è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.
10.100 Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,
10.101 di retro al mio parlar ten vien col viso
10.102 girando su per lo beato serto.
10.103 Quell'altro fiammeggiare esce del riso
10.104 di Grazian, che l'uno e l'altro foro
10.105 aiutò sì che piace in paradiso.
10.106 L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,
10.107 quel Pietro fu che con la poverella
10.108 offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
10.109 La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
10.110 spira di tal amor, che tutto 'l mondo
10.111 lÃ_ giù ne gola di saper novella:
10.112 entro v'è l'alta mente u' sì profondo
10.113 saver fu messo, che, se 'l vero è vero
10.114 a veder tanto non surse il secondo.
10.115 Appresso vedi il lume di quel cero
10.116 che giù in carne più a dentro vide
10.117 l'angelica natura e 'l ministero.
10.118 Ne l'altra piccioletta luce ride
10.119 quello avvocato de' tempi cristiani
10.120 del cui latino Augustin si provide.
10.121 Or se tu l'occhio de la mente trani
10.122 di luce in luce dietro a le mie lode,
10.123 giÃ_ de l'ottava con sete rimani.
10.124 Per vedere ogni ben dentro vi gode
10.125 l'anima santa che 'l mondo fallace
10.126 fa manifesto a chi di lei ben ode.
10.127 Lo corpo ond'ella fu cacciata giace
10.128 giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
10.129 e da essilio venne a questa pace.
10.130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
10.131 d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
10.132 che a considerar fu più che viro.
10.133 Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
10.134 è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
10.135 gravi a morir li parve venir tardo:
10.136 essa è la luce etterna di Sigieri,
10.137 che, leggendo nel Vico de li Strami,
10.138 silogizzò invidiosi veri».
10.139 Indi, come orologio che ne chiami
10.140 ne l'ora che la sposa di Dio surge
10.141 a mattinar lo sposo perché l'ami,
10.142 che l'una parte e l'altra tira e urge,
10.143 tin tin sonando con sì dolce nota,
10.144 che 'l ben disposto spirto d'amor turge;
10.145 così vid'io la gloriosa rota
10.146 muoversi e render voce a voce in tempra
10.147 e in dolcezza ch'esser non pò nota
10.148 se non colÃ_ dove gioir s'insempra.
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Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nova, XXVIA) - Dante Alighieri
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sententosi laudare,
benignamente d'umiltÃ_ vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dÃ_ per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vita Nova, XXI) - Dante Alighieri
Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch'ella mira;
ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,
sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d'ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.
Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
ond'è laudato chi prima la vide.
Quel ch'ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.
Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io - Dante Alighieri
Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio.
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.
Amore e 'l cor gentil sono una cosa (Vita Nova, XX) - Dante Alighieri
Amore e 'l cor gentil sono una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone,
e così esser l'un sanza l'altro osa
com'alma razional sanza ragione.
Falli natura quand'è amorosa,
Amor per sire e 'l cor per sua magione,
dentro la qual dormendo si riposa
tal volta poca e tal lunga stagione.
Bieltate appare in saggia donna pui,
che piace a li occhi sì, che dentro al core
nasce un disio de la cosa piacente;
e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d'Amore.
E simil face in donna omo valente.
De gli occhi de la mia donna si move - Dante Alighieri
De gli occhi de la mia donna si move
un lume sì gentil che, dove appare,
si veggion cose ch'uom non pò ritrare
per loro altezza e per lor esser nove:
e de' suoi razzi sovra 'l meo cor piove
tanta paura, che mi fa tremare
e dicer: "Qui non voglio mai tornare";
ma poscia perdo tutte le mie prove:
e tornomi colÃ_ dov'io son vinto,
riconfortando gli occhi paurusi,
che sentier prima questo gran valore.
Quando son giunto, lasso!, ed e' son chiusi;
lo disio che li mena quivi è stinto:
però proveggia a lo mio stato Amore.
Deh, Violetta, che in ombra d'Amore - Dante Alighieri
Deh, Violetta, che in ombra d'Amore
negli occhi miei sì subito apparisti,
aggi pietÃ_ del cor che tu feristi,
che spera in te e disiando more.
Tu, Violetta, in forma più che umana,
foco mettesti dentro in la mia mente
col tuo piacer ch'io vidi;
poi con atto di spirito cocente
creasti speme, che in parte mi sana
la dove tu mi ridi.
Deh, non guardare perché a lei mi fidi,
ma drizza li occhi al gran disio che m'arde,
ché mille donne giÃ_ per esser tarde
sentiron pena de l'altrui dolore.
Perché ti vedi giovinetta e bella - Dante Alighieri
Perché ti vedi giovinetta e bella,
tanto che svegli ne la mente Amore,
pres'hai orgoglio e durezza nel core.
Orgogliosa se' fatta e per me dura,
po' che d'ancider me, lasso, ti prove:
credo che 'l facci per esser sicura
se la vertù d'Amore a morte move.
Ma perché preso più ch'altro mi trove,
non hai respetto alcun del mi' dolore.
Possi tu spermentar lo suo valore.
Vede perfettamente onne salute (Vita Nova, XXVIB) - Dante Alighieri
Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede;
quelle che vanno con lei son tenute
di bella grazia a Dio render merzede.
E sua bieltate è di tanta vertute,
che nulla invidia a l'altre ne procede,
anzi le face andar seco vestute
di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua fa onne cosa umile;
e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è ne li atti suoi tanto gentile,
che nessun la si può recare a mente,
che non sospiri in dolcezza d'amore.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Citim:
Po citoj ato që tha briseide
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Citim:
Po citoj ato që tha bad_drawn_boy
ma va la...
Citim:
Po citoj ato që tha briseide
Quest'espressione non mi è nuova
Sulla seguente sono stata interrogata :o
Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nova, XXVIA)
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sententosi laudare,
benignamente d'umiltÃ_ vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dÃ_ per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
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