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Regjistruar: 19/12/2002
Vendbanimi: Venezia
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Luigi Pirandello

Luigi Pirandello non fu soltanto quel narratore e quel drammaturgo che sappiamo, ma fu anche dotato di una scaltrita coscienza critica ed autocritica, come dimostrano i suoi numerosi interventi sulla letteratura contemporanea e vari saggi critici, il più importante dei quali è certamente quello dedicato a L'Umorismo (1908). Proprio in questo saggio, scritto quando egli aveva giÃ_ dato parecchie prove della sua qualitÃ_ di narratore, Pirandello ci dÃ_ una chiave di lettura della sua opera allorché dichiara che essa nasce in lui dal «sentimento del contrario» e chiarisce che con questa definizione si deve intendere la capacitÃ_ o meglio la vocazione a cogliere i molteplici e contrastanti aspetti della realtÃ_, a scinderne e isolarne le varie e contraddittorie componenti, a percepire quale vita palpita e soffre dentro le strettoie delle forme, ad andare al di lÃ_ di ciò che in prima istanza cade sotto i nostri sensi. Ora è chiaro che questa disposizione, questa prospettiva da cui nasce quella forma d'arte che egli definisce «umoristica» - non può dare una visione univoca del reale, anzi dissolve la stessa concezione di una realtÃ_ oggettiva e autonoma: la realtÃ_ è tante cose, tante - e contraddittorie - realtÃ_ nel contempo.

Le conseguenze di queste dichiarazioni pirandelliane possono essere così elencate:
1) superamento di un canone fondamentale del verismo-naturalismo, come quello dell'esistenza di un realtÃ_ da descrivere con puntigliosa precisione;
2) relativismo gnoseologico, cioè affermazione della relativitÃ_ del processo della conoscenza e dei giudizi ai quali esso porta; la realtÃ_ è una e tante insieme, proprio come ognuno di noi è per l'altro Uno nessuno e centomila (come suona il titolo di un romanzo pirandelliano): ogni individuo quindi può avere, della realtÃ_, un'idea che non coincide con quella degli altri.

Un narratore che muova da queste premesse non può accettare i canoni cari al verismo, ma deve trovare modalitÃ_ narrative nuove che mettano in evidenza questa indefinibilitÃ_ o precarietÃ_ del reale, che dissolvano le certezze di estrazione positivistica. E Pirandello infatti avvia questa novitÃ_ nel suo primo romanzo (L'esclusa) e poi la realizza con risultati particolarmente felici ne Il fu Mattia Pascal (1904), e con esiti diversi negli altri romanzi e nella produzione novellistica (che inizia nei primi anni del secolo e continuerÃ_ pressoché sino ai suoi ultimi giorni). L'adozione del protagonista-narratore (cioè l'uso della prima anziché della terza persona), il frequente ricorso al discorso indiretto libero, lo scompaginamento dell'ordine cronologico-casuale nella narrazione, sono alcuni dati di questa destrutturazione delle forme narrative tradizionali che Pirandello attua.

Il relativismo gnoseologico fra le altre conseguenze comporta anche quella di mettere a nudo la convenzionalitÃ_ dei valori accettati, dei ruoli imposti dalla vita associata; da questo punto di vista l'opera di Pirandello è una continua e inesorabile demistificazione. Ma l'animus, la disposizione con la quale egli procede a questa inclemente demistificazione è complesso, coerentemente col «sentimento del contrario» da cui è sotteso, è fatto di grottesco e di pietÃ_. Ora infatti Pirandello si accanisce a mettere a nudo beffardamente, grottescamente le incongruenze delle meccaniche convenzioni imposte dalla vita associata, ora invece ci sono, nella sua pagina, toni di dolente comprensione per le grige e dolenti esistenze stritolate da quei meccanismi, per la «pena di vivere così».

Quanto abbiamo detto vale anche per la produzione teatrale, si potrebbe anzi asserire che il teatro era il genere letterario specifico, ottimale al quale doveva approdare il suo relativismo gnoseologico che, come si è detto, comportava disparitÃ_ di giudizi sulla realtÃ_, quindi scontro e opposizione tra contrastanti tesi. Proprio per questo i personaggi del teatro pirandelliano talvolta discutono troppo, sono dei "loici" agguerriti.

Come per la narrativa, così nel teatro Pirandello disarticola le strutture tradizionali: nei drammi in cui egli attua l'avanguardistica soluzione del "teatro nel teatro" (eccezionali, tra questi, i Sei personaggi in cerca d'autore) crolla una convenzione (quella della "quarta parete") sulla quale da sempre il teatro si era retto.

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Mesazh i vjetër 09 Shtator 2003 11:51
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briseide
Shtrige

Regjistruar: 12/02/2007
Vendbanimi: Rrefime memece
Mesazhe: 4388

VETMIA..."Uno,nessuno e centomila"

Desiderai da quel giorno ardentissimamente d'esser solo, almeno per un'ora. Ma veramente, più che desiderio, era bisogno: bisogno acuto urgente smanioso, che la presenza o la vicinanza di mia moglie esasperavano fino alla rabbia.


...
Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt'al contrario di quel che pensate voi: cioè senza me e appunto con un estraneo attorno.
Vi sembra giÃ_ questo un primo segno di pazzia?
Forse perché non riflettete bene.
Poteva giÃ_ essere in me la pazzia, non nego, ma vi prego di credere che l'unico modo d'esser soli veramente è questo che vi dico io.
La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, è soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, cosi che la vostra volontÃ_ e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un'incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l'intimitÃ_ stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l'estraneo siete voi.
Cosi volevo io esser solo. Senza me. Voglio dire senza quel me ch’io giÃ_ conoscevo, o che credevo di conoscere. Solo con un certo estraneo, che giÃ_ sentivo oscuramente di non poter più levarmi di torno e ch'ero io stesso: estraneo inseparabile da me.
Ne avvertivo uno solo, allora! E giÃ_ quest'uno, o il bisogno che sentivo di restar solo con esso, di mettermelo davanti per conoscerlo bene e conversare un po' con lui, mi turbava tanto, con un senso tra di ribrezzo e di sgomento.
Se per gli altri non ero quel che ora avevo creduto d'essere per me, chi ero io?
Vivendo, non avevo mai pensato alla forma del mio naso; al taglio, se piccolo o grande, o al colore dei miei occhi; all'angustia o all'ampiezza della mia fronte, e via dicendo. Quello era il mio naso, quelli i miei occhi, quella la mia fronte: cose inseparabili da me, a cui, dedito ai miei affari, preso dalle mie idee, abbandonato ai miei sentimenti, non potevo pensare.
Ma ora pensavo:
"E gli altri? Gli altri non sono mica dentro di me. Per gli altri che guardano da fuori, le mie idee, i miei sentimenti hanno un naso. Il mio naso. E hanno un paio d'occhi, i miei occhi, ch’io non vedo e ch’essi vedono. Che relazione c'è tra le mie idee e il mio naso? Per me, nessuna. Io non penso col naso, né bado al mio naso, pensando. Ma gli altri? Gli altri che non possono vedere dentro di me le mie idee e vedono da fuori il mio naso? Per gli altri le mie idee e il mio naso hanno tanta relazione, che se quelle, poniamo, fossero molto serie e questo per la sua forma molto buffo, si metterebbero a ridere."
Cosi, seguitando, sprofondai in quest'altra ambascia: che non potevo, vivendo, rappresentarmi a me stesso negli atti della mia vita; vedermi come gli altri mi vedevano; pormi davanti il mio corpo e vederlo vivere come quello d'un altro. Quando mi ponevo davanti a uno specchio, avveniva come un arresto in me; ogni spontaneitÃ_ era finita, ogni mio gesto appariva a me stesso fittizio o rifatto.
Io non potevo vedermi vivere.
Potei averne la prova nell'impressione dalla quale fui per cosi dire assaltato, allorché, alcuni giorni dopo, camminando e parlando col mio amico Stefano Firbo, mi accadde di sorprendermi all'improvviso in uno specchio per via, di cui non m'ero prima accorto. Non poté durare più d'un attimo quell'impressione, ché subito seguì quel tale arresto e finì la spontaneitÃ_ e cominciò lo studio. Non riconobbi in prima me stesso. Ebbi l'impressione d'un estraneo che passasse per via conversando. Mi fermai. Dovevo esser molto pallido. Firbo mi domandò:
«Che hai?»
«Niente,» dissi. E tra me, invaso da uno strano sgomento ch'era insieme ribrezzo, pensavo:
"Era proprio la mia quell'immagine intravista in un lampo? Sono proprio cosi, io, di fuori, quando – vivendo - non mi penso? Dunque per gli altri sono quell'estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non giÃ_ io quale mi conosco: quell'uno li che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto. Sono quell'estraneo che non posso veder vivere se non cosi, in un attimo impensato. Un estraneo che possono vedere e conoscere solamente gli altri, e io no."
E mi fissai d'allora in poi in questo proposito disperato: d'andare inseguendo quell'estraneo ch’era in me e che mi sfuggiva; che non potevo fermare davanti a uno specchio perché subito diventava me quale io mi conoscevo; quell'uno che viveva per gli altri e che io non potevo conoscere; che gli altri vedevano vivere e io no. Lo volevo vedere e conoscere anch’io cosi come gli altrilo vedevano e conoscevano.
Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questo estraneo: uno solo per tutti, come uno solo credevo d'esser io per me. Ma presto l'atroce mio dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Moscarda ch'io ero non solo per gli altri ma anche per me, tutti con questo solo nome di Moscarda, brutto fino alla crudeltÃ_, tutti dentro questo mio povero corpo ch’era uno anch'esso, uno e nessuno ahimè, se me lo mettevo davanti allo specchio e me lo guardavo fisso e immobile negli occhi, abolendo in esso ogni sentimento e ogni volontÃ_.
Quando cosi il mio dramma si complicò, cominciarono le mie incredibili pazzie.


...
L'idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo; uno che essi soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi davano un aspetto destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in me, pur essendo il mio per loro (un "mio" dunque che non era per me!); una vita nella quale, pur essendo la mia per loro, io non potevo penetrare, quest'idea non mi diede più requie.
Come sopportare in me quest'estraneo? Quest'estraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo? Come non conoscerlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e fuori intanto della mia?

...

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I had seven faces,Thought I knew which one to wear...

Modifikuar nga briseide datë 03/06/2007 ora 17:21

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Mesazh i vjetër 03 Qershor 2007 17:13
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